Concludiamo la giornata liturgica attraverso l'ormai consueto appuntamento di meditazione con le riflessioni di noti sacerdoti e movimenti religiosi. Oggi riflettiamo attraverso le parole di mons. Gianfranco Poma:
La Liturgia della domenica XXXI del tempo ordinario ci fa leggere l'inizio del cap.23 (vv.1-12) del Vangelo di Matteo, capitolo che contiene una serrata denuncia degli Scribi e dei Farisei e che costituisce l'introduzione dell'ultimo grande discorso di Gesù, il discorso escatologico, raffinata costruzione di Matteo. Dopo le discussioni, i confronti, gli scontri di Gesù con gli scribi, i Farisei, i Sadducei, i dottori della Legge dei capitoli precedenti, Matteo presenta una risposta sintetica del pensiero di Gesù, del suo modo di concepire la Legge e i Profeti, di ascoltare la Parola di Dio e di viverla. Si tratta di una pagina intensa, dura, con i sette richiami: "Guai a voi, Scribi e Farisei ipocriti", che fanno da contrappunto a ciò che Gesù ha proclamato nelle Beatitudini. La Liturgia ci fa leggere solamente i versetti introduttivi di questo capitolo, ritenendo forse eccessivamente ostile il seguito. E' evidente, da quanto Gesù dice dal v.8, che le sue parole sono ormai rivolte alla comunità cristiana, ed è opportuno che, al termine dell'anno liturgico, le sentiamo rivolte a noi, come richiamo forte alla serietà con cui dobbiamo chiederci se davvero siamo suoi discepoli. Il Vangelo di Matteo è tutto incentrato sulla novità cristiana e sull'identità della comunità cristiana in rapporto all'ebraismo. La domanda che Gesù pone a noi è proprio questa: se noi abbiamo scoperto questa novità e questa identità e se la viviamo senza ipocrisia. E Gesù provoca noi, con la durezza appassionata del profeta, perché abbandoniamo tutto ciò che appesantisce la novità e oscura l'identità cristiana. Gesù ci chiede dunque un coraggioso esame di coscienza e una concreta decisione di coerenza di vita.
Gesù ha appena proclamato il primo e grande comandamento dell'amore di Dio e il secondo, che è simile al primo, dell'amore del prossimo: "da questi due comandamenti dipendono tutta la Legge e i Profeti". Sarebbe superficiale contrapporre l'amore alla Legge: tutto il Vangelo di Matteo dimostra che Gesù non disprezza per nulla la Legge, come pensano gli Scribi e i Farisei e non intende sostituire l'amore alla Legge, come tendono a pensare i cristiani a cui Matteo si rivolge. L'amore è il compimento della Legge: senza l'amore la Legge muore e il Profeta si spegne. Ma l'amore non è un sentimento vuoto e superficiale, non trascura la Legge, la vive in pienezza: non si accontenta di non dire il falso, cerca la verità; non si accontenta di non uccidere, dona la vita; non solo non ruba, ma viene incontro alla necessità dei fratelli.Questa pagina del Vangelo esprime la passione di Gesù per la Legge, non come serie di precetti da mettere in pratica, ma come i Profeti hanno continuamente richiamato, come espressione della cura con cui Dio come pastore guida il suo popolo nel cammino verso la libertà. L'amore di Gesù per la Legge mostra che egli vive totalmente in ascolto della Parola di Dio: questo è il segno del suo essere il Figlio di Dio che conosce interiormente la volontà del Padre. Solo partendo dall'esperienza interiore di Gesù che ascolta la Parola del Padre e la vive incarnandola, si può capire la novità con cui Gesù ama la Legge, come il farsi concreto della volontà di Dio, che solo l'amore filiale impedisce che si riduca a vuoto e disumano legalismo, ma la rende strumento di autenticità e di libertà.
Il Vangelo di Matteo, avviandosi alla conclusione del cammino pedagogico con cui ha accompagnato i nuovi discepoli di Gesù verso la maturità, intende precisare e non lasciare spazi ad equivoci.
"Sulla cattedra di Mosè si sono seduti gli Scribi e i Farisei". Lo sguardo di Matteo è rivolto alla comunità cristiana che si sta organizzando, la sua attenzione è rivolta in modo particolare a chi, nella comunità esercita una autorità, familiare, religiosa, civile o politica: gli Scribi sono coloro che studiano la Legge; i Farisei sono una setta impegnata nell'osservanza fedele della Legge.
"Qualsiasi cosa, dunque, vi dicano, praticatela ed osservatela": Gesù non contesta il loro insegnamento, che consiste nel dire con precisione la Legge; invita, anzi, come spesso risulta dal Vangelo, ad una osservanza precisa di quanto insegnano. Con parole dure, che non sono maledizioni, come spesso vengono definite, ma invettive e lamenti, espressioni piene di collera e di sofferenza che manifestano il dolore per l'amore tradito, Gesù denuncia situazioni intollerabili. Sono situazioni presenti nella prima comunità cristiana, che ritroviamo, tutte, nelle nostre comunità: "nessuna esclusa, da quelle ridicole, ma non per questo meno pericolose: i paludamenti, i titoli, i posti di onore, a quelle più gravi: l'intellettualismo, il verbalismo, il proselitismo, la casistica, il ritualismo, la persecuzione dei profeti quando sono vivi e la strumentalizzazione quando sono morti" (V.Fusco). Gesù denuncia anzitutto l'ipocrisia di chi con tanto impegno "dice e poi non fa": dice e poi si astrae dalla realtà, non partecipa della fatica della vita, riducendo la Parola di Dio ad un astratto sistema di principi etici da imporre agli altri e praticando l'autorità come potere e non come servizio. Denuncia poi la vanità di chi vuol attirare su di sé l'ammirazione della gente e di chi si ritiene importante e ha il gusto e il desiderio di onori e di titoli: tutto ciò che può pure avere un senso, diventa semplicemente ridicolo o drammaticamente negativo quando devia l'attenzione dall'ascolto della Parola di Dio e dai veri valori che la persona è chiamata a testimoniare.
