Riflettiamo Insieme

nella vigna ...

Siate voi cibo per loro

Concludiamo la giornata liturgica attraverso l'ormai consueto appuntamento di meditazione con le riflessioni di noti sacerdoti e movimenti religiosi. Oggi riflettiamo, in via eccezionale, con il commento personale della nostra cara Enza:

In questo Vangelo vi sono molti spunti su cui meditare. La prima cosa che mi colpisce è Gesù, che dopo aver saputo della morte atroce che ha subito il Giovanni Battista se ne va sulla barca in mezzo al mare. La preghiera era il suo punto di forza, Gesù era solito appartarsi perché il dialogo col Padre fosse un dialogo fatto col cuore e non solo con la bocca (diciamo che possiamo riprendere similmente l’adorazione eucaristica. Un dialogo fatto col cuore da soli a tu a tu col Creatore, nostro Salvatore).

Ma la gente che l’aveva visto andarsene, lo seguì, e quando Gesù scese dalla barca trovò questa moltitudine di persone che volevano sentirlo parlare, che volevano essere guariti; gente alla ricerca del bene, di una parola buona, insomma Gesù dava loro speranza trovando nutrimento per le loro anime, quello che i sacerdoti non sapevano dare. Si, Gesù era l’uomo nuovo!
Quando si fece sera però, i suoi discepoli gli chiesero di lasciare ritornare in paese quella gente così avrebbero potuto comprarsi da mangiare, ma Gesù disse una frase che colpisce sempre: voi stessi date loro da mangiare!
Cosa avrà voluto dire con quella frase Gesù? Sapeva bene che non c’era molto da dividere.
Se meditiamo bene riusciamo a capire che quella frase poteva dire si, raccogliete quel che c’è e dividetelo, ma sapevano tutti che era davvero impossibile sfamare quella gente così numerosa. Riflettendo bene si può arrivare ad un’altra interpretazione: “Siate voi, cibo per loro”.
I discepoli allora portarono i 5 pani e 2 pesci, Gesù benedisse quel cibo, e con lo stupore di tutti poterono mangiare a sazietà avanzando molte ceste: erano 5000 uomini più donne e bambini. 
Questo atteggiamento di Gesù lo troviamo nell’eucarestia: Lui, unico pane, si fa pane per tutti. Questo cibo ci sazia, la sua parola è nutrimento, è un cibo spirituale che ci fa fratelli. Non si può mangiare alla mensa di Gesù senza pensare di farci come Lui, fraterni verso i più bisognosi, amorevoli e solidali con tutti senza guardare il colore della pelle e l’appartenenza religiosa. Anche oggi, come allora, la gente cammina e non sa dove va, anche se non è cosciente, cerca Gesù. Lo cerca nel prete per una parola buona, nel fratello che aiuta, nella suora che trova una sistemazione lavorativa; lo cerca quando è nella disperazione chiedendo aiuto al cielo…… Senza Gesù siamo davvero persi, mentre chi ha Lui accanto non muore più di fame né di sete, perché il suo cibo sazia, e anche noi come i discepoli distribuiamo ciò che Gesù ci dona.

Quando penso all’attentatore di Oslo, mi chiedo. Come si può dire che si è agito così perché cristiano, per tutelare la cristianità? Tutti sanno che la Norvegia è una nazione aperta a tutte le culture e religioni, hanno un sociale a misura d’uomo con i giusti diritti e doveri. Come si può dire che si è agito così perché si vuol tutelare il cristianesimo contro i musulmani? Quell’uomo non è cristiano, perché Cristo è vicino a tutti, è vicino anche a chi non crede in Lui. Chi conosce il cristianesimo e si nutre del pane di vita, non rimane chiuso nel suo egoismo, nella sua cultura meschina, nella sua falsità, ma accoglie sempre nel rispetto delle leggi.

Questo Vangelo ci insegna come essere anche noi “Gesù”: “facendoci pane per chi è affamato e senza nulla, ed è bello essere pure divulgatori della Parola di Dio. Lasciamo perdere le polemiche su come certi governi accolgono le brutture per l’uomo, ma proclamiamo sempre e solo la Parola di Dio, dando esempio di rettitudine e amore fraterno”. A noi spetta il compito di denunciare e  lottare sulle cose sbagliate che l’uomo commette, ma mai senza la preghiera, così come faceva Gesù quando si appartava e lasciava che il Padre lo consolasse nel dolore.  E’ Gesù che ci protegge, è Lui che governa il mondo; a noi il compito di operare per essere: “sale della terra", noi che ci "nutriamo di Lui”.

La porta del Paradiso

Questa sera riflettiamo sorridendo, grazie ad una perla segnalataci dalla nostra Enza: 

Era un pò di giorni che il Signore non faceva un giro per il Paradiso; una mattina quindi si svegliò deciso a controllare se tutto lassù filava per il verso giusto. Con sua grande sorpresa, vide, in mezzo ad un gruppetto di persone, un tipo che in vita sua non aveva mai concluso niente di buono, era un gran lazzarone, svogliato e poco credente. 
"Come ha fatto un individuo del genere a entrare in Paradiso?
San Pietro dovrà rendermi conto di questo!.", si indignò il Signore.
Continuò il giro di controllo ed ecco che scoprì tra gli altri beati una donna che in vita sua ne aveva combinate di tutti i colori.
"Anche lei qui?", esclamò sbalordito. "Ma chi controlla l'ingresso tra le anime beate? San Pietro dovrà spiegarmi anche questa!".
Girando s'imbatte in altre persone che non si aspettava proprio di incontrare in Paradiso.
A passi decisi, con un viso che prometteva tempesta, il Signore si avviò verso l'ingresso del Paradiso.
Lì, a fianco del portone, con le chiavi in mano, stava San Pietro.
"Non ci siamo, non ci siamo proprio!". Lo affrontò severamente il Signore.
"Ho visto gente qui intorno, che del Paradiso non è proprio degna!
Che custode sei? Non sarà che ti addormenti in servizio?".
"Eh, no! Io non dormo proprio!", rispose risentito San Pietro.
"Io alla porta ci sto, e con gli occhi ben aperti anche.
E' che sopra di me, c'è una piccola finestra. Di là ogni tanto tua mamma Maria fa scendere una corda e tira su anche quelli che io avevo allontanato!
A questo punto cosa dovrei fare? E' inutile che faccia il portinaio!
Do le dimissioni!" Il volto del Signore si distese in un gran sorriso.
"Va bene, va bene", disse bonariamente, cingendo le spalle di San Pietro con un braccio, come ai vecchi tempi.
"Quello che fa mia mamma Maria è sempre ben fatto.
Tu continua a sorvegliare la porta e  lasciamo che al finestrino ci pensi lei...".

Perchè Maria è invocata come "aiuto dei cristiani" e "rifugio dei peccatori?".
Perchè con lei il Paradiso ha sempre un finestra aperta...

Rosarium Virginis Mariae - XVIII parte

 Carissimi,concludiamo la meditazione del Santo Rosario che abbiamo osservato attraverso la Lettera Apostolica "Rosarium Virginis Mariae del Beato Giovanni Paolo II: in quest'ultimo passo egli ci ricorda come il Santo Rosario sia un vero tesoro da riscoprire:

 
CONCLUSIONE - Ultima parte 

Il Rosario, un tesoro da riscoprire

43. Carissimi fratelli e sorelle! Una preghiera così facile, e al tempo stesso così ricca, merita davvero di essere riscoperta dalla comunità cristiana. Facciamolo soprattutto in questo anno, assumendo questa proposta come un rafforzamento della linea tracciata nella Lettera apostolica Novo millennio ineunte, a cui i piani pastorali di tante Chiese particolari si sono ispirati nel programmare l'impegno per il prossimo futuro.

Mi rivolgo in particolare a voi, cari Confratelli nell'Episcopato, sacerdoti e diaconi, e a voi, operatori pastorali nei diversi ministeri, perché, facendo esperienza personale della bellezza del Rosario, ne diventiate solerti promotori.

Confido anche in voi, teologi, perché praticando una riflessione al tempo stesso rigorosa e sapienziale, radicata nella Parola di Dio e sensibile al vissuto del popolo cristiano, facciate scoprire, di questa preghiera tradizionale, i fondamenti biblici, le ricchezze spirituali, la validità pastorale.

Conto su di voi, consacrati e consacrate, chiamati a titolo particolare a contemplare il volto di Cristo alla scuola di Maria.

Guardo a voi tutti, fratelli e sorelle di ogni condizione, a voi, famiglie cristiane, a voi, ammalati e anziani, a voi giovani: riprendete con fiducia tra le mani la corona del Rosario, riscoprendola alla luce della Scrittura, in armonia con la Liturgia, nel contesto della vita quotidiana.

Che questo mio appello non cada inascoltato! All'inizio del venticinquesimo anno di Pontificato, affido questa Lettera apostolica alle mani sapienti della Vergine Maria, prostrandomi spiritualmente davanti alla sua immagine nello splendido santuario a Lei edificato dal beato Bartolo Longo, apostolo del Rosario. Faccio volentieri mie le parole toccanti con le quali egli chiude la celebre Supplica alla Regina del Santo Rosario: « O Rosario benedetto di Maria, catena dolce che ci rannodi a Dio, vincolo di amore che ci unisci agli Angeli, torre di salvezza negli assalti dell'inferno, porto sicuro nel comune naufragio, noi non ti lasceremo mai più. Tu ci sarai conforto nell'ora dell'agonia. A te l'ultimo bacio della vita che si spegne. E l'ultimo accento delle nostre labbra sarà il nome tuo soave, o Regina del Rosario di Pompei, o Madre nostra cara, o Rifugio dei peccatori, o Sovrana consolatrice dei mesti. Sii ovunque benedetta, oggi e sempre, in terra e in cielo ».

Dal Vaticano, il 16 ottobre dell'anno 2002, inizio del venticinquesimo di Pontificato.

