Questa sera pubblichiamo la seconda parte della bellissima fiaba tratta dal libro di Eric-Emmanuel Schmitt "Oscar e la dama in rosa", che abbiamo cominciato a leggere lo scorso venerdì:
UNA PRODIGIOSA FIABA METAFISICA PER RACCONTARE, CON PAROLE SEMPLICI, L’INELUTTABILE.
Caro Dio,
bravo! Sei fortissimo. Addirittura prima che abbia impostato la lettera, mi hai dato la risposta. Come fai?
Stamattina giocavo a scacchi con Einstein nella sala di ricreazione quando Pop Corn è venuto ad avvertirmi: “Ci sono i tuoi genitori”.
“I miei genitori? Non è possibile. Vengono solo la domenica.”
“Ho visto l’auto, la Jeep rossa con il tettuccio bianco.”
“Non è possibile.”
Ho alzato le spalle e ho continuato a giocare con Einstein. Ma siccome ero preoccupato, Einstein mi fregava tutti i miei pezzi e la cosa mi ha innervosito ancora di più. Se lo chiamiamo Einstein non è perché sia più intelligente degli altri, ma perché ha la testa molto più grossa. Sembra che dentro ci sia dell’acqua. Peccato, se ci fosse stato del cervello, avrebbe potuto fare grandi cose, Einstein.
Quando ho visto che stavo per perdere, ho smesso di giocare e ho seguito Pop Corn, la cui camera dà sul parcheggio. Aveva ragione: i miei genitori erano arrivati.
Devo dirti, Dio, che abitiamo lontano, i miei genitori e io. Non me ne rendevo conto quando ci abitavo, ma adesso che non ci abito più trovo che è veramente lontano. Perciò i miei genitori vengono a trovarmi una volta alla settimana, la domenica, perché la domenica non lavorano e io nemmeno.
“vedi che avevo ragione” ha detto Pop Corn.
“Cosa mi dai per averti avvertito?”
“Ho dei cioccolatini alle nocciole.”
“Non hai più delle fragole Tagada?”
“No.”
“O.K., vada per i cioccolatini.”
Ovviamente non si ha il diritto di dar da mangiare a Pop Corn, visto che si trova qui per dimagrire. Novantotto chili a nove anni, un metro e dieci di altezza per un metro e dieci di larghezza! Il solo indumento in cui entri completamente è una tuta sportiva americana, le cui righe sembrano avere il mal di mare. Francamente, siccome siamo convinti che non potrà mai smettere di essere grasso e ci fa pietà tanto la fame lo tormenta, gli diamo sempre i nostri avanzi. Un cioccolatino è minuscolo rispetto a una tale massa di lardo! Se abbiamo torto, allora anche le infermiere la smettano di infilargli delle supposte.
Sono ritornato nella mia stanza ad aspettare i miei genitori. All’inizio non ho visto passare i minuti perché ero senza fiato, poi mi sono reso conto che avevano avuto quindici volte il tempo di arrivare a me.
A un tratto, ho capito dov’erano. Mi sono infilato nel corridoio e, di nascosto, sono sceso dalle scale; poi ho camminato nella penombra fino allo studio del dottor Düsseldorf.
Bingo! Erano là. Le voci mi arrivavano da dietro la porta. Siccome ero sfinito per la discesa, mi sono fermato alcuni secondi per rimettermi il cuore a posto e allora tutto si è guastato. Ho sentito quello che non avrei dovuto sentire. Mi a madre singhiozzava, il dottor Düsseldorf ripeteva: “Abbiamo provato di tutto, credetemi, le abbiamo tentate tutte” e mio padre rispondeva con voce soffocata: “Ne sono sicuro, dottore, ne sono sicuro”. Sono rimasto con l’orecchio incollato alla porta di ferro. Non sapevo più che cosa fosse più freddo, se il metallo o io.
Poi il dottor Düsseldorf ha detto: “Volete abbracciarlo?”.