Questo forte richiamo di Gesù che deve stimolare, oggi, le nostre comunità e ciascuno di noi ad una sincera revisione, è solo la premessa per la proposta di un modo nuovo di relazioni e di vita.
"Ma voi non fatevi chiamare "Rabbì". non chiamate nessuno "Padre" sulla terra.non fatevi chiamare "Guida". E', questa, una delle frasi predilette da San Tommaso d'Aquino, che vede in essa il progetto per una vita comune bella e felice: non è una società anarchica, ma una società nella quale i suoi elementi costitutivi hanno un senso nuovo, che deriva da Gesù Cristo. Egli vive della vita del Padre, ascolta la sua Parola e la annuncia agli uomini assumendo fino in fondo la dimensione umana. Gesù non si arroga il possesso della Parola del Padre: è servo di Dio e servo degli uomini. Nelle parole di Matteo risuona l'eco di quelle di Giovanni: "Io sono la via, la verità e la vita". Gesù "insegna con autorità", ma la sua autorità sta nello scomparire per lasciare trasparire quella del Padre: "Chi vede me, vede il Padre". Nella Chiesa l'autorità è solo servizio, è l'identificazione con Cristo, che si annienta per lasciarsi vivere dal Padre, che condivide per poter parlare agli uomini come uno che conosce le gioie e i dolori. ".Uno solo è il vostro Maestro.uno solo è il vostro Padre, quello che sta nei cieli.uno solo è la vostra Guida, il Cristo". La novità sta nel fatto che nella comunità dei discepoli di Cristo, la forza dell'autorità sta nell'essere trasparenti di Lui, sta nella meravigliosa esperienza dell'essere fratelli. "Tutti voi siete fratelli": con Cristo condividiamo la vita del Padre, ascoltiamo la sua Parola e la mettiamo in pratica. San Tommaso sottolinea che solo tra fratelli, tra amici che hanno gustato l'esperienza di Colui che innalza chi ha avuto il coraggio di svuotarsi del proprio orgoglio, si può esercitare un'autorità, una paternità, una guida, che non domina, non schiaccia, ma libera, perché è solo trasparenza di Amore.
Voi siete tutti fratelli
Dagli scritti di Santa Margherita Maria Alacoque: Dobbiamo conoscere l'amore di Cristo che sorpassa ogni conoscenza
Mi sembra che il grande desiderio di Nostro Signore che il suo Sacro Cuore venga onorato in modo particolare abbia lo scopo di rinnovare nelle anime gli effetti della sua redenzione. Infatti il suo Sacro Cuore é una fonte inesauribile che cerca solo di riempire i cuori umili, vuoti, distaccati da ogni cosa e sempre pronti a sacrificarsi per rendergli piacere. Questo Cuore divino é una fonte inesausta, dalla quale scendono ininterrottamente tre canali: il primo è quello della misericordia verso i peccatori e porta loro lo spirito di contrizione e di penitenza. Il secondo é quello della carità e scorre per portare aiuto a tutti i miserabili che si trovano in qualche necessità, e particolarmente a coloro che tendono alla perfezione: essi vi troveranno la forza per superare gli ostacoli. Il terzo é quello dell’amore e della luce per gli amici perfetti, che egli desidera unire a se stesso, per comunicare loro la sua scienza e i suoi desideri, perché, per una via o per l’altra, si consacrino totalmente alla sua gloria.
Questo Cuore divino é un abisso di bene, in cui i poveri devono riversare le loro necessità. E’ un abisso di gioia, dove bisogna gettare tutte le nostre tristezze. E’ un abisso di umiliazione per il nostro orgoglio, un abisso di misericordia per gli infelici, e un abisso d’amore, in cui bisogna seppellire tutte le nostre miserie. Non avete quindi che da unirvi in tutte le vostre azioni al Sacro Cuore di Nostro Signore, all’inizio per disporvi, al termine per ripagare. Per esempio, vi sentite incapaci di pregare? Accontentatevi di offrire la preghiera che il divin Salvatore fa per noi nel sacramento dell’altare. Offrite i suoi slanci per riparare tutte le vostre imperfezioni. Ripetete dunque ogni vostra azione: Mio Dio, io faccio o soffro questa cosa nel Sacro Cuore del vostro divin Figlio, e secondo le sue sante intenzioni che vi offro per riparare tutto ciò che di impuro e di imperfetto c’é nel mio operare. E così nelle diverse situazioni della vita.
Quando vi toccherà qualche pena, afflizione o mortificazione, dite a voi stessi: Accetta ciò che il Sacro Cuore di Gesù ti manda per unirti a lui. Soprattutto cercate di conservare la pace del cuore, che supera qualsiasi tesoro. Il mezzo per arrivare a questo consiste nel non avere più volontà propria, ma quella di questo divin Cuore al posto della nostra, lasciando che voglia per noi tutto ciò che può aumentare la sua gloria, contenti di sottometterci e di abbandonarci a lui in ogni cosa.
