Concludiamo la giornata liturgica attraverso l'ormai consueto appuntamento di meditazione con le riflessioni di noti sacerdoti e movimenti religiosi. Oggi riflettiamo attraverso le parole di mons. Gianfranco Poma:
La Liturgia della domenica XXXI del tempo ordinario ci fa leggere l'inizio del cap.23 (vv.1-12) del Vangelo di Matteo, capitolo che contiene una serrata denuncia degli Scribi e dei Farisei e che costituisce l'introduzione dell'ultimo grande discorso di Gesù, il discorso escatologico, raffinata costruzione di Matteo. Dopo le discussioni, i confronti, gli scontri di Gesù con gli scribi, i Farisei, i Sadducei, i dottori della Legge dei capitoli precedenti, Matteo presenta una risposta sintetica del pensiero di Gesù, del suo modo di concepire la Legge e i Profeti, di ascoltare la Parola di Dio e di viverla. Si tratta di una pagina intensa, dura, con i sette richiami: "Guai a voi, Scribi e Farisei ipocriti", che fanno da contrappunto a ciò che Gesù ha proclamato nelle Beatitudini. La Liturgia ci fa leggere solamente i versetti introduttivi di questo capitolo, ritenendo forse eccessivamente ostile il seguito. E' evidente, da quanto Gesù dice dal v.8, che le sue parole sono ormai rivolte alla comunità cristiana, ed è opportuno che, al termine dell'anno liturgico, le sentiamo rivolte a noi, come richiamo forte alla serietà con cui dobbiamo chiederci se davvero siamo suoi discepoli. Il Vangelo di Matteo è tutto incentrato sulla novità cristiana e sull'identità della comunità cristiana in rapporto all'ebraismo. La domanda che Gesù pone a noi è proprio questa: se noi abbiamo scoperto questa novità e questa identità e se la viviamo senza ipocrisia. E Gesù provoca noi, con la durezza appassionata del profeta, perché abbandoniamo tutto ciò che appesantisce la novità e oscura l'identità cristiana. Gesù ci chiede dunque un coraggioso esame di coscienza e una concreta decisione di coerenza di vita.
Gesù ha appena proclamato il primo e grande comandamento dell'amore di Dio e il secondo, che è simile al primo, dell'amore del prossimo: "da questi due comandamenti dipendono tutta la Legge e i Profeti". Sarebbe superficiale contrapporre l'amore alla Legge: tutto il Vangelo di Matteo dimostra che Gesù non disprezza per nulla la Legge, come pensano gli Scribi e i Farisei e non intende sostituire l'amore alla Legge, come tendono a pensare i cristiani a cui Matteo si rivolge. L'amore è il compimento della Legge: senza l'amore la Legge muore e il Profeta si spegne. Ma l'amore non è un sentimento vuoto e superficiale, non trascura la Legge, la vive in pienezza: non si accontenta di non dire il falso, cerca la verità; non si accontenta di non uccidere, dona la vita; non solo non ruba, ma viene incontro alla necessità dei fratelli.Questa pagina del Vangelo esprime la passione di Gesù per la Legge, non come serie di precetti da mettere in pratica, ma come i Profeti hanno continuamente richiamato, come espressione della cura con cui Dio come pastore guida il suo popolo nel cammino verso la libertà. L'amore di Gesù per la Legge mostra che egli vive totalmente in ascolto della Parola di Dio: questo è il segno del suo essere il Figlio di Dio che conosce interiormente la volontà del Padre. Solo partendo dall'esperienza interiore di Gesù che ascolta la Parola del Padre e la vive incarnandola, si può capire la novità con cui Gesù ama la Legge, come il farsi concreto della volontà di Dio, che solo l'amore filiale impedisce che si riduca a vuoto e disumano legalismo, ma la rende strumento di autenticità e di libertà.
Il Vangelo di Matteo, avviandosi alla conclusione del cammino pedagogico con cui ha accompagnato i nuovi discepoli di Gesù verso la maturità, intende precisare e non lasciare spazi ad equivoci.
