Questa sera torniamo a riflettere insieme grazie ad una vera perla segnalataci dalla nostra Enza:
Breve introduzione alla preghiera del cuore
Pubblicato da
Riscoprire la fede
at
giovedì 12 gennaio 2012
Breve introduzione alla preghiera del cuore
don Diego Facchetti, assistente diocesano AdP
1. «Pregate ininterrottamente»
Come rispondere all’esortazione del Vangelo: «Vegliate in ogni momento pregando» (Lc 21, 36); come è possibile «pregare sempre, senza stancarsi mai» (Lc 18, 1), «pregare ininterrottamente» (cfr. 1Ts 5, 17; Ef 6, 18)?
Nel monachesimo, più precisamente nell’esicasmo (da ἡσυχία = vivere in silenzio, in pace, nel raccoglimento, per situarsi in stabile intimità con Dio), per il quale la perfezione dell’uomo consiste nell’unione con Dio in una preghiera incessante, si utilizzava la ripetizione costante di brevi orazioni.
Cassiano († 430/435), ad es., raccomandava la ripetizione del Sal 69 (70), 2: «Vieni a salvarmi, o Dio, vieni presto, Signore, in mio aiuto» (Collationes 10, 10: SCh 54, pp. 85-90, in Conferenze spirituali, ed. Paoline, s.l. 1966, vol. 1, pp. 430-436).
Agostino († 430) scrive: «Si dice che i fratelli in Egitto abbiano preghiere frequenti, tuttavia brevissime e come lanciate rapidamente (raptim quodam iaculatas), affinché nelle pause troppo prolungate non si disperda e s’affievolisca quella tensione, già stabilita con vigile attenzione, che è grandissimamente necessaria a chi prega» (ep. 130, 10, 20 [a Proba]: PL 33, 501; ed. Paoline, Milano 1981 [LCO. Testi 11], p. 110).
La tradizione orientale parlò di preghiera monologica, perché contiene un’espressione, un pensiero ripetuto continuamente.
Nello sviluppo ulteriore, dal V al XIII secolo, tra queste brevi preghiere assunse rilievo particolare l’invocazione del nome di Gesù, ed a questo esercizio fu attribuita una speciale efficacia.
«Se... l’uomo incomincia a progredire con l’osservanza dei precetti e invoca incessantemente il Signore Gesù, allora il fuoco della santa grazia si distribuisce anche ai sensi esteriori del cuore a consumare interamente la zizzania della terra umana... Pertanto, chi vuole purificare il proprio cuore, lo infiammi perpetuamente con il ricordo del Signore Gesù, avendo questo solo come studio e opera incessante» (Diadoco di Fotica [Epiro, metà V sec.], Cento capitoli sulla perfezione cristiana 85. 97, in La Filocalia, vol. 1, Gribaudi, Torino 1982, pp. 385. 394).
«L’esichia consiste nello stare in continua adorazione del Signore, sempre alla sua presenza, con il ricordo di Gesù aderente al tuo respiro, allora potrai toccare con mano i vantaggi dell’esichia» (Giovanni Climaco [† 649 ca] La scala del paradiso 185 [gr. 27, append.], ed. Città Nuova, Roma 1989, p. 324).
«Attenzione è il silenzio ininterrotto del cuore, da ogni pensiero; il silenzio che sempre e perennemente e ininterrottamente respira e invoca Cristo Gesù, Figlio di Dio e Dio; lui solo... La contemplazione la ricevono la perseverante preghiera di Gesù, la dolce tranquillità priva di fantasia dell’intelletto e lo stato che proviene da Gesù... L’oblio sa spegnere la custodia dell’intelletto come l’acqua spegne il fuoco. Ma la preghiera continua di Gesù, insieme a una sobrietà intensa, lo butta completamente via dal cuore» (Esichio il Sinaita [VIII-X sec.], A Teodulo. Discorso... sulla sobrietà e la virtù 5. 7. 102, in La Filocalia, vol. 1, cit., pp. 231-232. 249).
Nei secc. XIII e XIV sul monte Athos la prassi dell’invocazione del nome di Gesù era intensa e collegata con una tecnica psicosomatica, che puntava sul ritmo del proprio respiro.
2. La preghiera di Gesù (o a Gesù)
Nel trattatello Le tre forme di preghiera (attribuito a Simeone il Nuovo Teologo [† 1022], ma probabilmente opera di Niceforo l’Esicasta [sec. XIII]: cfr. La Filocalia , vol. 4, ed. cit., 1994, pp. 506-515) viene illustrata una «terza forma di attenzione e di preghiera». Non si tratta né di «guardare al cielo» e «tenere l’intelletto nelle realtà celesti» (prima forma: ib., p. 509); né di «custodire con l’intelletto i propri sensi» (seconda forma: ib., p. 510), ma di custodire il cuore. In tal modo l’intelletto, gustando la bontà del Signore (cfr. Sal 33 [34], 9), non vorrà più allontanarsi dal cuore e farà proprie le parole di Pietro: «È bello per noi essere qui!» (Mt 17, 4; cfr. ib., pp. 510-511).