Preghiera allo Spirito Santo di Santa Teresa d'Avila
La Chiesa Cattolica oggi ha fatto memoria di Santa Teresa d'Avila. Proprio di questa grande santa pubblichiamo una bellissima preghiera allo Spirito Santo:
Dai sermoni di Sant'Alessandro Sauli
Concludiamo la giornata che ci ha fatto riscoprire la figura di Sant'Alessandro Sauli, attraverso un suo sermone che si sofferma sulle differenze tra le nostre meditazioni e i ragionamenti di Dio:
Della differentia delle meditationi nostre a i raggionamenti di Dio acciò che l'uno non si confonda con l'altro
Essendo le nostre cogitationi spesse fiate simili alle meditationi nelle divine cose, però bisogna con diligenza saper discernere il pensier humano dalla meditatione et parlar divino che si fa all'anima nostra. Et prima diciamo che bisogna che preceda l'inspiratione et parlar di Dio, alla meditatione d'esso, perché — sì come dice l'Apostolo (2 Cor 3,5) — non siamo sufficienti a pensar alcuna cosa da noi, come da noi; molto meno saremo bastanti alla meditatione delle cose divine. Se adonque la inspiratione di Dio non eccita la mente nostra, et dimostra che cosa, quando et in che modo || habbia da meditare, resta la nostra meditatione
vana et inutile, perché in quella non s'accende il fuoco della divotione, ma più tosto s'eccita la vanità.
Secondo: sono distinte quanto al processo, percioché essendo la verità delle cose divine sopranaturale, se l'huomo non è continuamente instrutto et aiutato dalTinspiration et parlar di Dio, non potrà proseguire et elevarsi a questa cognition sopranaturale; onde diceva il nostro Salvatore (cfr. Gv 3,31): chi è di terra, parla di cose di terra; et chi è del cielo, parla di cose celesti. Et il nostro Salvatore (Mt 15,19) dice che dal cuore nascono male cogitationi, furti, homicidij, bestemie; ma, per il contrario, l'anima tocca da Iddio pensa solamente cogitationi sante et caste. Et però disse la sposa: Fasdculus myrrhae dilectus meus michi, inter ubera mea commorabitur (Ct 1,12), cioè nella mia memoria sempre starà la meditatione della passione del nostro Signore, la quale a guisa di mirra ha da conservarmi dalla putref adone.
Tertio: è distinta, percioché la inspiratione et parlar di Dio da la perfettione a tutte le nostre meditationi, atteso che Iddio, creatore di tutte le cose, ha ordinato tutti li nostri moti al bene etemo, al quale perdo non possiamo pervenire se non receviamo da Dio la pefettione. S. Bernardo119 fa un'altra distindone, et dice: altramente Iddio parla all'anima, altramente suggerisce il spirito maligno et la carne all'anima, di male cogitationi; percioché Iddio c'inspira a pensar cose celesti, al meditar || le sante Scritture, et pensar le cose pertinenti alla salute dell'anima nostra; il demonio ci suggerisce odij, inimicitie, rancori, superbia, et altre simili cose; et la carne c'invita solamente a lascivie et delettationi sensuali.
L'inspiration di Dio è facil cosa a saperla discernere dalle tentationi diaboliche et sugestioni carnali, ma ben con difficultà si puote distinguere quello che d sogerisce il demonio et c'induce la carne a pensare, perché molte volte, per il mal habito che habbiam fatto, sogliamo senza esser tentati dal demonio da noi stessi intricarci in quelle suggestioni che lui ci sole ingerire, sì come anche, per il contrario, molte fiate il demonio
ci stimola alii peccati mortali senza il nostro consenso, et però non si puote facilmente discernere l'un dall'altro. Bàstia il saper questo: che i buon pensieri li dobbiamo ricevere dalla divina inspiratione, et gli mali ne sono suggeriti dalla carne o procurati dal demonio; et conoscerli per inimid; et farli virilmente resistenza.
Meditazione di Papa Benedetto XVI
Oggi la Chiesa Cattolica celebra la Beata Vergine Maria del Rosario ed è dunque questa un occasione per riflettere e meditare sul significato di una delle preghiere più amate dal popolo cristiano e cioè il Santo Rosario. Per questo pubblichiamo oggi una meditazione autorevole, proveniente dalla voce di Papa Benedetto XVI che nel 2008, recandosi in visita al Santuario di Pompei, si era soffermato con una breve meditazione sul Santo Rosario:
AL PONTIFICIO SANTUARIO DI POMPEI
RECITA DEL SANTO ROSARIO
MEDITAZIONE DEL SANTO PADRE BENEDETTO XVI
Pontificio Santuario di Pompei
Domenica, 19 ottobre 2008
cari religiosi e religiose,
cari fratelli e sorelle!
Prima di entrare in Santuario per recitare insieme a voi il santo Rosario, ho sostato brevemente dinanzi all’urna del beato Bartolo Longo, e pregando mi sono chiesto: “Questo grande apostolo di Maria, da dove ha tratto l’energia e la costanza necessarie per portare a compimento un’opera così imponente, nota ormai in tutto il mondo? Non è proprio dal Rosario, da lui accolto come un vero dono del cuore della Madonna?”. Sì, è stato veramente così! Lo testimonia l’esperienza dei santi: questa popolare preghiera mariana è un mezzo spirituale prezioso per crescere nell’intimità con Gesù, e per imparare, alla scuola della Vergine Santa, a compiere sempre la divina volontà. E’ contemplazione dei misteri di Cristo in spirituale unione con Maria, come sottolineava il servo di Dio Paolo VI nell’Esortazione apostolica Marialis cultus (n. 46), e come poi il mio venerato predecessore Giovanni Paolo II ha ampiamente illustrato nella Lettera apostolica Rosarium Virginis Mariae, che oggi idealmente riconsegno alla Comunità pompeiana e a ciascuno di voi. Voi che vivete ed operate qui a Pompei, specialmente voi, cari sacerdoti, religiose, religiosi e laici impegnati in questa singolare porzione di Chiesa, siete tutti chiamati a fare vostro il carisma del beato Bartolo Longo e a diventare, nella misura e nei modi che Dio concede a ciascuno, autentici apostoli del Rosario.