Lo Spirito Santo nella storia della Salvezza

Su segnalazione preziosa di Enza, riflettiamo questa sera attraverso la bellissima riflessione di Padre Raniero Cantalamessa che si sofferma sullo Spirito Santo:

Atti 2, 1-11
1 Corinti 12, 3b-7.12-13         
Giovanni 20, 19-23

Gli Atti degli apostoli narrano un curioso episodio: giungendo a Efeso, Paolo trovò alcuni discepoli e disse loro: Avete ricevuto lo Spirito Santo quando siete venuti alla fede? Gli risposero: Non abbiamo nemmeno sentito dire che ci sia uno Spirito Santo (Atti, 19, 1s.).
Se rivolgessimo oggi la stessa domanda a tanti cristiani, riceveremmo forse una risposta del genere: sanno, sì, che c'è uno Spirito Santo, ma è tutto quello che sanno di lui; per il resto, ignorano chi è, in realtà, lo Spirito Santo, e che cosa rappresenta per la loro vita.
Oggi ci si offre un'occasione unica, nel corso dell'anno liturgico, per fare questa scoperta essenziale per la nostra fede. Ci proponiamo perciò, con l'aiuto dello stesso Spirito Santo, di ripercorrere da capo l'intera storia della salvezza alla ricerca della sua presenza dolce e silenziosa.
E stato detto, con parola terribile ma vera, che la violenza è la levatrice della storia umana, perché non c'è cambiamento profondo che, di fatto, non sia stato segnato da guerre, rivoluzioni e sangue. Non così nell'altra storia, quella della salvezza, che ha per protagonista Dio: la sua levatrice è lo Spirito Santo, cioè la forza e la dolcezza dell'amore.
Ogni nuovo inizio, ogni salto di qualità, nello svolgersi del piano divino della salvezza, rivela uno speciale intervento dello Spirito di Dio. I Padri della Chiesa (specialmente i greci) avevano colto perfettamente questi punti luminosi che attraversano la Bibbia, come una specie di filo rosso, fino a diventare luce di meriggio nel giorno di Pentecoste. Pensi alla creazione?, esclama san Basilio; essa fu operata nello Spirito Santo che consolidava e ornava i cieli. Pensi alla venuta di Cristo? Lo Spirito l'ha preparata e poi, nella pienezza dei tempi, l'ha realizzata discendendo su Maria. Pensi alla formazione della Chiesa? Essa è opera dello Spirito Santo. Pensi alla parusia? Lo Spirito non sarà assente neppure allora, quando i morti sorgeranno dalla terra e si rivelerà dal cielo il nostro Salvatore (san Basilio, De Spiritu Sancto, 16 e 19).
Cerchiamo di approfondire questa grandiosa visione, facendola scorrere lentamente davanti ai nostri occhi. Gesù, l'indomani della Pasqua, ripercorreva la Scrittura per spiegare ai discepoli tutto ciò che si riferiva a lui (Lc. 24, 27); noi, nel giorno di Pentecoste, ripercorriamo la stessa Scrittura per scoprire in essa tutto ciò che si riferisce allo Spirito Santo.
In principio - narra la Bibbia - Dio creò il cielo e la terra. Ora la terra era informe e deserta e le tenebre ricoprivano l'abisso (Gen. 1, 1s.). Era il caos. Ma ecco che « lo spirito di Dio » (qualunque cosa esso designi in questo punto) venne sopra di esso e fu la luce, la separazione, l'ordine, l'armonia; ogni cosa assunse il suo vero aspetto e il suo posto: le acque si raccolsero nel mare, le erbe e i semi germogliarono sulla terra, gli astri cominciarono a brillare nel cielo e Dio si compiacque della sua creazione (cf. Gen. 1, 25).
Quando questo mondo fu pronto per accogliere la vita («sei giorni» dopo, nel linguaggio figurato della Bibbia; milioni o miliardi di anni dopo, secondo il calcolo della scienza), Dio disse: Facciamo l'uomo a nostra immagine (Gen. 1, 26). Egli plasmò l'uomo con il fango della terra: un modo di esprimersi che vuol dire: Dio preparò, con le leggi  dell'evoluzione che egli stesso aveva racchiuso nella materia, un vivente animale diverso da tutti gli altri, l'uomo. Diverso dagli altri, ma ancora animale, cioè creatura guidata da istinti e non illuminata dentro dalla luce della ragione. Ma ecco che interviene di nuovo quella misteriosa realtà che aveva aleggiato sulle acque primordiali lo “Spirito di Dio”  e l'ominide diventa uomo, la creatura animale diventa essere spirituale, dotato, anche se all'inizio solo embrionalmente, di ragione e di libertà. Dio soffiò nelle sue narici uno spirito di vita e l'uomo divenne un essere vivente (Gen. 2, 7). Un essere capace di dialogare con il suo Creatore, di essere suo amico, ma anche di ribellarsi a lui.
La scelta dell'uomo si portò, sciaguratamente, su questa seconda possibilità: peccò. Si produsse allora una frattura profonda, come una dissonanza che creò incomunicabilità tra Dio e l'uomo; un inquinamento che, col volgere dei secoli, cambiò il volto dell'umanità e della terra; da oggetto di compiacenza essa divenne motivo di disgusto per Dio (cf. Gen. 6, 7: Sono pentito di averli fatti).
Dio però non si arrese al male; nella sua misericordia, egli decise, a questo punto (ma in lui non c'è un prima e un dopo!), di riplasmare la sua creazione, come si rifonde una statua di bronzo, corrosa e deformata dal tempo, per ritrarne una nuova dai lineamenti originali riportati alla luce. Per questa creazione e umanità nuova, egli stabili un capostipite nuovo, un «nuovo Adamo», cioè lo stesso Figlio suo Gesù Cristo. Lo trasse dalla carne della Vergine Maria, come all'inizio aveva tratto Adamo dalla vergine terra  per opera dello Spirito Santo (Mt. 1, 18). Lo Spirito Santo segna anche qui l'inizio d'una fase nuova nella storia della salvezza (cf. Lc. 1, 35).

Tutta la vita di Gesù, non soltanto il suo inizio, si svolge sotto il segno dello Spirito Santo; questi è colui
che guida tutte le sue scelte e opera i prodigi che egli compie sui malati, sugli oppressi dal demonio, sui peccatori. Nel battesimo del Giordano egli fu consacrato in Spirito Santo e potenza (Atti, 10, 38), per portare la buona novella ai poveri. Gesù  è condotto» dallo Spirito Santo e, nello stesso tempo, rivela lo Spirito Santo. Sulla sua bocca, lo Spirito comincia ad acquistare tratti precisi; non è solo una forza di Dio, ma anche una «persona» in Dio; di lui infatti dice che sarà inviato ai discepoli, che condannerà il mondo, che condurrà i discepoli alla verità integrale, che renderà testimonianza a lui, che parlerà in loro (cf. Gv. 14-16); e Paolo aggiunge che pregherà in loro con gemiti ineffabili (cf. Rom. 8, 26).
Terminata la sua opera terrena, Gesù è glorificato alla destra del Padre. Sulla terra ha lasciato la sua Chiesa; sono undici apostoli e alcune decine di discepoli; vivono nascosti e impauriti, senza sapere cosa devono fare e cosa significhi il comando di andare in tutto il mondo a predicare il Vangelo. E ancora, per così dire, un corpo inanimato e inerte, come quello del primo uomo, quando Dio non aveva ancora insufflato in esso lo spirito di vita.
Ma ecco che, improvvisamente, nel giorno di Pentecoste, si rinnova il prodigio che ha segnato tutti i grandi inizi della storia e cioè la nascita del mondo, quella dell'uomo e quella di Cristo (l'analogia con la creazione del primo uomo è visibile nel racconto di Giovanni: Alitò su di loro e disse: «Ricevete lo Spirito Santo»: Gv. 20,22). Mentre erano riuniti con Maria nel Cenacolo, fece irruzione su di essi lo Spirito Santo e il «piccolo gregge» divenne la Chiesa, cioè corpo di Cristo, animato dalla stessa realtà che, nell'Incarnazione, aveva animato il suo Capo. La Pentecoste è il natale della Chiesa, come il Natale era stato la pentecoste di Gesù! La presenza di Maria nel Cenacolo serve proprio a richiamare questo legame tra la nascita di Gesù e quella della Chiesa; colei che era stata la madre di Gesù, ora diventa anche «madre della Chiesa».
Era finalmente compiuta quella «cosa nuova » che da tanto tempo Dio andava annunziando agli uomini (cf. Is 43, 19). Per questo la liturgia, nel Salmo responsoriale, applica all'evento della Pentecoste quelle vibranti parole che erano servite a cantare il prodigio della creazione: Mandi il tuo Spirito, sono creati e rinnovi la faccia  della terra.
Il segno più visibile che qualcosa di nuovo è avvenuto sulla terra è la riunificazione del linguaggio umano: gli apostoli, usciti fuori, parlano una misteriosa lingua nuova; meglio, parlano con una potenza nuova la loro lingua  abituale, cosicché chiunque li ascolta: parti, elamiti, greci e romani, li comprende come se parlassero la loro lingua e si stupiscono. E’ il segno della ritrovata unità del genere umano. La Pentecoste è l'antibabele; ribellandosi a Dio gli uomini avevano finito per non comprendersi più nemmeno tra di loro; la terra era diventata «l'aiuola che ci fa tanto feroci» (Dante Alighieri). Ora la dissonanza è ricomposta; le genti, dice sant'Ireneo, formano un mirabile coro per celebrare nelle varie lingue la lode di Dio, mentre lo Spirito riconduce all'unità le disperse tribù' e offre al Padre le primizie di tutti i popoli (Adv. Haer).
Nella Chiesa gli uomini devono riscoprirsi fratelli, devono di nuovo poter comunicare tra di loro con una stessa lingua che è la lingua dell'amore insegnata dallo Spirito Santo; meglio: «impressa nei cuori» dallo Spirito Santo (Rom. 5, 5): «Lo Spirito del Signore ha riempito l'universo; egli che tutto unisce conosce ogni linguaggio»
Il prodigio operatosi nel giorno di Pentecoste continua anche oggi. «Se qualcuno, scriveva un antico autore, ti dirà: Hai ricevuto lo Spirito Santo, per qual motivo allora non parli in tutte le lingue?, devi rispondere: Certo che parlo in tutte le lingue, sono infatti inserito in quel corpo di Cristo che è la Chiesa che parla tutte le lingue». Anche oggi, la Chiesa parla (e comprende) le lingue di tutti i popoli; essa capisce e valorizza la cultura e il patrimonio di ogni razza e di ogni popolo e ogni popolo capisce il suo annuncio come proprio, come destinato a sé.
Nulla però è irreversibile e definitivo finché siamo in questa vita; di irreversibile c'è solo la promessa di Dio, mentre la libertà dell'uomo non fa che zoppicare. L'antica tentazione di Babele è sempre in agguato; riappare ogni volta che c'è un rigurgito di orgoglio («Facciamo qualcosa che arrivi fino al cielo», cioè che sostituisca e renda inutile Dio); “ogni volta che l'odio intorbida il linguaggio umano e affida il suo freddo messaggio di morte al linguaggio terrificante delle bombe e delle rivoltelle”, e delle leggi che invocano la morte (dico io, Enza), noi ne siamo i testimoni giustamente atterriti in questi anni di violenza; abbiamo fatto, a nostre spese, l'esperienza di quanto siano vere quelle parole del Salmo responsoriale: Se togli il tuo Spirito muoiono e ritornano nella loro polvere. Tanto più, perciò, ci stringeremo oggi intorno alla Chiesa per invocare, coralmente, su di noi e sul mondo intero lo Spirito Santo che è Spirito di riconciliazione, di unità e di pace; Spirito che, nel Battesimo, ha segnato l'inizio della nostra personale storia di salvezza e che ora può segnare, se lo vogliamo veramente, l'inizio di una vita nuova in Cristo e nella Chiesa; diciamo con fervore:
«Vieni, Spirito Santo, riempi i cuori dei tuoi fedeli e accendi in essi il fuoco del tuo amore»