Si propone l’invocazione del nome di Gesù con una formula che, seppure con qualche minima variante, conoscerà una grande diffusione, soprattutto tra i cristiani bizantini e slavi, ma recentemente anche in Occidente: «Signore Gesù Cristo, Figlio di Dio, abbi pietà di me peccatore». Questa formula unisce predicati biblici di Gesù con la richiesta di misericordia. In essa si può riconoscere particolarmente l’invocazione del cieco di Gerico («Figlio di Davide, Gesù, abbi pietà di me!»: Mc 10, 47) e la richiesta del pubblicano («O Dio, abbi pietà di me peccatore»: Lc 18, 13). In tal modo «la nostra povertà di peccatori è avvicinata ai titoli della sua grandezza. A lui ci accostiamo come mendicanti fiduciosi nella sua misericordia» (CdA 968).
Alla fine del sec. XVIII il vescovo Macario di Corinto († 1805) ed il monaco dell’Athos Nicodemo di Naxos († 1809) cercarono di ridare vita alla preghiera di contemplazione. Si dedicarono, perciò, alla raccolta di testi della tradizione esicasta, dai Padri del deserto sino ai teorici della preghiera di Gesù nei secc. XIII-XIV. Nacque, così, la Filocalìa , stampata a Venezia nel 1782 (cfr. la trad. italiana sulla 4a ed. di Atene 1974-76, 4 voll., curr. M.B. Artioli - M.F. Lovato della Comunità di Monteveglio, Gribaudi, Torino 1982-1987, già cit.; J. Gouillard [ed.], Piccola filocalia della preghiera del cuore, Paoline, Milano 1988). Grazie alla traduzione della Filocalìa (= Dobrotoljubie) dapprima ad opera di Paisij Velickovskij (Ucraina 1722 - Moldavia 1794) e poi di Teofane il Recluso († 1894), questa tradizione ebbe grande sviluppo in Russia e plasmò in maniera determinante la spiritualità russa del XIX sec.
La prassi della preghiera di Gesù nel senso dell’esicasmo fu conosciuta in Occidente grazie alla traduzione in varie lingue del testo Racconti di un pellegrino russo, le cui origini rimangono sconosciute. I primi quattro racconti che lo compongono sono apparsi forse per la prima volta nel 1870 ca a Kazan; gli ultimi tre nel 1911 (cfr. l’ed. cur. da C. Carretto, Cittadella, Assisi 198913, pp. 10; 18-20; 108; 27-28; e quella di Rusconi, Milano 199416, comprendente tutti i sette racconti).
I più recenti commentatori della preghiera di Gesù tendono a distinguere la preghiera stessa dalla tecnica psicosomatica che fu sviluppata in modo particolare nella tradizione del monte Athos. Tuttavia, proprio nel nesso tra l’elemento corporale e la preghiera fatta con la bocca ed il cuore vi è l’elemento unificante: la condizione di riposo raggiunta dalla persona diventa espressione insieme della fede e della dedizione a Dio rivelatosi in Cristo.
Il rosario è stato definito «la preghiera di Gesù dell’occidente»: una meditazione sulla vita di Gesù, in cui l’evento salvifico viene interiorizzato – mediante il «ruminare» continuo di un’orazione ripetitiva – affinché la vita sia compenetrata e plasmata dallo Spirito di Cristo.
3. Pregare con il cuore
Il Catechismo della Chiesa cattolica afferma:
«Il cuore è la dimora dove sto, dove abito (secondo l’espressione semitica o biblica: dove ‘discendo’). È il nostro centro nascosto, irraggiungibile dalla nostra ragione e dagli altri; solo lo Spirito di Dio può scrutarlo e conoscerlo. È il luogo della decisione, che sta nel più profondo delle nostre facoltà psichiche. È il luogo della verità, là dove scegliamo la vita o la morte. È il luogo dell’incontro, poiché, ad immagine di Dio, viviamo in relazione: è il luogo dell’alleanza» (C 2563).
Possiamo pregare con il cuore, in unione al Cuore di Gesù. La devozione al S. Cuore è essenzialmente eucaristica: davanti all’Eucaristia possiamo sostare in silenzio, o ripetendo una breve invocazione, o pregando le Litanie, o anche – se lo desideriamo – pregando con calma la Coroncina, che presenta i sentimenti di Gesù e spinge a una verifica dei nostri.
Come sappiamo, la preghiera liturgica ha, e deve avere, il primato perché la liturgia resta culmine di tutta l’azione della Chiesa, fonte della sua forza. Ma la preghiera liturgica trova la sua preparazione e il suo prolungamento nel tempo della vita quotidiana, nell’intimo del cuore del cristiano, e tenta di diventare incessante: quando mangiamo, quando lavoriamo, quando riposiamo... La preghiera di Gesù, la preghiera del cuore rappresenta il tentativo di un dialogo continuo con Dio.
Perché non realizzare una respirazione congiunta dei due «polmoni» della Chiesa (Oriente-Occidente), proprio indirizzando il cuore dell’uomo all’incontro e alla sua plasmazione sul Cuore del Redentore? Ancor oggi, in cui gli uomini sentono, forse talvolta in modo confuso, il bisogno della preghiera continua, essa può essere una grazia offerta a tutti, per unirsi a Dio, ma anche per andare verso il prossimo. Affermava Lev Gillet, il «monaco della Chiesa d’Oriente» († 1980):
«Il nome di Gesù è un mezzo concreto e potente di trasfigurare gli uomini nella loro profonda e divina realtà... Questi uomini e queste donne che incontriamo... andiamo verso loro con il nome di Gesù nel nostro cuore e sulle nostre labbra, pronunciamo silenziosamente su di loro questo nome (che è il loro vero nome)» (Un Moine de l’Église d’Orient, La prière de Jésus...., Chevetogne 1963, p. 80).
0 commenti:
Posta un commento