Ma per essere apostoli del Rosario, occorre fare esperienza in prima persona della bellezza e della profondità di questa preghiera, semplice ed accessibile a tutti. E’ necessario anzitutto lasciarsi condurre per mano dalla Vergine Maria a contemplare il volto di Cristo: volto gioioso, luminoso, doloroso e glorioso. Chi, come Maria e insieme con Lei, custodisce e medita assiduamente i misteri di Gesù, assimila sempre più i suoi sentimenti e si conforma a Lui. Mi piace, al riguardo, citare una bella considerazione del beato Bartolo Longo: “Come due amici – egli scrive –, praticando frequentemente insieme, sogliono conformarsi anche nei costumi, così noi, conversando familiarmente con Gesù e la Vergine, nel meditare i Misteri del Rosario, e formando insieme una medesima vita con la Comunione, possiamo diventare, per quanto ne sia capace la nostra bassezza, simili ad essi, ed apprendere da questi sommi esemplari il vivere umile, povero, nascosto, paziente e perfetto” (I Quindici Sabati del Santissimo Rosario, 27ª ed., Pompei, 1916, p. 27: cit. in Rosarium Virginis Mariae, 15).
Il Rosario è scuola di contemplazione e di silenzio. A prima vista, potrebbe sembrare una preghiera che accumula parole, difficilmente quindi conciliabile con il silenzio che viene giustamente raccomandato per la meditazione e la contemplazione. In realtà, questa cadenzata ripetizione dell’Ave Maria non turba il silenzio interiore, anzi, lo richiede e lo alimenta. Analogamente a quanto avviene per i Salmi quando si prega la Liturgia delle Ore, il silenzio affiora attraverso le parole e le frasi, non come un vuoto, ma come una presenza di senso ultimo che trascende le parole stesse e insieme con esse parla al cuore. Così, recitando le Ave Maria occorre fare attenzione a che le nostre voci non “coprano” quella di Dio, il quale parla sempre attraverso il silenzio, come “il sussurro di una brezza leggera” (1 Re 19,12). Quanto è importante allora curare questo silenzio pieno di Dio sia nella recita personale che in quella comunitaria! Anche quando viene pregato, come oggi, da grandi assemblee e come ogni giorno fate in questo Santuario, è necessario che si percepisca il Rosario come preghiera contemplativa, e questo non può avvenire se manca un clima di silenzio interiore.
Vorrei aggiungere un’altra riflessione, relativa alla Parola di Dio nel Rosario, particolarmente opportuna in questo periodo in cui si sta svolgendo in Vaticano il Sinodo dei Vescovi sul tema: “La Parola di Dio nella vita e nella missione della Chiesa”. Se la contemplazione cristiana non può prescindere dalla Parola di Dio, anche il Rosario, per essere preghiera contemplativa, deve sempre emergere dal silenzio del cuore come risposta alla Parola, sul modello della preghiera di Maria. A ben vedere, il Rosario è tutto intessuto di elementi tratti dalla Scrittura. C’è innanzitutto l’enunciazione del mistero, fatta preferibilmente, come oggi, con parole tratte dalla Bibbia. Segue il Padre nostro: nell’imprimere alla preghiera l’orientamento “verticale”, apre l’animo di chi recita il Rosario al giusto atteggiamento filiale, secondo l’invito del Signore: “Quando pregate dite: Padre…” (Lc 11,2). La prima parte dell’Ave Maria, tratta anch’essa dal Vangelo, ci fa ogni volta riascoltare le parole con cui Dio si è rivolto alla Vergine mediante l’Angelo, e quelle di benedizione della cugina Elisabetta. La seconda parte dell’Ave Maria risuona come la riposta dei figli che, rivolgendosi supplici alla Madre, non fanno altro che esprimere la propria adesione al disegno salvifico, rivelato da Dio. Così il pensiero di chi prega resta sempre ancorato alla Scrittura e ai misteri che in essa vengono presentati.
Ricordando infine che oggi celebriamo la Giornata Missionaria Mondiale, mi piace richiamare la dimensione apostolica del Rosario, una dimensione che il beato Bartolo Longo ha vissuto intensamente traendone ispirazione per intraprendere in questa terra tante opere di carità e di promozione umana e sociale. Inoltre, egli volle questo Santuario aperto al mondo intero, quale centro di irradiazione della preghiera del Rosario e luogo di intercessione per la pace tra i popoli. Cari amici, entrambe queste finalità: l’apostolato della carità e la preghiera per la pace, desidero confermare e affidare nuovamente al vostro impegno spirituale e pastorale. Sull’esempio e con il sostegno del venerato Fondatore, non stancatevi di lavorare con passione in questa parte della vigna del Signore che la Madonna ha mostrato di prediligere.
Lettera di San Bruno ai suoi figli di Certosa
Oggi la Chiesa Cattolica celebra il ricordo di San Bruno, fondatore dei Certosini. Per questi motivi pubblichiamo la lettera che Egli scrisse ai suoi Figli di Certosa:
Dal sito: http://www.certosini.info
Lettera che il nostro Venerabile Padre Bruno scrisse in un eremo di Calabria, chiamato la Torre, e che da lì inviò ai suoi Figli di Certosa.