RIFLETTO: Sappiamo tutti che lo Spirito di Dio aleggerà sempre sulla terra. Lui che ci dona il freddo, il caldo, la pioggia, il sole, la notte per riposare e il giorno per vivere alla luce del sole, per lavorare, giocare, passeggiare, amare! Ci dona i frutti per vivere bene e la sua benedizione la viviamo e la riconosciamo se rimaniamo a Lui uniti. Ma l’uomo perennemente ribelle non vuole ammettere la sua piccolezza, così volendo superare Dio con le proprie scelte di vita, porta solo morte e distruzione. Lo vediamo in politica, sul lavoro, in molte famiglie e pure, in alcuni casi, nella chiesa, dove la voglia di potere supera il voto fatto davanti a Dio, voto di fedeltà, continenza, di umiltà e in molti casi di povertà.  
Quello che sta succedendo nei nostri giorni, la volontà di escludere il vero cristiano nella politica e non solo, quello per intenderci, che rifiuta l’aborto, l’eutanasia, la mafia. Che combatte perché tutti i popoli abbiano la loro dignità di figli di Dio, non è ben visto. In pratica è, per dirla in buone parole, quello che rompe le uova nel paniere. Meglio quello che invece accetta tutto pur di vivere bene la sua vita, e poi la domenica come il fariseo va in chiesa a dire al Signore: “io si Signore Dio ti amo, perché faccio offerte ai poveri, alla chiesa e vengo a messa tutte le domeniche…..
Un giorno però il Signore gli chiederà: “Dimmi figliolo, quando io ero povero, con poca pensione insufficiente anche per pagare le spese di casa, perché tu che hai avuto la grazia di fare il politico, non ti sei prodigato per innalzare le pensioni e gli stipendi delle persone povere, ma hai lasciato che ancor di più i ricchi si arricchissero? Come mai nonostante i forti guadagni dati dal tuo lavoro, hai cercato il consenso della malavita oppure non l’hai combattuta? Perché quando volevo nascere tu hai permesso con le leggi che mi ammazzassero? Perché quando ero sofferente ma con tanta speranza di ritornare in salute, hai fatto di tutto per togliermi cibo e acqua donandomi così una morte atroce? Perché tu hai vissuto in ville, in case di lusso con maggiordomi, camerieri e auto costosissime, mentre “IO” vivevo sotto un ponte, andavo mendicando perché straniero o senza una famiglia e non hai fatto nulla, o molto poco per proporre leggi solidali? Perché non hai cercato di fermare gli spacciatori di droga i quali hanno distrutto tanti miei fragili figli? E tu medico, ti è stata data una buona intelligenza per scoprire ciò che il tuo DIO fin dall’inizio ti ha posto nell’universo, così da poter soccorrere e far vivere le persone, ti sei invece permesso di sostituirti a ME, volendo essere tu il creatore della creatura?

Tutti noi siamo responsabili delle azioni e delle scelte di vita. E’ proprio col nostro vivere che ci possiamo guadagnare il paradiso o l’inferno. Si vuole eliminare Dio e la sua Parola senza capire, per orgoglio e presunzione, che senza Dio l’uomo è perso. L’abbiamo visto molte volte in questi anni: leggi inique proposte e realizzate da politici senza scrupoli, sentenze vergognose da parte di giudici corrotti. L’abbiamo visto da un commercio ormai in mano a gente arrogante. Poi abbiamo una parte di scienza che detta la propria legge anche a livelli molto alti perché sovvenzionata da quegli uomini senza scrupoli; associazioni a delinquere che vogliono la morte di molti popoli, ormai. Si vuol dare alla delinquenza un colore religioso o politico, mentre è frutto di odio e rancore verso l’essere umano.
Concludo col dire che siamo noi, piccolo gregge, che dobbiamo essere “sale per la terra”, perché senza questo sale tutto il creato diventerà come la torre di Babele per la rovina dei popoli.
Invochiamo l’intervento dello Spirito Santo, perché rinnovi come solo Lui sa fare, la faccia di questa terra.

Rosarium Virginis Mariae - XVII parte

Carissimi, come ogni Mercoledì e Venerdì, continuiamo la meditazione del Santo Rosario attraverso la Lettera Apostolica "Rosarium Virginis Mariae del Beato Giovanni Paolo II che ha sempre nutrito un amore speciale per la Mamma Celeste: 
 
CONCLUSIONE - Seconda parte

La famiglia: i genitori...

41. Preghiera per la pace, il Rosario è anche, da sempre, preghiera della famiglia e per la famiglia. Un tempo questa preghiera era particolarmente cara alle famiglie cristiane, e certamente ne favoriva la comunione. Occorre non disperdere questa preziosa eredità. Bisogna tornare a pregare in famiglia e a pregare per le famiglie, utilizzando ancora questa forma di preghiera.

Se nella Lettera apostolica Novo millennio ineunte ho incoraggiato la celebrazione della Liturgia delle Ore anche da parte dei laici nella vita ordinaria delle comunità parrocchiali e dei vari gruppi cristiani,(39) altrettanto desidero fare per il Rosario. Si tratta di due vie non alternative, ma complementari, della contemplazione cristiana. Chiedo pertanto a quanti si dedicano alla pastorale delle famiglie di suggerire con convinzione la recita del Rosario.

La famiglia che prega unita, resta unita. Il Santo Rosario, per antica tradizione, si presta particolarmente ad essere preghiera in cui la famiglia si ritrova. I singoli membri di essa, proprio gettando lo sguardo su Gesù, recuperano anche la capacità di guardarsi sempre nuovamente negli occhi, per comunicare, per solidarizzare, per perdonarsi scambievolmente, per ripartire con un patto di amore rinnovato dallo Spirito di Dio.

Molti problemi delle famiglie contemporanee, specie nelle società economicamente evolute, dipendono dal fatto che diventa sempre più difficile comunicare. Non si riesce a stare insieme, e magari i rari momenti dello stare insieme sono assorbiti dalle immagini di un televisore. Riprendere a recitare il Rosario in famiglia significa immettere nella vita quotidiana ben altre immagini, quelle del mistero che salva: l'immaginedel Redentore, l'immagine della sua Madre Santissima. La famiglia che recita insieme il Rosario riproduce un po' il clima della casa di Nazareth: si pone Gesù al centro, si condividono con lui gioie e dolori, si mettono nelle sue mani bisogni e progetti, si attingono da lui la speranza e la forza per il cammino.

... e i figli

42. A questa preghiera è anche bello e fruttuoso affidare l'itinerario di crescita dei figli. Non è forse, il Rosario, l'itinerario della vita di Cristo, dal concepimento, alla morte, fino alla resurrezione e alla gloria? Diventa oggi sempre più arduo per i genitori seguire i figli nelle varie tappe della vita. Nella società della tecnologia avanzata, dei mass media e della globalizzazione, tutto è diventato così rapido e la distanza culturale tra le generazioni si fa sempre più grande. I più diversi messaggi e le esperienze più imprevedibili si fanno presto spazio nella vita dei ragazzi e degli adolescenti, e per i genitori diventa talvolta angoscioso far fronte ai rischi che essi corrono. Si trovano non di rado a sperimentare delusioni cocenti, constatando i fallimenti dei propri figli di fronte alla seduzione della droga, alle attrattive di un edonismo sfrenato, alle tentazioni della violenza, alle più varie espressioni del non senso e della disperazione.

Pregare col Rosario per i figli, e ancor più con i figli, educandoli fin dai teneri anni a questo momento giornaliero di « sosta orante » della famiglia, non è, certo, la soluzione di ogni problema, ma è un aiuto spirituale da non sottovalutare. Si può obiettare che il Rosario appare preghiera poco adatta al gusto dei ragazzi e dei giovani d'oggi. Ma forse l'obiezione tiene conto di un modo di praticarlo spesso poco accurato. Del resto, fatta salva la sua struttura fondamentale, nulla vieta che per i ragazzi e i giovani la recita del Rosario – tanto in famiglia quanto nei gruppi – si arricchisca di opportuni accorgimenti simbolici e pratici, che ne favoriscano la comprensione e la valorizzazione. Perché non provarci? Una pastorale giovanile non rinunciataria, appassionata e creativa – le Giornate Mondiali della Gioventù me ne hanno dato la misura! – è capace di fare, con l'aiuto di Dio, cose davvero significative. Se il Rosario viene ben presentato, sono sicuro che i giovani stessi saranno capaci di sorprendere ancora una volta gli adulti, nel far propria questa preghiera e nel recitarla con l'entusiasmo tipico della loro età.