"Sulla cattedra di Mosè si sono seduti gli Scribi e i Farisei". Lo sguardo di Matteo è rivolto alla comunità cristiana che si sta organizzando, la sua attenzione è rivolta in modo particolare a chi, nella comunità esercita una autorità, familiare, religiosa, civile o politica: gli Scribi sono coloro che studiano la Legge; i Farisei sono una setta impegnata nell'osservanza fedele della Legge.
"Qualsiasi cosa, dunque, vi dicano, praticatela ed osservatela": Gesù non contesta il loro insegnamento, che consiste nel dire con precisione la Legge; invita, anzi, come spesso risulta dal Vangelo, ad una osservanza precisa di quanto insegnano. Con parole dure, che non sono maledizioni, come spesso vengono definite, ma invettive e lamenti, espressioni piene di collera e di sofferenza che manifestano il dolore per l'amore tradito, Gesù denuncia situazioni intollerabili. Sono situazioni presenti nella prima comunità cristiana, che ritroviamo, tutte, nelle nostre comunità: "nessuna esclusa, da quelle ridicole, ma non per questo meno pericolose: i paludamenti, i titoli, i posti di onore, a quelle più gravi: l'intellettualismo, il verbalismo, il proselitismo, la casistica, il ritualismo, la persecuzione dei profeti quando sono vivi e la strumentalizzazione quando sono morti" (V.Fusco). Gesù denuncia anzitutto l'ipocrisia di chi con tanto impegno "dice e poi non fa": dice e poi si astrae dalla realtà, non partecipa della fatica della vita, riducendo la Parola di Dio ad un astratto sistema di principi etici da imporre agli altri e praticando l'autorità come potere e non come servizio. Denuncia poi la vanità di chi vuol attirare su di sé l'ammirazione della gente e di chi si ritiene importante e ha il gusto e il desiderio di onori e di titoli: tutto ciò che può pure avere un senso, diventa semplicemente ridicolo o drammaticamente negativo quando devia l'attenzione dall'ascolto della Parola di Dio e dai veri valori che la persona è chiamata a testimoniare.
Questo forte richiamo di Gesù che deve stimolare, oggi, le nostre comunità e ciascuno di noi ad una sincera revisione, è solo la premessa per la proposta di un modo nuovo di relazioni e di vita.
"Ma voi non fatevi chiamare "Rabbì". non chiamate nessuno "Padre" sulla terra.non fatevi chiamare "Guida". E', questa, una delle frasi predilette da San Tommaso d'Aquino, che vede in essa il progetto per una vita comune bella e felice: non è una società anarchica, ma una società nella quale i suoi elementi costitutivi hanno un senso nuovo, che deriva da Gesù Cristo. Egli vive della vita del Padre, ascolta la sua Parola e la annuncia agli uomini assumendo fino in fondo la dimensione umana. Gesù non si arroga il possesso della Parola del Padre: è servo di Dio e servo degli uomini. Nelle parole di Matteo risuona l'eco di quelle di Giovanni: "Io sono la via, la verità e la vita". Gesù "insegna con autorità", ma la sua autorità sta nello scomparire per lasciare trasparire quella del Padre: "Chi vede me, vede il Padre". Nella Chiesa l'autorità è solo servizio, è l'identificazione con Cristo, che si annienta per lasciarsi vivere dal Padre, che condivide per poter parlare agli uomini come uno che conosce le gioie e i dolori. ".Uno solo è il vostro Maestro.uno solo è il vostro Padre, quello che sta nei cieli.uno solo è la vostra Guida, il Cristo". La novità sta nel fatto che nella comunità dei discepoli di Cristo, la forza dell'autorità sta nell'essere trasparenti di Lui, sta nella meravigliosa esperienza dell'essere fratelli. "Tutti voi siete fratelli": con Cristo condividiamo la vita del Padre, ascoltiamo la sua Parola e la mettiamo in pratica. San Tommaso sottolinea che solo tra fratelli, tra amici che hanno gustato l'esperienza di Colui che innalza chi ha avuto il coraggio di svuotarsi del proprio orgoglio, si può esercitare un'autorità, una paternità, una guida, che non domina, non schiaccia, ma libera, perché è solo trasparenza di Amore.
Voi siete tutti fratelli
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Riscoprire la fede
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domenica 30 ottobre 2011
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