1. Ai suoi fratelli amati in maniera singolare in Cristo, fratello Bruno invia il suo saluto nel Signore.
Ho appreso dell'inflessibile rigore della vostra disciplina che è ragionevole e veramente degna di lode, grazie alla dettagliata e consolante relazione del nostro beatissimo fratello Landuino, così come ho altresì udito del vostro santo amore e dell'incessante zelo per tutto ciò che concerne l'integrità e l'onestà; perciò il mio spirito esulta nel Signore. Veramente esulto e mi sento portato a lodare il Signore e a ringraziarlo, e tuttavia sospiro amaramente. Esulto, sì, come è giusto, per l'accrescersi dei frutti delle vostre virtù, ma mi dolgo e arrossisco dì giacere inerte e negligente nella sordidezza dei miei peccati.
2. Gioite dunque, fratelli miei carissimi, per la felicità che avete avuto in sorte e per l'abbondanza della grazia di Dio verso di voi. Gioite, poiché siete sfuggiti ai molteplici pericoli e naufragi di questo mondo sballottato dalle onde. Gioite, poiché avete guadagnato il tranquillo e sicuro rifugio di un porto ben riparato, al quale molti desiderano arrivare ed a cui molti tendono con parecchi sforzi, e pur tuttavia non vi giungono. Inoltre, molti, dopo averlo raggiunto, ne sono esclusi, poiché a nessuno di loro è stato concesso dall'alto.
Perciò, fratelli miei, considerate come cosa certa e provata che, chiunque abbia goduto di un bene così desiderabile, se in qualche modo verrà a perderlo, se ne dorrà fino alla morte, se pur avrà avuto qualche riguardo e cura della salvezza della sua anima.
3. Di voi, miei dilettissimi fratelli laici, dico: L'anima mia magnifica il Signore, poiché contemplo la magnificenza della sua misericordia su di voi, secondo quanto mi riferisce il vostro priore e padre amantissimo, che è molto fiero e contento di voi. Gioisco anch'io poiché, sebbene non abbiate la scienza delle lettere, il Dio, che è potente, col suo stesso dito incide, nei vostri cuori, non solo l'amore, ma anche la conoscenza della sua legge santa. Con le opere infatti mostrate che cosa amate e che cosa conoscete. Giacché praticate con tutta l'attenzione e con tutto lo zelo possibile la vera ubbidienza - che consiste nel compimento dei precetti di Dio, che è la chiave e il sigillo di ogni disciplina spirituale, che non può mai esistere senza una grande umiltà ed una pazienza non comune, a cui sempre si accompagna il casto amore del Signore e la vera carità - è evidente che voi sapientemente raccogliete il frutto soavissimo e vitale della Scrittura divina.
4. Dunque, fratelli miei, perseverate nello stato cui siete giunti, ed evitate come la peste la banda malsana di quei veramente falsi laici che fanno circolare i loro scritti borbottando cose che non comprendono né amano, e che con le parole e con i fatti contraddicono. Questi laici, oziosi e girovaghi, sono calunniatori di quanti sono buoni e religiosi, e proprio in questo ritengono di essere degni di lode, se hanno diffamato coloro che invece dovrebbero essere lodati; l'ubbidienza e qualsiasi disciplina è per essi odiosa.
5. Avrei poi voluto trattenere presso di me fratello Landuino a causa delle sue gravi e frequenti infermità: ma poiché ritiene che, senza di voi, niente è per lui sano, niente gioioso, niente vitale e utile, non ha acconsentito, dimostrandomi, con il profluvio di lacrime versate per voi e con molti sospiri, quanto valete per lui e con quale perfetta carità ami voi tutti. Per la qual cosa, non ho voluto esercitare alcuna costrizione, per non fare del male a lui, e a voi, che mi siete carissimi per il merito delle vostre virtù. Pertanto, fratelli miei, premurosamente vi avverto e umilmente ma con forza vi prego affinché la carità che avete nel cuore la mostriate con le opere verso di lui, in quanto priore e padre carissimo, procurandogli con benevolenza e attenzione le cose che, a causa delle sue numerose infermità, gli sono necessarie. Forse non vi consentirà di esercitare questo servizio di umanità, preferendo porre in pericolo la salute e la vita anziché tralasciare alcunché del rigore della disciplina corporale, la qual cosa deve essere assolutamente disapprovata - probabilmente si vergognerà, lui, che è il primo nella comunità, di apparire l'ultimo su tale punto, per paura che, a causa sua, qualcuno di voi divenga più rilassato o più tiepido, cosa che, io ritengo, non sia da temere in alcun modo -; in questo caso, per non essere privati di tale grazia, concedo a voi, che siete tanto pieni di carità, di fare le mie veci solamente riguardo a questo: vi sia cioè consentito di obbligarlo, rispettosamente, ad accettare ciò che gli darete per la salute.
6. Quanto a me, fratelli, sappiate che il mio unico desiderio, dopo Dio, è quello di venire da voi e di vedervi. E quando potrò, lo porrò in atto, con l'aiuto di Dio. Addio.