“Non ne avrò mai il coraggio” ha detto mia madre.
“Non deve vederci in questo stato” ha aggiunto mio padre.
Ed è stato allora che ho capito che i miei genitori erano due vigliacchi. Peggio: due vigliacchi che mi prendevano per un vigliacco!
Siccome dallo studio arrivava il rumore di sedie che si spostavano, ho intuito che stavano per uscire e ho aperto la prima porta che mi sono trovato davanti.
E’ così che mi sono ritrovato nel ripostiglio delle scope dove ho passato il resto della mattinata perché, forse non lo sai, Dio, ma i ripostigli delle scope si aprono dall’esterno, non dall’interno….. come se avessero paura che di notte le scope, i secchi e gli strofinacci tagliassero la corda!
A ogni modo, non mi dava fastidio trovarmi rinchiuso al buio, perché non avevo più voglia di vedere nessuno e perché le gambe e le braccia non mi rispondevano più tanto bene, dopo il colpo che avevo ricevuto sentendo quello che avevo sentito.
Verso mezzogiorno, ho udito un gran trambusto al piano di sopra. Ascoltavo i passi, le corse. Poi si sono messi a gridare il mio nome dappertutto: “Oscar! Oscar!”.
Mi faceva bene sentirmi chiamare e non rispondere. Avevo voglia di scocciare il mondo intero. Dopo, credo di aver dormito un po’, poi ho percepito il ciabattare della signore N’da, la donna delle pulizie. Ha aperto la porta e ci siamo fatti paura l’un l’altra e abbiamo urlato fortissimo: lei perché non si aspettava di trovarmi là dentro, io perché non mi ricordavo che fosse così nera. Né che gridasse così forte.
Dopo c’è stata una bella confusione. Sono venuti tutti: il dottor Düsseldorf, la capoinfermiera, le infermiere di servizio, le altre donne delle pulizie. Invece di sgridarmi, come avrei creduto, sembravano sentirsi tutti in colpa e ho capito che bisognava approfittare in fretta della situazione.
“Voglio vedere Nonna Rosa.”
“Ma dove ti eri cacciato, Oscar? Come ti senti?”
“Voglio vedere Nonna Rosa.”
“Come sei finito in quel ripostiglio? Hai sentito qualcuno? Hai sentito qualcosa?”
“Voglio vedere Nonna Rosa.”
“Bevi un bicchiere d’acqua.”
“No. Voglio vedere Nonna Rosa.”
“Prendi una boccata di…..”
“No. Voglio vedere Nonna Rosa.”
Un pezzo di granito. Una roccia, una lastra di cemento. Niente da fare. Non ascoltavo più nemmeno quello che mi dicevano. Volevo vedere Nonna Rosa.
Davanti ai suoi colleghi, il dottor Düsseldorf appariva piuttosto seccato di non aver alcuna autorità su di me. Ha finito col cedere.
“Chiamate quella signora!”
Allora ho acconsentito a riposarmi e ho dormito un po’ nella mia stanza.
Quando mi son svegliato, Nonna Rosa era lì. Sorrideva
“Bravo, Oscar, ce l’hai fatta. E’ stato un bello schiaffo per loro. Ma il risultato è che adesso mi invidiano.”
“Ce ne freghiamo.”
“Sono brave persone, Oscar. Bravissime.”
“Me ne sbatto.”
“Che cosa c’è che non va?”
“Il dottor Düsseldorf ha detto ai miei genitori che sarei morto e loro sono scappati. Li detesto.”
Le ho raccontato tutto nei particolari, come a te, Dio.
“Mmm” ha fatto Nonna Rosa “Mi ricorda il mio torneo a Béthune contro Sarah Youp La Boum, la lottatrice dal corpo unto d’olio, l’anguilla del ring, un’acrobata che si batteva quasi nuda e che ti sgusciava tra le mani quando cercavi di farle una presa. Combatteva solo a Béthune dove vinceva ogni anno la coppa di Béthune. Beh, io la volevo, la coppa di Béthune!”