Santi Anna e Gioacchino

Concludiamo la giornata che ci ha fatto riscoprire la figura dei Santi Anna e Gioacchino, attraverso l'omelia del Cardinal Tarcisio Bertone:

CONCELEBRAZIONE EUCARISTICA IN OCCASIONE DELLA FESTA LITURGICA
DEI SANTI GENITORI DELLA BEATA VERGINE MARIA

OMELIA DEL CARDINALE TARCISIO BERTONE

Parrocchia di Sant'Anna in Vaticano
 Giovedì, 26 luglio 2007  
 
Questa Celebrazione Eucaristica ci offre l'occasione per sperimentare la beatitudine di coloro che ascoltano la Parola di Dio; che entrano in relazione viva con il suo disegno di salvezza, attraverso la comunione con il Corpo, Sangue e Anima di Cristo, nostro Salvatore.

"Beati i vostri occhi perché vedono e i vostri orecchi perché sentono. In verità vi dico: molti profeti e giusti hanno desiderato vedere ciò che voi vedete, e non lo videro, e ascoltare ciò che voi ascoltate, e non l'udirono!" (Mt 13, 16-17). Gesù fa sentire ai suoi discepoli la grandezza del dono ricevuto. Ad essi non parla in parabole del regno di Dio. Le parabole velavano una dottrina che l'interpretazione di molti rischiava di distorcere in senso nazionalistico e materiale; ad essi, che erano docili e umili, Gesù comunicava l'esatta interpretazione delle parabole: la felicità e la liberazione è per tutti, soprattutto per gli emarginati, gli ammalati, gli oppressi, i deboli, le donne, gli esclusi, i piccoli, gli stranieri, i poveri; l'origine di questa liberazione terrena ed eterna è Dio, che egli annuncia come Padre, Figlio e Spirito Santo.

Il Dio Trinitario non è un mistero incomprensibile, del quale è meglio non parlare. Il suo mistero è il mistero dell'Amore, nel quale tutti siamo inseriti. Ma per comprenderlo occorre diventare amici di Gesù - come ci invita costantemente a fare il Santo Padre - suoi intimi, suoi discepoli, occorre seguirlo nella sua missione.

Il motivo che ci riunisce intorno all'altare di questa Chiesa parrocchiale del Vaticano, dedicata a Sant'Anna, è la festa patronale. Anna e Gioacchino, esemplari sposi ebrei, hanno vissuto un tempo cruciale della storia della salvezza, nel momento in cui stava per avverarsi la promessa di Dio ad Abramo, e l'umanità stava per ricevere la risposta attesa dai giusti dell'Antico Testamento, che aspettavano la consolazione di Israele.

Abbiamo ascoltato le parole del Salmo 131 sulla fedeltà di Dio alla sua promessa: "Il Signore ha giurato a Davide e non ritratterà la sua parola: "Il frutto delle tue viscere io metterò sul tuo trono!". Il Signore ha scelto Sion, l'ha voluta per sua dimora: "Questo è il mio riposo per sempre; qui abiterò, perché l'ho desiderato"".

Anna e Gioacchino erano senz'altro del numero di quei pii ebrei che aspettavano la consolazione di Israele, e proprio a loro è stato dato un compito speciale nella storia della salvezza: sono stati scelti da Dio per generare l'Immacolata, la quale a sua volta è chiamata a generare il Figlio di Dio.

Conosciamo i nomi dei genitori della Beata Vergine tramite un testo non canonico, il Protovangelo di Giacomo. Essi sono citati nella pagina che precede l'annuncio dell'Angelo a Maria. Questa loro figlia non poteva non irradiare quella grazia tutta speciale della sua immacolatezza, la pienezza di grazia che la preparava per il disegno della maternità divina.

Possiamo immaginare quanto da lei avranno ricevuto questi due genitori, nello stesso tempo in cui esercitavano il loro compito di educatori. Il quadro che sovrasta l'altare di questa chiesa ci fa intuire qualcosa di quello che può essere stato il rapporto tra Sant'Anna e Maria anche nei confronti della Parola di Dio rivelata. Le univano, madre e figlia, oltre ai legami familiari, l'attesa condivisa del compimento delle promesse, la preghiera multiforme dei Salmi, il richiamo di una vita donata a Dio.

Avremo noi gli occhi e gli orecchi aperti per riconoscere un così alto mistero? Chiediamo ai Santi Anna e Gioacchino non solo di vedere e di udire il messaggio di Dio, ma anche di partecipare, con l'amore verso quanti incontreremo, al suo amore, in particolare portando a tutte le nostre famiglie luce e speranza. A Sant'Anna in particolare affidiamo le mamme, soprattutto quelle che sono ostacolate nella difesa della vita nascente o trovano difficoltà nel crescere ed educare i propri figli.

Papa Giovanni Paolo II nel visitare per la prima volta questa sua parrocchia di S. Anna (il 10 dicembre 1978), parlò, per così dire, della casa paterna di Maria, Madre di Cristo; di quella casa in cui, circondata dall'amore e dalla sollecitudine dei suoi genitori, Maria "imparava" da sua madre, come essere madre: "Quando dunque come "eredi della promessa" (cfr Gal 4, 28.31) divina, ci troviamo nel raggio di questa maternità - ha detto il Servo di Dio Giovanni Paolo II -, e quando risentiamo la sua santa profondità e pienezza, pensiamo allora che fu proprio Sant'Anna la prima a insegnare a Maria, sua figlia, come essere madre".

Ma c'è un altro aspetto che vorrei sottolineare: i Santi Anna e Gioacchino possono essere presi come modello anche per la loro santità vissuta in età avanzata. Secondo un'antica tradizione essi erano già anziani quando fu loro affidato il compito di dare al mondo, custodire e allevare la Santa Madre di Dio.

Nella Sacra Scrittura la vecchiaia è circondata di venerazione (2 Mac 6, 23). Il giusto non chiede di essere privato della vecchiaia e del suo peso; al contrario così egli prega: "Sei tu, Signore, la mia speranza, la mia fiducia fin dalla mia giovinezza... E ora nella vecchiaia e nella canizie, Dio, non abbandonarmi, finché io annunzi la tua potenza, a tutte le generazioni le tue meraviglie" (Sal 71 [70], 5-18).

Con la sua stessa presenza, la persona anziana ricorda a tutti, e specialmente ai giovani, che la vita sulla terra è una "parabola" con un suo inizio ed una sua fine: per provare la sua pienezza essa chiede di riferirsi a valori non effimeri e superficiali, ma solidi e profondi.

Purtroppo un gran numero di giovani del nostro tempo si avviano ad una concezione della vita in cui i valori etici diventano sempre più superficiali, dominati come sono da un edonismo imperante. Ciò che preoccupa soprattutto è che le famiglie si disgregano mano a mano che gli sposi giungono all'età matura e avrebbero maggior bisogno di amore, di aiuto e di comprensione vicendevole.

Gli anziani che hanno ricevuto una sana educazione morale dovrebbero dimostrare con la vita e con la loro condotta sul lavoro la bellezza di una sana vita morale. Dovrebbero dimostrare ai giovani la forza profonda della fede che ci hanno trasmesso i nostri martiri, e la bellezza della fedeltà alle leggi divine della morale coniugale.

Tempo fa si è rivolto a me un gruppo di cattolici giapponesi, desiderosi di costituire una Pia Associazione ispirata ai Santi Gioacchino ed Anna, che raggruppa coppie di sposi della così detta "terza età", dedite proprio a promuovere gli ideali di vita che ho appena esposto.
Per terminare desidero proporre a tutti voi qui presenti, la preghiera che essi recitano quotidianamente:

O Santi Gioacchino e Anna,
proteggete le nostre famiglie,
dai promettenti inizi
fino all'età matura,
carica delle sofferenze della vita,
e sorreggetele nella fedeltà
alle solenni promesse.

Accompagnate coloro che, anziani,
si avvicinano all'incontro con Dio.
Addolcite il trapasso, supplicando
per quell'ora la materna presenza
della vostra diletta figlia,
la Vergine Maria,
e del suo divin Figlio: Gesù.
Amen. 

Dalla vita di San Giacomo il Maggiore, spunti di riflessione

Oggi la Chiesa Cattolica celebra uno dei dodici Apostoli, San Giacomo il Maggiore, fratello di San Giovanni Apostolo ed Evangelista. Per l'occasione pubblichiamo l'Udienza Generale del Santo Padre Benedetto XVI dedicata al Santo Apostolo che festeggiamo oggi, tenutasi in Piazza San Pietro il 21 giugno 2006:


BENEDETTO XVI

UDIENZA GENERALE

Piazza San Pietro
Mercoledì, 21 giugno 2006

Giacomo, il Maggiore

Cari fratelli e sorelle,

proseguendo nella serie di ritratti degli Apostoli scelti direttamente da Gesù durante la sua vita terrena. Abbiamo parlato di san Pietro, di suo fratello Andrea. Oggi incontriamo la figura di Giacomo. Gli elenchi biblici dei Dodici menzionano due persone con questo nome: Giacomo figlio di Zebedeo e Giacomo figlio di Alfeo (cfr Mc 3,17.18; Mt 10,2-3), che vengono comunemente distinti con gli appellativi di Giacomo il Maggiore e Giacomo il Minore. Queste designazioni non vogliono certo misurare la loro santità, ma soltanto prendere atto del diverso rilievo che essi ricevono negli scritti del Nuovo Testamento e, in particolare, nel quadro della vita terrena di Gesù. Oggi dedichiamo la nostra attenzione al primo di questi due personaggi omonimi.