In ricordo di Santa Faustina Kowalska
Oggi celebriamo la memoria di Santa Faustina Kowalska, una donna scelta da Dio per ricordarci la presenza viva di Gesù e della Sua Divina Misericordia. In suo ricordo, postiamo l'omelia di Giovanni Paolo II pronunciata durante la Messa di Canonizzazione del 30 Aprile 2000:
DELLA BEATA MARIA FAUSTYNA KOWALSKA
OMELIA DEL SANTO PADRE GIOVANNI PAOLO II
Domenica, 30 aprile 2000
1. "Celebrate il Signore perché è buono, perché eterna è la sua misericordia" (Sal 118, 1). Così canta la Chiesa nell'Ottava di Pasqua, quasi raccogliendo dalle labbra di Cristo queste parole del Salmo; dalle labbra di Cristo risorto, che nel Cenacolo porta il grande annuncio della misericordia divina e ne affida agli apostoli il ministero: "Pace a voi! Come il Padre ha mandato me, anch'io mando voi... Ricevete lo Spirito Santo; a chi rimetterete i peccati saranno rimessi e a chi non li rimetterete, resteranno non rimessi" (Gv 20, 21-23).
Prima di pronunciare queste parole, Gesù mostra le mani e il costato. Addita cioè le ferite della Passione, soprattutto la ferita del cuore, sorgente da cui scaturisce la grande onda di misericordia che si riversa sull'umanità. Da quel cuore suor Faustina Kowalska, la beata che d'ora in poi chiameremo santa, vedrà partire due fasci di luce che illuminano il mondo: "I due raggi – le spiegò un giorno Gesù stesso - rappresentano il sangue e l'acqua" (Diario, Libreria Editrice Vaticana, p. 132).
2. Sangue ed acqua! Il pensiero corre alla testimonianza dell'evangelista Giovanni che, quando un soldato sul Calvario colpì con la lancia il costato di Cristo, vide uscirne "sangue ed acqua" (cfr Gv 19, 34). E se il sangue evoca il sacrificio della croce e il dono eucaristico, l'acqua, nella simbologia giovannea, ricorda non solo il battesimo, ma anche il dono dello Spirito Santo (cfr Gv 3,5; 4,14; 7,37-39).
Attraverso il cuore di Cristo crocifisso la misericordia divina raggiunge gli uomini: "Figlia mia, dì che sono l'Amore e la Misericordia in persona", chiederà Gesù a Suor Faustina (Diario, 374). Questa misericordia Cristo effonde sull'umanità mediante l'invio dello Spirito che, nella Trinità, è la Persona-Amore. E non è forse la misericordia un "secondo nome" dell'amore (cfr Dives in misericordia, 7), colto nel suo aspetto più profondo e tenero, nella sua attitudine a farsi carico di ogni bisogno, soprattutto nella sua immensa capacità di perdono?
E' davvero grande oggi la mia gioia, nel proporre a tutta la Chiesa, quasi dono di Dio per il nostro tempo, la vita e la testimonianza di Suor Faustina Kowalska. Dalla divina Provvidenza la vita di questa umile figlia della Polonia è stata completamente legata alla storia del ventesimo secolo, il secolo che ci siamo appena lasciati alle spalle. E', infatti, tra la prima e la seconda guerra mondiale che Cristo le ha affidato il suo messaggio di misericordia. Coloro che ricordano, che furono testimoni e partecipi degli eventi di quegli anni e delle orribili sofferenze che ne derivarono per milioni di uomini, sanno bene quanto il messaggio della misericordia fosse necessario.
Disse Gesù a Suor Faustina: "L'umanità non troverà pace, finché non si rivolgerà con fiducia alla divina misericordia" (Diario, p. 132). Attraverso l'opera della religiosa polacca, questo messaggio si è legato per sempre al secolo ventesimo, ultimo del secondo millennio e ponte verso il terzo millennio. Non è un messaggio nuovo, ma si può ritenere un dono di speciale illuminazione, che ci aiuta a rivivere più intensamente il Vangelo della Pasqua, per offrirlo come un raggio di luce agli uomini ed alle donne del nostro tempo.
3. Che cosa ci porteranno gli anni che sono davanti a noi? Come sarà l'avvenire dell'uomo sulla terra? A noi non è dato di saperlo. E' certo tuttavia che accanto a nuovi progressi non mancheranno, purtroppo, esperienze dolorose. Ma la luce della divina misericordia, che il Signore ha voluto quasi riconsegnare al mondo attraverso il carisma di suor Faustina, illuminerà il cammino degli uomini del terzo millennio.
Come gli Apostoli un tempo, è necessario però che anche l'umanità di oggi accolga nel cenacolo della storia Cristo risorto, che mostra le ferite della sua crocifissione e ripete: Pace a voi! Occorre che l'umanità si lasci raggiungere e pervadere dallo Spirito che Cristo risorto le dona. E' lo Spirito che risana le ferite del cuore, abbatte le barriere che ci distaccano da Dio e ci dividono tra di noi, restituisce insieme la gioia dell'amore del Padre e quella dell'unità fraterna.
4. E' importante allora che raccogliamo per intero il messaggio che ci viene dalla parola di Dio in questa seconda Domenica di Pasqua, che d'ora innanzi in tutta la Chiesa prenderà il nome di "Domenica della Divina Misericordia". Nelle diverse letture, la liturgia sembra disegnare il cammino della misericordia che, mentre ricostruisce il rapporto di ciascuno con Dio, suscita anche tra gli uomini nuovi rapporti di fraterna solidarietà. Cristo ci ha insegnato che "l'uomo non soltanto riceve e sperimenta la misericordia di Dio, ma è pure chiamato a «usar misericordia» verso gli altri: Beati i misericordiosi, perché troveranno misericordia (Mt 5, 7)" (Dives in misericordia, 14). Egli ci ha poi indicato le molteplici vie della misericordia, che non perdona soltanto i peccati, ma viene anche incontro a tutte le necessità degli uomini. Gesù si è chinato su ogni miseria umana, materiale e spirituale.