“Che cos’ha fatto Nonna Rosa?”
“Dei miei amici le hanno gettato addosso della farina quando è salita sul ring. Olio più farina, era pronta da friggere. In tre croci e due movimenti, l’ho spedita al tappeto, Sarah Youp La Boum. Dopo di me, non la chiamavano più l’anguilla dei ring, ma il merluzzo impanato!”
Mi scuserà, Nonna Rosa, ma non riesco proprio a capire il paragone.”
“Ma è lampante! C’è sempre una soluzione, Oscar c’è sempre un sacco di farina da qualche parte. Dovresti scrivere a Dio. e’ più forte di me.”
“Anche per il catch?”
“Si, anche per il catch, Dio sa il fatto suo. Prova, Oscar. Che cos’è che ti fa più male?”
“Detesto i miei genitori.”
“Allora detestali moltissimo.”
“E’ lei a dirmelo, Nonna Rosa?”
“Si, detestali moltissimo. Quando ti sarai sfogato, ti accorgerai che non era il caso. Racconta tutto a Dio e, nella tua lettera, chiedigli di venirti a trovare.”
“Lui si sposta?”
“A modo suo. Non spesso. Addirittura di rado.”
“Perché? E’ malato anche lui?”
Allora ho capito dal sospiro di Nonna Rosa che non voleva confessarmi che anche tu, Dio,
sei messo male.
“I tuoi genitori non ti hanno mai parlato di Dio, Oscar?”
“Lasci perdere. I miei genitori sono dei cretini.”
“Certo. Ma non ti hanno mai parlato di Dio?”
“Si. Solo una volta. Per dire che non ci credevano. Loro credono giusto a Babbo Natale.”
“Sono proprio così cretini, Oscar?”
“Non se lo immagina! Il giorno in cui sono tornato da scuola dicendo che dovevano finirla di raccontare fesserie, che sapevo, come tutti i miei compagni, che Babbo Natale non esisteva, avevano l’aria di cadere dalle nuvole. Siccome ero piuttosto furioso di essere passato per un idiota nel cortile della ricreazione, mi hanno giurato che non avevano mai voluto ingannarmi e che avevano creduto sinceramente che Babbo Natale esistesse, e che erano molto delusi, ma davvero molto delusi nell’apprendere che non era vero!
Due autentici deficienti, le dico, Nonna Rosa!”
“Dunque non credon o in Dio?”
“No.”
“E la cosa non ti ha incuriosito?”
“Se mi interesso a quello che pensano i cretini, non avrò più tempo per quello che pensano le persone intelligenti.”
“Hai ragione. Ma il fatto che i tuoi genitori che, secondo te, sono dei cretini….”
“Si. Dei veri cretini, Nonna Rosa!”
“Dunque, se i tuoi genitori che si sbagliano non ci credono, perché non dovresti crederci tu e chiedergli una visita?”
“D’accordo. Ma non mi ha detto che è infermo?”
“No. Ha un modo molto speciale di far visita. Ti viene a trovare con il pensiero. Nel tuo spirito.”
Questo mi è piaciuto. L’ho trovato fortissimo.
Nonna Rosa ha aggiunto: “Vedrai: le sue visite fanno un gran bene”.
“O.K., gliene parlerò. Per il momento, le visite che mi fanno più bene sono le sue.”
Nonna Rosa ha sorriso e, quasi timidamente, si è chinata per darmi un bacio sulla guancia. Non osava andare fino in fondo. Chiedeva il permesso con lo sguardo.
“Su. Mi baci. Non lo dirò agli altri. Non voglio rovinarle la reputazione di ex lottatrice.”
Le sue labbra si sono posate sulla mia guancia e la cosa mi ha fatto piacere, ho sentito un calore, un solletico, un profumo di cipria e di sapone.
“Quando torna?”
“Ho il diritto di venire solo due volte alla settimana.”
“Non è possibile, Nonna Rosa! Non aspetterò tre giorni!”