Il nome Giacomo è la traduzione di Iákobos, forma grecizzata del nome del celebre patriarca Giacobbe. L’apostolo così chiamato è fratello di Giovanni, e negli elenchi suddetti occupa il secondo posto subito dopo Pietro, come in Marco (3,17), o il terzo posto dopo Pietro e Andrea nel Vangeli di Matteo (10,2) e di Luca (6,14), mentre negli Atti viene dopo Pietro e Giovanni (1,13). Questo Giacomo appartiene, insieme con Pietro e Giovanni, al gruppo dei tre discepoli privilegiati che sono stati ammessi da Gesù a momenti importanti della sua vita.

Poiché fa molto caldo, vorrei abbreviare e menzionare qui solo due di queste occasioni. Egli ha potuto partecipare, insieme con Pietro e Giovanni, al momento dell’agonia di Gesù nell’orto del Getsemani e all’evento della Trasfigurazione di Gesù. Si tratta quindi di situazioni molto diverse e l’una dall’altra: in un caso, Giacomo con gli altri due Apostoli sperimenta la gloria del Signore, lo vede nel colloquio con Mosé ed Elia, vede trasparire lo splendore divino in Gesù; nell’altro si trova di fronte alla sofferenza e all’umiliazione, vede con i propri occhi come il Figlio di Dio si umilia facendosi obbediente fino alla morte. Certamente la seconda esperienza costituì per lui l’occasione di una maturazione nella fede, per correggere l’interpretazione unilaterale, trionfalista della prima: egli dovette intravedere che il Messia, atteso dal popolo giudaico come un trionfatore, in realtà  non era soltanto circonfuso di onore e di gloria, ma anche di patimenti e di debolezza. La gloria di Cristo si realizza proprio nella Croce, nella partecipazione alle nostre sofferenze.

Questa maturazione della fede fu portata a compimento dallo Spirito Santo nella Pentecoste, così che Giacomo, quando venne il momento della suprema testimonianza, non si tirò indietro. All’inizio degli anni 40 del I secolo il re Erode Agrippa, nipote di Erode il Grande, come ci informa Luca, “cominciò a perseguitare alcuni membri della Chiesa, e fece uccidere di spada Giacomo fratello di Giovanni” (At 12,1-2). La stringatezza della notizia, priva di ogni dettaglio narrativo, rivela, da una parte, quanto fosse normale per i cristiani testimoniare il Signore con la propria vita e, dall’altra, quanto Giacomo avesse una posizione di spicco nella Chiesa di Gerusalemme, anche a motivo del ruolo svolto durante l’esistenza terrena di Gesù. Una tradizione successiva, risalente almeno a Isidoro di Siviglia, racconta di un suo soggiorno in Spagna per evangelizzare quella importante regione dell'impero romano. Secondo un’altra tradizione, sarebbe invece stato il suo corpo ad essere trasportato in Spagna, nella città di Santiago di Compostella. Come tutti sappiamo, quel luogo divenne oggetto di grande venerazione ed è tuttora mèta di numerosi pellegrinaggi, non solo dall’Europa ma da tutto il mondo. E’ così che si spiega la rappresentazione iconografica di san Giacomo con in mano il bastone del pellegrino e il rotolo del Vangelo, caratteristiche dell’apostolo itinerante e dedito all’annuncio della “buona notizia”, caratteristiche del pellegrinaggio della vita cristiana.

Da san Giacomo, dunque, possiamo imparare molte cose: la prontezza ad accogliere la chiamata del Signore anche quando ci chiede di lasciare la “barca” delle nostre sicurezze umane, l’entusiasmo nel seguirlo sulle strade che Egli ci indica al di là di ogni nostra illusoria presunzione, la disponibilità a testimoniarlo con coraggio, se necessario, fino al sacrificio supremo della vita. Così Giacomo il Maggiore si pone davanti a noi come esempio eloquente di generosa adesione a Cristo. Egli, che inizialmente aveva chiesto, tramite sua madre, di sedere con il fratello accanto al Maestro nel suo Regno, fu proprio il primo a bere il calice della passione, a condividere con gli Apostoli il martirio.

E alla fine, riassumendo tutto, possiamo dire che il cammino non solo esteriore ma soprattutto interiore, dal monte della Trasfigurazione al monte dell’agonia, simbolizza tutto il pellegrinaggio della vita cristiana, fra le persecuzioni del mondo e le consolazioni di Dio, come dice il Concilio Vaticano II.  Seguendo Gesù come san Giacomo, sappiamo, anche nelle difficoltà, che andiamo sulla strada giusta.


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Una doppia cittadinanza

Concludiamo la giornata liturgica attraverso l'ormai consueto appuntamento di meditazione con le riflessioni di noti sacerdoti e movimenti religiosi. Oggi riflettiamo attraverso le parole di mons. Roberto Brunelli:


"Il regno dei cieli è simile a un tesoro? a un mercante di perle? a una rete gettata in mare": così il vangelo di oggi (Matteo 13, 44-52), dopo quelli delle scorse domeniche, in cui era paragonato a un granello di senapa, a un pugno di lievito, alla semente caduta su terreni diversi, al buon grano cresciuto insieme alla zizzania. Tre domeniche di parabole sul Regno, sette paragoni usati da Gesù per spiegare una realtà evidentemente di somma importanza. Due conferme significative: proprio con l'annuncio di questa realtà egli aveva dato inizio alla sua predicazione ("Convertitevi, perché il regno dei cieli è vicino": Matteo 4,17) e, quando ha insegnato ai suoi come pregare, tra l'altro li ha invitati a chiedere al Padre "Venga il tuo regno".
Realtà di somma importanza, il regno di Dio (o regno dei cieli, come lo chiama Matteo), eppure quanti equivoci sussistono sul suo significato. Sarà dunque opportuno chiarirlo: Gesù parlava di un regno che ha un sovrano e una legge, ma non si può paragonare ai regni o repubbliche di questo mondo; non è uno stato che viene ad aggiungersi agli esistenti; non ha un territorio, un parlamento, un esercito; non ha scuole né fabbriche né attività economiche da gestire. Il regno di Dio ha la sua piena e perfetta attuazione nel mondo oltre questo; qui si prepara e si diffonde, nella misura in cui i singoli esseri umani riconoscono quel Sovrano e vivono la sua Legge. In altre parole, tutti sono cittadini di uno stato, ma possono usufruire di una doppia cittadinanza, perché a quella della carta d'identità possono aggiungere quella comune a chi si riconosce, vuole essere, opera da cristiano. L'appartenenza al regno di Dio non risulta dai registri anagrafici; avviene per un'interiore libera adesione che conosce solo Lui, e semmai si manifesta nei buoni frutti che da quell'adesione derivano. Neppure la Chiesa si identifica qui in terra con il regno di Dio; essa è piuttosto lo strumento per farlo conoscere e invitare ad aderirvi, l'ambito privilegiato in cui gli aderenti al Regno trovano il sostegno occorrente a farlo crescere dentro di sé.
Di questa realtà tutta spirituale, le sette parabole aiutano a comprendere il valore e le dinamiche. Il seminatore sparge la semente su terreni diversi; quella caduta sull'arido sentiero va perduta, quella tra i sassi e i rovi non trova dove mettere radici durevoli, ma quella che trova terreno fertile dà frutti abbondanti. Vale a dire, Dio rivolge a tutti la sua Parola; sta agli uomini rifiutarla, recepirla solo superficialmente, o lasciarle mettere radici profonde e così portare frutto.
Il buon grano cresce insieme alle erbacce; i pescatori trovano nella rete pesci buoni e pesci cattivi (così allora valutavano gli animali marini senza lisca, come i gamberi, i calamari, le cozze): nel mondo sono presenti buoni e cattivi, bene e male convivono persino dentro di noi, ma solo Dio sa davvero distinguerli e ha l'autorità di premiare gli uni e condannare gli altri.
Ancora: un pizzico di lievito fa fermentare tutto l'impasto; da un seme piccolissimo come quello della senape può nascere addirittura un alberello. E' il mistero del Regno, per noi già riconoscibile: così piccolo agli esordi (i pochi amici di Gesù) e poi sviluppatosi oltre ogni umana attesa (pensiamo al numero incalcolabile di cristiani lungo i secoli, e all'incalcolabile bene da loro realizzato). E ancora: il Regno è prezioso come un tesoro, come una perla bellissima, per avere la quale conviene rinunciare a tutto il resto: nulla vale più dell'essere amici di Dio già adesso, per esserlo poi definitivamente.
Chiediamo a Dio la grazia di capirlo. La prima lettura di oggi (1Re 3,5-12) parla del giovane Salomone appena diventato re. Dio lo invita a chiedergli quel che desidera, e in base alla risposta sentenzia: "Poiché non mi hai domandato una lunga vita, o le ricchezze, o la vittoria sui nemici ma la saggezza, te la concederò".

Riflettendo su Santa Brigida di Svezia

Oggi la chiesa celebra Santa Brigida e noi la celebriamo con una riflessione della nostra cara Enza:

VANGELO (Gv 15,1-8)

In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli: "Io sono la vite vera e il Padre mio è l'agricoltore. Ogni tralcio che in me non porta frutto, lo taglia, e ogni tralcio che porta frutto, lo pota perché porti più frutto. Voi siete già puri, a causa della parola che vi ho annunciato.
Rimanete in me e io in voi. Come il tralcio non può portare frutto da se stesso se non rimane nella vite, così neanche voi se non rimanete in me. Io sono la vite, voi i tralci. Chi rimane in me, e io in lui, porta molto frutto, perché senza di me non potete far nulla. Chi non rimane in me viene gettato via come il tralcio e secca; poi lo raccolgono, lo gettano nel fuoco e lo bruciano.
Se rimanete in me e le mie parole rimangono in voi, chiedete quello che volete e vi sarà fatto. In questo è glorificato il Padre mio: che portiate molto frutto e diventiate miei discepoli".