Il suo messaggio di misericordia continua a raggiungerci attraverso il gesto delle sue mani tese verso l'uomo che soffre. E' così che lo ha visto e lo ha annunciato agli uomini di tutti i continenti suor Faustina, che nascosta nel suo convento di Lagiewniki, in Cracovia, ha fatto della sua esistenza un canto alla misericordia: Misericordias Domini in aeternum cantabo.
5. La canonizzazione di Suor Faustina ha un'eloquenza particolare: mediante questo atto intendo oggi trasmettere questo messaggio al nuovo millennio. Lo trasmetto a tutti gli uomini perché imparino a conoscere sempre meglio il vero volto di Dio e il vero volto dei fratelli.
Amore di Dio e amore dei fratelli sono infatti indissociabili, come ci ha ricordato la prima Lettera di Giovanni: "Da questo conosciamo di amare i figli di Dio: se amiamo Dio e ne osserviamo i comandamenti" (5, 2). L'Apostolo qui ci richiama alla verità dell'amore, additandocene nell'osservanza dei comandamenti la misura ed il criterio.
Non è facile, infatti, amare di un amore profondo, fatto di autentico dono di sé. Questo amore si apprende solo alla scuola di Dio, al calore della sua carità. Fissando lo sguardo su di Lui, sintonizzandoci col suo cuore di Padre, diventiamo capaci di guardare ai fratelli con occhi nuovi, in atteggiamento di gratuità e di condivisione, di generosità e di perdono. Tutto questo è misericordia!
Nella misura in cui l'umanità saprà apprendere il segreto di questo sguardo misericordioso, si rivela prospettiva realizzabile il quadro ideale proposto nella prima lettura: "La moltitudine di coloro che erano venuti alla fede aveva un cuore solo e un'anima sola e nessuno diceva sua proprietà quello che gli apparteneva, ma ogni cosa era fra loro comune" (At 4, 32). Qui la misericordia del cuore è divenuta anche stile di rapporti, progetto di comunità, condivisione di beni. Qui sono fiorite le «opere della misericordia», spirituali e corporali. Qui la misericordia è divenuta concreto farsi «prossimo» verso i fratelli più indigenti.
6. Suor Faustina Kowalska ha lasciato scritto nel suo Diario: "Provo un dolore tremendo, quando osservo le sofferenze del prossimo. Tutti i dolori del prossimo si ripercuotono nel mio cuore; porto nel mio cuore le loro angosce, in modo tale che mi annientano anche fisicamente. Desidererei che tutti i dolori ricadessero su di me, per portare sollievo al prossimo" (Diario, p. 365). Ecco a quale punto di condivisione conduce l'amore quando è misurato sull'amore di Dio!
E' a questo amore che l'umanità di oggi deve ispirarsi per affrontare la crisi di senso, le sfide dei più diversi bisogni, soprattutto l'esigenza di salvaguardare la dignità di ciascuna persona umana. Il messaggio della divina misericordia è così, implicitamente, anche un messaggio sul valore di ogni uomo. Ogni persona è preziosa agli occhi di Dio, per ciascuno Cristo ha dato la sua vita, a tutti il Padre fa dono del suo Spirito e offre l'accesso alla sua intimità.
7. Questo messaggio consolante si rivolge soprattutto a chi, afflitto da una prova particolarmente dura o schiacciato dal peso dei peccati commessi, ha smarrito ogni fiducia nella vita ed è tentato di cedere alla disperazione. A lui si presenta il volto dolce di Cristo, su di lui arrivano quei raggi che partono dal suo cuore e illuminano, riscaldano, indicano il cammino e infondono speranza. Quante anime ha già consolato l'invocazione "Gesù, confido in Te", che la Provvidenza ha suggerito attraverso Suor Faustina! Questo semplice atto di abbandono a Gesù squarcia le nubi più dense e fa passare un raggio di luce nella vita di ciascuno.
8. Misericordias Domini in aeternum cantabo (Sal 88 [89], 2). Alla voce di Maria Santissima, la «Madre della misericordia», alla voce di questa nuova Santa, che nella Gerusalemme celeste canta la misericordia insieme con tutti gli amici di Dio, uniamo anche noi, Chiesa pellegrinante, la nostra voce.
E tu, Faustina, dono di Dio al nostro tempo, dono della terra di Polonia a tutta la Chiesa, ottienici di percepire la profondità della divina misericordia, aiutaci a farne esperienza viva e a testimoniarla ai fratelli. Il tuo messaggio di luce e di speranza si diffonda in tutto il mondo, spinga alla conversione i peccatori, sopisca le rivalità e gli odi, apra gli uomini e le nazioni alla pratica della fraternità. Noi oggi, fissando lo sguardo con te sul volto di Cristo risorto, facciamo nostra la tua preghiera di fiducioso abbandono e diciamo con ferma speranza: Gesù, confido in Te!
Omelie: Meditando con San Francesco
Concludiamo la giornata che ci ha visti venerare il poverello d'Assisi, San Francesco, Patrono della nostra Italia, con l'Omelia di Don Luciano Sanvito:
ABBIAMO SEMPRE UNA CARTA VINCENTE NELL'INCONTRARE DIO
Francesco ce la rappresenta.
Saper affrontare anche la morte come una "sorella", saper rapportarsi al proprio corpo come a un "fratello asino", saper trovare nell'essenziale la sorgente del tutto, saper lodare attraverso il creato segno del Creatore, diventano le realtà rinnovanti e vincenti nella nostra fede, anche oggi.