“E’ il regolamento.”
“Il dottor Düsseldorf.”
“Il dottor Düsseldorf, in questo momento, se la fa addosso quando mi vede. Vada a chiedergli il permesso, Nonna Rosa, non scherzo.”
Mi ha guardato esitante.
“Non scherzo. Se non viene a trovarmi tutti i giorni, io non scrivo a Dio.”
“Proverò.”
Nonna Rosa è uscita e mi sono messo a piangere. Prima non mi ero reso conto di quanto avessi bisogno di aiuto. Non mi ero reso conto, prima, di quanto fossi veramente malato. All’idea di non vedere più Nonna Rosa, capivo tutto e mi scioglievo in lacrime che mi bruciavano le guance. Per fortuna ho avuto un po’ di tempo per riprendermi prima che rientrasse.
“E’ tutto sistemato: ho il permesso. Per dodici giorni posso venire a trovarti ogni giorno.”
“Me e me soltanto?”
“Te e te soltanto, Oscar. Dodici giorni.”
Allora non so che cosa mi ha preso, ho ricominciato a singhiozzare. Eppure so che i ragazzi non devono piangere, soprattutto io, con la mia testa d’uovo, che non somiglio né a un ragazzo né a una ragazza, ma piuttosto a un marziano. Niente da fare, non riuscivo a fermarmi.
“Dodici giorni? Va davvero così male, Nonna Rosa?”
Anche lei aveva voglia di piangere. Si tratteneva a fatica. L’ex lottatrice impediva alla ragazza di un tempo di lasciarsi andare. Era bello da vedere e mi ha distratto un po’.
“Che giorno è oggi, Oscar?”
“Diamine! Non vede il mio calendario? E’ il 20 dicembre.”
“Nel mio paese, Oscar, c’è una leggenda che sostiene che, durante gli ultimi dodici giorni dell’anno, si può indovinare che tempo farà nei dodici mesi dell’anno seguente. Basta osservare ogni giornata per avere, in miniatura, il quadro del mese. Il 20 dicembre rappresenta gennaio, il 21 dicembre febbraio, e così via, fino al 31 dicembre che prefigura il dicembre seguente.”
“E’ vero?”
“E’ una leggenda. La leggenda dei dodici giorni divinatori. Vorrei che ci giocassimo, tu e io. Soprattutto tu. A partire da oggi, osserverai ogni giorno come se ciascuno contasse per dieci anni.”
“Dieci anni?”
“Si. Un giorno: dieci anni.”
“Allora, fra dodici giorni, avrò centovent’anni!”
“Si, te ne rendi conto?”
Nonna Rosa mi ha baciato, ci prendo gusto, lo sento, e poi se n’è andata.
Allora ecco, Dio: stamattina sono nato e non me ne sono reso conto bene; è diventato più chiaro verso mezzogiorno, quando avevo cinque anni, ho guadagnato in coscienza ma non è stato per apprendere delle buone notizie; stasera ho dieci anni ed è l’età della ragione. Ne approfitto per chiederti una cosa: quando hai qualcosa da annunciarmi, come a mezzogiorno per i miei cinque anni, sii meno brutale. Grazie.
A domani, baci,
Oscar.
P. S. ho una cosa da chiederti. So che ho diritto a un solo desiderio, ma il mio desiderio di un attimo fa più che un desiderio era un consiglio.
Sarei d’accordo per una visitina. Una visita in spirito. Trovo la cosa fortissima. Mi piacerebbe molto che me ne facessi una. Sono disponibile dalle otto del mattino alle nove di sera. Il resto del tempo dormo. Talvolta schiaccio dei pisolini anche durante la giornata, a causa delle cure. Ma se mi trovi così, non esitare a svegliarmi. Sarebbe stupido mancare all’appuntamento per così poco, no?
Una fiaba metafisica per raccontare l'ineluttabile - II
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Riscoprire la fede
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lunedì 14 novembre 2011
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