Santa Brigida è la patrona d’Europa. Una mistica che si è donata totalmente a Gesù. Rimasta vedova e con otto figli, entrò come terziaria Francescana e fondò un ordine religioso. Educò al cristianesimo i suoi figli insegnando loro la carità cristiana. Questo Vangelo di oggi ci insegna che con il battesimo Dio ci innesta nella Vite che è Gesù. Ecco la grande responsabilità che hanno i cristiani: portare frutto, ed è solo assorbendo la linfa dalla Vite che il tralcio non secca. Purtroppo oggi il mondo ci dice che dobbiamo vivere e godercela finchè possiamo, perché si vive una volta sola, e così seguendo la via larga il popolo si perde nel peccato mortale. Sappiamo che la misericordia di Dio è per sempre, ma l’uomo che spesso è lontano dalla sua Parola di vita eterna, non riesce a far penetrare la bontà di Dio nel proprio cuore, smarrendosi. Se rimaniamo in Gesù portiamo molto frutto, perché Dio che è il “Contadino”, poterà i tralci perché diano frutto. Non solo nella nostra vita possiamo portare frutto se guardiamo a Gesù, ma pure quando moriamo, lì Dio attua l’ultima potatura. Mentre chi elimina Gesù dalla propria vita, mancando della sua linfa si muore spiritualmente e il Signore nell’ultimo giorno taglierà il ramo secco che non ha portato frutto e lo getterà nel fuoco a bruciare.
E’ con la perseveranza, è rimanere in Gesù che Dio accoglierà le nostre suppliche e ci darà tutto ciò di cui abbiamo bisogno. Chiediamo allora al Signore la grazia che custodisca le nostre famiglie nel bene, e che tutti i cristiani perseguitati abbiano quella pace tanto desiderata. Preghiamo per i governi che nulla più conoscono della carità cristiana. Hanno costruito con le loro mani quegli idoli da dare al popolo per ottenere gloria e potere, lasciando nella povertà e nella tribolazione milioni di famiglie.

Rosarium Virginis Mariae - XVI parte

Carissimi, come ogni Mercoledì e Venerdì, continuiamo la meditazione del Santo Rosario attraverso la Lettera Apostolica "Rosarium Virginis Mariae del Beato Giovanni Paolo II che ha sempre nutrito un amore speciale per la Mamma Celeste: 

CONCLUSIONE - prima parte

« Rosario benedetto di Maria, catena dolce che ci rannodi a Dio »

39. Quanto fin qui s'è detto, esprime ampiamente la ricchezza di questa preghiera tradizionale, che ha la semplicità di una preghiera popolare, ma anche la profondità teologica di una preghiera adatta a chi avverte l'esigenza di una contemplazione più matura.

A questa preghiera la Chiesa ha riconosciuto sempre una particolare efficacia, affidando ad essa, alla sua recita corale, alla sua pratica costante, le cause più difficili. In momenti in cui la cristianità stessa era minacciata, fu alla forza di questa preghiera che si attribuì lo scampato pericolo e la Vergine del Rosario fu salutata come propiziatrice della salvezza.

Oggi all'efficacia di questa preghiera consegno volentieri – l'ho accennato all'inizio – la causa della pace nel mondo e quella della famiglia.

La pace

40. Le difficoltà che l'orizzonte mondiale presenta in questo avvio di nuovo Millennio ci inducono a pensare che solo un intervento dall'Alto, capace di orientare i cuori di quanti vivono situazioni conflittuali e di quanti reggono le sorti delle Nazioni, può far sperare in un futuro meno oscuro.

Il Rosario è preghiera orientata per sua natura alla pace, per il fatto stesso che consiste nella contemplazione di Cristo, Principe della pace e « nostra pace » (Ef 2,14). Chi assimila il mistero di Cristo – e il Rosario proprio a questo mira –, apprende il segreto della pace e ne fa un progetto di vita. Inoltre, in forza del suo carattere meditativo, con il tranquillo succedersi delle Ave Maria, il Rosario esercita sull'orante un'azione pacificante che lo dispone a ricevere e sperimentare nella profondità del suo essere e a diffondere intorno a sé quella pace vera che è dono speciale del Risorto (cfr Gv 14, 27; 20, 21).

È poi preghiera di pace anche per i frutti di carità che produce. Se ben recitato come vera preghiera meditativa, il Rosario, favorendo l'incontro con Cristo nei suoi misteri, non può non additare anche il volto di Cristo nei fratelli, specie in quelli più sofferenti. Come si potrebbe fissare, nei misteri gaudiosi, il mistero del Bimbo nato a Betlemme senza provare il desiderio di accogliere, difendere e promuovere la vita, facendosi carico della sofferenza dei bambini in tutte le parti del mondo? Come si potrebbero seguire i passi del Cristo rivelatore, nei misteri della luce, senza proporsi di testimoniare le sue beatitudini nella vita di ogni giorno? E come contemplare il Cristo carico della croce e crocifisso, senza sentire il bisogno di farsi suoi « cirenei » in ogni fratello affranto dal dolore o schiacciato dalla disperazione? Come si potrebbe, infine, fissare gli occhi sulla gloria di Cristo risorto e su Maria incoronata Regina, senza provare il desiderio di rendere questo mondo più bello, più giusto, più vicino al disegno di Dio?

Insomma, mentre ci fa fissare gli occhi su Cristo, il Rosario ci rende anche costruttori della pace nel mondo. Per la sua caratteristica di petizione insistente e corale, in sintonia con l'invito di Cristo a pregare « sempre, senza stancarsi » (Lc 18,1), esso ci consente di sperare che, anche oggi, una 'battaglia' tanto difficile come quella della pace possa essere vinta. Lungi dall'essere una fuga dai problemi del mondo, il Rosario ci spinge così a guardarli con occhio responsabile e generoso, e ci ottiene la forza di tornare ad essi con la certezza dell'aiuto di Dio e con il proposito fermo di testimoniare in ogni circostanza « la carità, che è il vincolo di perfezione » (Col 3, 14).

La vera fede e religione è quella cristiana cattolica

Concludiamo oggi la nostra giornata sulla Vigna su una delle domande più frequenti: qual è la vera religione? A queste domande hanno già risposto tutti i Santi, in particolare citiamo Sant'Alfonso Maria de' Liguori in "Verità della Fede" che tra l'altro potete seguire ogni mercoledì in Angolo della Sapienza. Oggi però leggiamo una delle tante risposte da un articolo del sito dell'Associazione Gesù e Maria: http://www.gesuemaria.it con una bella meditazione su quale sia la vera religione e perché quella cattolica è quella vera:


Qual è la vera chiesa, la vera religione?