Francesco, amante gioioso delle creature che tutte e sempre riferisce al Creatore.
Segnato e autenticato dalle "stigmate" della croce di Gesù, ripercorre il senso cristico della croce e della sofferenza alla luce della Risurrezione; e allora ecco che tutta la storia si trasforma: la sua, e quella della sua realtà di Assisi.
Dal Crocifisso riparte il cammino della pace, una pace chiara, come nella pace del Cristo augura a Chiara e alle sue amiche un nuovo percorso sotto i raggi di "frate sole", che tutto rischiara e "alluma", alimentando col suo calore il lume della fede, della speranza e della carità che segnano anche oggi i tratti della spiritualità francescana.
E così, il dono che Francesco oggi ci dà è la "perfetta letizia", ovvero la coscienza che in tutte le gioie, ma anche e forse meglio in tutte le prove, appare il MIO SIGNORE, "LAUDATO" IN TUTTE LE SUE COSE.
Supplica alla Madonna di Pompei
Come già fatto in passato, riproponiamo il testo della Supplica alla Madonna del Rosario di Pompei per consentire a quanti non hanno partecipato, la recita di una delle preghiere più belle ed intense:
Dal trono di clemenza, dove siedi Regina, volgi, o Maria, il tuo sguardo pietoso su di noi, sulle nostre famiglie, sull'Italia, sull'Europa, sul mondo. Ti prenda compassione degli affanni e dei travagli che amareggiano la nostra vita. Vedi, o Madre, quanti pericoli nell'anima e nel corpo, quante calamità ed afflizioni ci costringono.
O Madre, implora per noi misericordia dal tuo Figlio divino e vinci con la clemenza il cuore dei peccatori. Sono nostri fratelli e figli tuoi che costano sangue al dolce Gesù e contristano il tuo sensibilissimo Cuore. Mostrati a tutti quale sei, Regina di pace e di perdono.
Ave Maria
È vero che noi, per primi, benché tuoi figli, con i peccati torniamo a crocifiggere in cuor nostro Gesù e trafiggiamo nuovamente il tuo cuore.
Lo confessiamo: siamo meritevoli dei più aspri castighi, ma tu ricordati che, sul Golgota, raccogliesti, col Sangue divino, il testamento del Redentore moribondo, che ti dichiarava Madre nostra, Madre dei peccatori.
Tu dunque, come Madre nostra, sei la nostra avvocata, la nostra speranza. E noi, gementi, stendiamo a te le mani supplichevoli, gridando: misericordia!
O Madre buona, abbi pietà di noi, delle anime nostre, delle nostre famiglie, dei nostri parenti, dei nostri amici, dei nostri defunti, soprattutto dei nostri nemici e di tanti che si dicono cristiani, eppur offendono il cuore amabile del tuo Figliuolo. Pietà oggi imploriamo per le nazioni traviate, per tutta l'Europa, per tutto il mondo, perché pentito ritorni al tuo cuore.
Misericordia per tutti, o Madre di misericordia.
Ave Maria
Degnati benevolmente, o Maria, di esaudirci! Gesù ha riposto nelle tue mani tutti i tesori delle sue grazie e delle sue misericordie.
Tu siedi, coronata Regina, alla destra del tuo Figlio, splendente di gloria immortale su tutti i cori degli angeli. Tu distendi il tuo dominio per quanto sono distesi i cieli, a te la terra e le creature tutte sono soggette. Tu sei l'onnipotente per grazia, tu dunque puoi aiutarci. Se tu non volessi aiutarci, perché figli ingrati ed immeritevoli della tua protezione, non sapremmo a chi rivolgerci. Il tuo cuore di Madre non permetterà di vedere noi, tuoi figli, perduti. Il bambino che vediamo sulle tue ginocchia e la mistica corona che miriamo nella tua mano, ci ispirano fiducia che saremo esauditi. E noi confidiamo pienamente in te, ci abbandoniamo come deboli figli tra le braccia della più tenera fra le madri, e, oggi stesso, da te aspettiamo le sospirate grazie.
Ave Maria
Un'ultima grazia noi ora ti chiediamo, o Regina, che non puoi negarci (in questo giorno solennissimo). Concedi a tutti noi l'amore tuo costante e in modo speciale la materna benedizione.
Non ci staccheremo da te finché non ci avrai benedetti. Benedici, o Maria, in questo momento il Sommo Pontefice. Agli antichi splendori della tua corona, ai trionfi del tuo Rosario, onde sei chiamata Regina delle Vittorie, aggiungi ancor questo, o Madre: concedi il trionfo alla religione e la pace all'umana società. Benedici i nostri vescovi, i sacerdoti e particolarmente tutti coloro che zelano l'onore del tuo Santuario. Benedici infine tutti gli associati al tuo tempio di Pompei e quanti coltivano e promuovono la devozione al santo Rosario.
O Rosario benedetto di Maria, catena dolce che ci rannodi a Dio, vincolo di amore che ci unisci agli angeli, torre di salvezza, negli assalti dell'inferno, porto sicuro nel comune naufragio, noi non ti lasceremo mai più.
Tu ci sarai conforto nell'ora dell'agonia, a te l'ultimo bacio della vita che si spegne.
E l'ultimo accento delle nostre labbra sarà il nome tuo soave, o Regina del Rosario di Pompei, o Madre nostra cara, o Rifugio dei peccatori, o Sovrana consolatrice dei mesti.
Sii ovunque, benedetta, oggi e sempre, in terra e in cielo. Amen.
Salve Regina