Rechiamoci col pensiero, per un istante, ad Assisi, patria di S. Francesco. Nella storia dell’umanità mai c’è stato un avvenimento simile. Per iniziativa di Giovanni Paolo II si sono riuniti, per la prima volta, i rappresentanti delle principali religioni del mondo (il 27 Ottobre 1986).
Si sono radunati per pregare insieme e digiunare allo scopo di chiedere a Dio “pace e bene” per tutta l’umanità che era in pericolo di una conflagrazione atomica.
Se questa riunione dei rappresentanti delle religioni fosse avvenuta ai tempi di S. Francesco, questi avrebbe fatto grandi salti per la gioia. Assisi, almeno per un giorno, è diventata la capitale spirituale del mondo, la capitale di tutte le religioni. Quante religioni ci sono sulla terra!
1. TUTTE LE RELIGIONI SONO UGUALI? No! Se fossero tutte uguali ci sarebbe una sola religione.
2. TUTTE LE RELIGIONI SONO VERE? No! Sarebbe lo stesso che voler sostenere che 2+2 fa e 4 e 5 e 6 e 80 e così all’infinito: sono tante le risposte possibili, ma una sola è la risposta vera: 2+2 fa 4. Così si dica delle religioni: sono tante, ma una sola è la religione vera (cioè che ha la pienezza della verità). In altre parole: ogni religione ha un certo numero di verità, ma una sola può avere tutte le verità, poiché – come dice S. Paolo – uno solo è il Signore, quindi una sola è la Fede ossia la vera religione: “Un solo corpo, un solo spirito, come una sola è la speranza alla quale siete stati chiamati; un solo Signore, una sola Fede, un solobattesimo. Un solo Dio Padre di tutti”.
3. QUAL’È LA RELIGIONE VERA? QUELLA CRISTIANA!Soltanto Dio ha la possibilità di non insegnare alcun errore e di rivelarci solo delle verità. Quindi l’unica religione vera è quella istituita da Dio ossia la religione Cristiana, istituita da Cristo Dio. Perciò, con rispettosa ammirazione mettiamo da parte tutte le religioni istituite da uomini: il buddismo, l’induismo, il maomettanesimo e ogni altra religione non cristiana. Mettiamo pure da parte, con devota stima, l’ebraismo istituito da Dio, ma come preparazione alla venuta di Cristo, e perciò destinato a sfociare nel Cristianesimo.
4. TRA LE MOLTE CHIESE O RELIGIONI CRISTIANE QUAL’È QUELLA VERA? È LA CHIESA O RELIGIONE CATTOLICA.
Sono tante Chiese che si dicono cristiane; ecco le principali:
La Chiesa Cattolica, che conta 980 milioni di anime.
La Chiesa Ortodossa separata da quella Cattolica da circa mille anni; conta 250 milioni di anime; professa quasi tutte le verità sempre credute dalla Chiesa cattolica, con la quale è in ottimi e cordiali rapporti.
Dobbiamo pregare perché avvenga quanto prima la riunificazione delle due Chiese sorelle.
La Chiesa protestante, separata dalla Chiesa cattolica dal tempo di Lutero (1522). È suddivisa in 400 Chiese o religioni protestanti principali (oggi agglomerate nel Consiglio mondiale delle Chiese Evangeliche) e in migliaia di Chiese protestanti secondarie. Tutte queste Chiese protestanti, insieme, contano circa 550 milioni di anime. Con la Chiesa cattolica sono in buoni rapporti ecumenici.
Inoltre dal principio protestante del libero esame della Bibbia sono pullulate innumerevoli Sette che oggi costituiscono un enorme pericolo per tutto il cristianesimo sia cattolico che protestante: di queste parleremo nella prossima catechesi.
Povero Protestantesimo, frantumato in centinaia e migliaia di Chiese o religioni, una diversa dall’altra! S. Paolo grida: “Cristo è stato forse diviso? (2)” Non ci sono centinaia e migliaia di Cristo! Uno solo è Cristo, quindi una sola è la vera Chiesa di Cristo!
A – Non possono essere vere le Chiese Protestanti per questi motivi:
Praticamente sono fondate da uomini quali Lutero, Calvino, Enrico VIII, ecc.
Negano alcuni Sacramenti e diverse verità che i loro antenati hanno creduto per 1.400 anni.
Conservano alcuni principi non santi e che possono spingere all’indifferentismo e perfino al peccato, come esprimiamo qui sotto.
Ritengono che sia sufficiente la Fede per la salvezza eterna e non occorrono le opere.
Sostengono che ognuno è già predestinato da Dio o al paradiso o all’inferno. Quindi è inutile essere virtuosi.
Professano il libero esame della Bibbia quindi la supremazia del giudizio privato nella interpretazione della Sacra Scrittura. Principio contagioso e catastrofico come riconobbe lo stesso Lutero che andava ripetendo: nel Protestantesimo ci sono tante religioni quante sono le teste.
Negano l’autorità che Gesù ha dato al Papa, autorità che i Riformatori attribuiscono poi a se stessi.
Lutero si attribuì un’autorità tanto esagerata da scrivere: “Io non posso sentire né sopportare niente che sia contrario a ciò che insegno. Chiunque insegna diversamente da quello che io insegno, sarà figlio dell’inferno”.
Calvino attribuiva a sè un’autorità dispotica. Ha scritto: “Dio ha conferito a me l’autorità di dichiarare ciò che è bene e ciò che è male”.Conforme a queste sue idee dittatoriali, comandava si infliggesse la morte, o di spada o di fuoco, a tutti quelli che non la pensavano come lui. Fece imprigionare il suo avversario in teologia, Serveto, e lo fece morire a fuoco lento.
Lutero nega il libero arbitrio cioè la libertà umana e quindi la responsabilità dell’individuo; perciò esorta perfino a peccare, come per esempio quando scrive: “Sii peccatore, e pecca fortemente. Bisogna peccare per tutto il tempo che siamo in questo mondo; il peccato non può separarci da Dio, dovessimo anche ogni giorno commettere mille adulteri ed altrettanti omicidi”.
Enrico VIII, dopo aver difeso la chiesa Cattolica contro Lutero e Calvino, per il fatto che il Papa non gli concesse il divorzio dalla sua legittima moglie, abbandonò il Cattolicesimo e fondò la Chiesa Protestante anglicana di cui si dichiarò Capo al posto del Papa. Poi si risposò cinque volte, e due spose le uccise e altre tre le ripudiò. Condannò alla morte molti nobili (tra cui il suo Cancelliere S. Tommaso Moro), perché non lo vollero riconoscere capo supremo della Chiesa.
Tuttavia molti dei nostri fratelli Protestanti o Evangelici di oggi– lo diciamo con stima e con gioia – hanno abbandonato alcune posizioni estremiste dei loro fondatori, e lentamente, mediante fraterni e cordiali dialoghi con la Chiesa Cattolica, stanno avvicinandosi alle verità credute dai loro antenati prima di Lutero, per 1400 anni (quando erano Cattolici).
A loro noi Cattolici chiediamo perdono, come fece Paolo VI in Terra Santa e Giovanni Paolo II nel Giubileo, poiché noi, pur avendo conservate sempre tutte le verità del Vangelo, rompemmo l’amore, la carità verso di essi e verso i loro Fondatori: se li avessimo amati come Gesù comanda, forse non ci sarebbero state queste divisioni. Dobbiamo molto pregare per l’unità di tutti i cristiani.
Comunque possiamo esclamare con il celebre prof. Paul Claudel: “Che volete con tutte le vostre religioni? Ce ne sono tante di religioni? Per me non ce n’è che una: la religione cristiana, cattolica, apostolica e romana. Tutto il resto non è che opera dell’uomo”. E possiamo gridare con Leone Bloy: “Sei fuori della Chiesa Cattolica? Sei nell’errore!” Sei nella Chiesa Cattolica? Ti dirò conS. Paolo: Essa “è colonna e fondamento della verità”.

Sant'Elia il Tisbita, Profeta

Concludiamo la giornata sulla Vigna conoscendo meglio la figura del Santo profeta Elia, nel giorno in cui la Chiesa Cattolica ne fa memoria. Lo facciamo attraverso il Martirologio Romano:


Commemorazione di sant’Elia Tisbita, che fu profeta del Signore nei giorni di Acab e di Acazia, re di Isræle, e con tale forza rivendicò i diritti dell’unico Dio contro l’infedeltà del popolo, da prefigurare non solo Giovanni Battista, ma il Cristo stesso; non lasciò profezie scritte, ma la sua memoria viene fedelmente conservata, in particolare sul monte Carmelo.

Elia con Eliseo e Samuele, è uno dei più grandi profeti di ione (distinti dai profeti scrittori, come Isaia, Geremia, Ezechiele e Daniele, che hanno lasciato degli scritti inanone dei Libri sacri), e la sua missione fu di incitare il popolo alla fedeltà all'unico vero Dio, senza lasciarsi sedurre dall'influsso del culto idolatrico e licenzioso di Canaan. Elia (il cui nome significa "il mio Dio è Jahvè") nacque verso la fine del X sec. a.C. e svolse gran parte della sua missione sotto il regno del pavido Acab (873-854), docile strumento nelle mani dell'intrigante moglie Jezabel, di origine fenicia, che aveva dapprima favorito e poi imposto il culto del dio Baal.
Quando ormai il monoteismo pareva soffocato e la maggioranza del popolo aveva abbracciato l'idolatria, Elia si presentò dinanzi al re Acab ad annunciargli, come castigo, tre anni di siccità. Abbattutosi il flagello sulla Palestina, Elia ritornò dal re e per dimostrare la inanità degli idoli lanciò la sfida sul monte Carmelo contro i 400 profeti di Baal. Quando sul solo altare innalzato da Elia si accese prodigiosamente la fiamma, e l'acqua invocata scese a porre fine alla siccità, il popolo esultante linciò i sacerdoti idolatri. Elia credette giunto il momento del trionfo di Javhè, e perciò tanto più amara e incomprensibile gli apparve la necessità di sottrarsi con la fuga all'ira della furente Jezabel.
Braccato nel deserto come un animale da preda, l'energico e intransigente profeta sembrò avere un attimo di cedimento allo sconforto. Il suo lavoro, la sua stessa vita gli apparvero inutili e pregò Dio di recidere il filo che lo teneva ancora legato alla terra. Ma un angelo lo confortò, porgendogli una focaccia e una brocca d'acqua; poi Dio stesso gli apparve, restituendogli l'indomito coraggio di un tempo. Elia comprese che Dio non propizia il trionfo del bene con gesti spettacolari, ma agisce con longanime pazienza, poiché egli è l'Eterno e domina il tempo.
Il fiero profeta, che indossava un mantello di pelle sopra un rozzo grembiule stretto ai fianchi, come otto secoli dopo vestì il precursore di Cristo, Giovanni Battista, di cui è la prefigurazione, tornò con rinnovato zelo in mezzo al popolo di Dio, ma non assistette al pieno trionfo di Jahvè. L'opera di riedificazione spirituale, tanto faticosamente iniziata, venne portata avanti con pieno successo dal suo discepolo Eliseo, al quale comunicò la divina chiamata mentre si trovava nei campi dietro l'aratro, gettandogli sulle spalle il suo mantello. Eliseo fu anche l'unico testimone della misteriosa fine di Elia, avvenuta verso l' 850 a.C., su un carro di fuoco.

Inni e canti a San Camillo de Lellis

Concludiamo la giornata che ci ha fatto riscoprire la figura di San Camillo De Lellis, attraverso la visione di un meraviglioso video ricco di inni e canti al Santo che ha incarnato il vero senso di carità fraterna:

Piccole storie per riflettere

Grazie alla preziosa segnalazione di Enza, riflettiamo quest'oggi attraverso la lettura di due storie semplici, ma  piene di insegnamento morale: 

La piccola coperta bianca 

La piccola coperta bianca che lo aveva scaldato nella culla non lo aveva lasciato. Era minuscola, un po' lisa, e lo accompagnava dovunque. Se proprio era costretto a starle lontano, il bambino pretendeva che il piccolo rettangolo di stoffa bianca fosse in un luogo visibile. Piegata o arrotolata nello zainetto colorato lo seguiva a scuola. La piccola coperta bianca era come la sua ombra. Quando, dopo mille insistenze, la mamma riusciva convincerlo a mettere la coperta in lavatrice,il bambino si sedeva inquieto davanti all' oblò dello sportello e aspettava, senza perderla d'occhio un istante. La sorellina di poco più grande lo canzonava per questa mania, ma al bambino non importava. La coperta era il suo talismano segreto, il suo scudo, la sua protezione. Un giorno, il papà annunciò che per motivi di lavoro doveva affrontare un lungo viaggio in aereo. Per il bambino era una novità. La vigilia della partenza, trascinando la sua coperta, seguì preoccupato tutti gli spostamenti del papà, fissandolo con apprensione durante la preparazione della valigia. «Papà, non cadono mai gli aerei?». «Quasi mai ... ». «Quello che prendi tu è un aereo bello grosso, vero?». «Certo. Il più grosso di tutti».  «E sta su anche se c'è la bufera?». «Di sicuro». «Tu però stai attento. C'è il paracadute?». «Ma sì, bimbo mio». Il padre partì e l'aereo arrivò in orario. L'uomo si sistemò in albergo, ma quando aprì i bagagli rimase di stucco. In cima a tutto, nella valigia, c'era la piccola coperta bianca del suo bambino. Allarmato, telefonò immediatamente alla moglie: «E' capitata una cosa terribile, non so come sia potuto succedere ma la coperta del bambino è qui nella mia valigia! Come facciamo?». «Stai tranquillo. Poco fa il bambino mi ha detto: Non preoccuparti, mamma. Ho dato a papà la mia coperta: non gli succederà niente».




Chi ama protegge. Proteggere è la più bella voce del verbo amare...Dio la pensa così: «Il Signore darà ordine ai suoi angeli di proteggerti ovunque tu vada. Essi ti porteranno sulle loro mani e tu non inciamperai contro alcuna pietra» (Salmo 91,11-12).

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Il monaco giocoliere

La Madonna, con il Bambino Gesù fra le braccia, aveva deciso di scendere in Terra per visitare un monastero. Orgogliosi, tutti i monaci si misero in una lunga fila, presentandosi ciascuno davanti alla Vergine per renderle omaggio. Uno declamò alcune poesie, un altro le mostrò le miniature che aveva preparato per la Bibbia e un terzo recitò i nomi di tutti i santi. E così via, un monaco dopo l'altro, tutti resero omaggio alla Madonna e al Bambino. All'ultimo posto della fila ne rimase uno, il monaco più umile del convento, che non aveva mai studiato i sacri testi dell'epoca. I suoi genitori erano persone semplici, che lavoravano in un vecchio circo dei dintorni, e gli avevano insegnato soltanto a far volteggiare le palline in aria. Quando giunse il suo turno, gli altri monaci volevano concludere l'omaggio perché il povero acrobata non aveva nulla di importante da dire e avrebbe potuto sminuire l'immagine del convento. Ma anche lui, nel profondo del proprio cuore, sentiva un bisogno immenso di offrire qualcosa a Gesù e alla Vergine. Pieno di vergogna, sentendosi oggetto degli sguardi di riprovazione dei confratelli, tirò fuori dalla tasca alcune arance e cominciò a farle volteggiare: perché era l'unica cosa che egli sapesse fare. Fu solo in quell'istante che Gesù Bambino sorride e cominciò a battere le mani in braccio alla Madonna. gE fu verso quel monaco che la Vergine tese le braccia, lasciandogli tenere per un po' il bambinello.
  
Non affannarti nel cercare di apparire ciò che non sei;
il Signore apprezza ciò che offri con amore e niente diventa allora di poco conto!

Sezione dedicata alla nostra amica Patrizia:

Il Dolore solo se è accettato e offerto diviene gioia, altrimenti può diventare disperazione. Il maligno tenta sempre di farci imboccare questa strada, che porta alla distruzione di sè e degli altri.
La domanda, il grido ci salva, perchè, come un bambino quando invoca la mamma è aiutato da lei, a maggior ragione o tanto più la nostra Mamma Celeste viene in nostro soccorso, portandoci lo Spirito Consolatore che ci fa ritornare la speranza.

Questo dolore non è capito dagli uomini, difficilmente ci possono aiutare, di solito LO aumentano!

Solo TU Signore ci comprendi totalmente, perchè siamo opera Tua. Fa' o Signore che possiamo amare anche chi non comprendiamo o non ci comprende, grazie. (Patrizia)

Gesù Cristo

Gesù Cristo
«Ti rendo lode, Padre, Signore del cielo e della terra, perché hai nascosto queste cose ai sapienti e ai dotti e le hai rivelate ai piccoli. Sì, o Padre, perché così hai deciso nella tua benevolenza. Tutto è stato dato a me dal Padre mio; nessuno conosce il Figlio se non il Padre, e nessuno conosce il Padre se non il Figlio e colui al quale il Figlio vorrà rivelarlo».

Riflettiamo

Impariamo a soffermarci sulle parole e meditiamone il loro significato

L'importanza della preghiera

Chi prega, certamente si salva; chi non prega certamente si danna. Tutti i beati, eccettuati i bambini, si sono salvati col pregare. Tutti i dannati si sono perduti per non pregare; se pregavano non si sarebbero perduti. E questa è, e sarà la loro maggiore disperazione nell’inferno, l’aversi potuto salvare con tanta facilità, quant’era il domandare a Dio le di lui grazie, ed ora non essere i miseri più a tempo di domandarle

(Sant'Alfonso Maria De' Liguori)

Accrescere la cultura

«Io voglio vivere per Gesù e per la Chiesa. La scienza che serve a farmi vivere sempre più per il Signore e per la Chiesa è la cultura della mia vita e tutta la mia vita di cultura». Ogni giorno, ogni ora, ogni istante io sento il bisogno di accrescere le mie conoscenze. E la Chiesa è una fonte inesauribile di vita e di cultura per me!».

(San Pio da Pietrelcina)

Il dono della Sapienza

Nella Sapienza c’è uno spirito intelligente, santo, unico, molteplice, sottile, mobile, penetrante, senza macchia, terso, inoffensivo, amante del bene, acuto, libero, benefico, amico dell’uomo, stabile, sicuro, senz’affanni. 
Onnipotente, onniveggente e che pervade tutti gli spiriti intelligenti, puri, sottilissimi. 
È un’emanazione della potenza di Dio, un effluvio genuino della gloria dell’Onnipotente, per questo nulla di contaminato in essa s’infiltra. 
È un riflesso della Luce perenne, uno specchio senza macchia dell’attività di Dio e un’immagine della sua bontà.

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Le preghiere dei Santi:

Le preghiere dei Santi:
Noi ci affidiamo a te. Non abbandonarci alla tristezza perché tu, Signore, sei con noi sempre. Tu non ci lascerai un istante. Se non avessi steso la mano, quante volte la nostra fede avrebbe vacillato! Tu, Signore, sei sempre intento ad accogliere le nostre confidenze. Aiutaci a non abbatterci nelle sofferenze fisiche e morali. Non permettere di affliggerci fino a perdere la pace interiore. Fa’ che camminiamo con buona fede, senza inquietudini e sconforti. Noi ci affidiamo a te: prendici la mano e guidaci pur per incogniti sentieri. Insegnaci ad affrontare la prova a mente serena, per amore tuo che la permetti. Donaci di acquistare tesori per la santa eternità. (San Pio da Pietrelcina)

Dio, nostro Padre, tu hai tanto amato gli uomini da mandare a noi il tuo unico Figlio Gesù, nato dalla Vergine Maria, per salvarci e ricondurci a te. Ti preghiamo, Padre buono, dona la tua benedizione anche a noi, ai nostri genitori, alle nostre famiglie e ai nostri amici. Apri il nostro cuore, affinché sappiamo ricevere Gesù nella gioia, fare sempre ciò che egli ci chiede e vederlo in tutti quelli che hanno bisogno del nostro amore. Te lo chiediamo nel nome di Gesù, tuo amato Figlio, che viene per dare al mondo la pace. Egli vive e regna nei secoli dei secoli. Amen.(Venerabile Giovanni Paolo II)

Padre santo e giusto, Signore Re del cielo e della terra, ti rendiamo grazie per il fatto stesso che tu esisti, ed anche perché con un gesto della tua volontà, per l'unico tuo Figlio e nello Spirito Santo, hai creato tutte le cose visibili ed invisibili e noi, fatti a tua immagine e somiglianza, avevi destinato a vivere felici in un paradiso dal quale unicamente per colpa nostra siano stati allontanati. (San Francesco di Assisi)

Tu sei grande, Signore, e ben degno di lode; grande è la tua virtù, e la tua sapienza incalcolabile. E l’uomo vuole lodarti, una particella del tuo creato, che si porta attorno il suo destino mortale, che si porta attorno la prova del suo peccato e la prova che tu resisti ai superbi. Eppure l’uomo, una particella del tuo creato, vuole lodarti. Sei tu che lo stimoli a dilettarsi delle tue lodi, perché ci hai fatti per te, e il nostro cuore non ha pace finché non riposa in te. (Sant'Agostino))

“O Dio di grande Misericordia, bontà infinita, ecco che oggi tutta l’umanità grida dall’abisso della sua miseria alla Tua Misericordia, alla Tua compassione, o Dio, e grida con la voce potente della propria miseria. O Dio benigno, non respingere la preghiera degli esuli di questa terra. O Signore, bontà inconcepibile, che conosci perfettamente la nostra miseria e sai che non siamo in grado di innalzarci fino a Te con le nostre forze, Ti supplichiamo, previenici con la Tua grazia e moltiplica incessantemente su di noi la Tua Misericordia, in modo che possiamo adempiere fedelmente la Tua santa volontà durante tutta la vita e nell’ora della morte. L’onnipotenza della Tua Misericordia ci difenda dagli assalti dei nemici della nostra salvezza, in modo che possiamo attendere con fiducia, come figli Tuoi, la Tua ultima venuta...” (Santa Faustina Kowalska))

Affinché coloro che mi guardano non vedano la mia persona, ma Te in me. Rimani con me. Così risplenderò del Tuo splendore e potrò essere luce per gli altri. La mia luce verrà da Te solo, Gesù, non sarà mio nemmeno un piccolo raggio. Sei Tu che illuminerai gli altri attraverso di me. Ispirami la lode che Ti è più gradita, illuminando gli altri attorno a me. Che io Ti annunci non con le parole ma con l'esempio, con la testimonianza dei miei atti, con lo scatto visibile dell'amore che il mio cuore riceve da Te. Amen. (Madre Teresa di Calcutta))

Signore Gesù, tu hai dato la vita per me: io voglio donare la mia a te. Signore Gesù, tu hai detto: «Amore più grande non c'è che dare la vita per gli amici». Il mio supremo amore sei tu. È sera. Il giorno ormai declina. Resta con me Signore. Voglio seguirti portando la mia croce. Signore, vieni in mio aiuto e guidami nel cammino. La tua voce, Signore, ha un'eco profonda nel mio cuore. Gesù, mio Signore e mio Dio, voglio diventare in tutto simile a te, voglio soffrire e morire con te, per raggiungere con te la gioia della risurrezione. Tu, quel gran Dio che l'universo adora, vivi in me giorno e notte. E sempre la tua voce mi implora e mi ripete: «Ho sete, ho sete di amore»! Anch'io voglio ripetere la tua divina preghiera: ho sete d'amore. Io ho sete d'amore! Sazia la mia speranza, accresci in me, o Signore, il tuo ardore divino. Ho sete d'amore! Quale sofferenza, mio Dio, e come grande! Come vorrei volare da te! Il tuo amore, o Gesù, è il mio solo martirio; perché più brucia d'amore, più desidera amarti l'anima mia. Gesù, fa' che io muoia d'amore per te! (Santa Teresa di Gesù Bambino)