Riflettiamo Insieme

nella vigna ...

Preghiera di ringraziamento

Oggi si chiude l'anno ed è cosa buona e giusta elevare al Padre, una preghiera di ringraziamento:
 

Grazie Padre per la mia vita, che è la tua e quella di tutti gli altri
Grazie per la luce e le ombre, che mi fanno vedere la tua immensità.
Grazie Padre per la terra, il fuoco, l’aria e il mare.
Grazie per l’amore e per amare, per sapere e avere volontà.
un amico e per l’umanità. Per il sorriso di un bambino,
per papà e mamma.

Grazie Padre per i neri e per i bianchi, per gli indigeni, i meticci e i mulatti.
Per le pietre e per le piante, per gli animali e i santi.
Per i Troni, Serafini ed Arcangeli, per il dare e il perdonare.
Per la sfida e per la pace.

Grazie Padre per le parole, l’espressione e la capacità di parlare,
per la pittura e le lettere, la musica, la scultura, il dramma e l’architettura.
Grazie Padre per le scienze, la medicina, l’elettricità, per la fisica e per la chimica,
alchimia e biologia. Grazie per la verità.

Grazie Padre per essere Cristiano o Induista, Ebreo,
Massone o Musulmano, Metafisico o Buddista.

Grazie Padre, perché sappiamo che esisti, e in molti modi ti possiamo ringraziare.
Grazie di tutto, per il granello di sabbia,
fino al sistema solare.
Per tutte le galassie, per sentire, pensare e poter creare.
Grazie per il momento nel quale posso meditare, evocandoti
in ogni luogo del mio quotidiano andare.

Grazie perché posso ringraziarti per tutto quello che mi dai.

Ruben Cedeno

Il nostro augurio: non amate il mondo, né le cose del mondo!

Scrivo a voi, figlioli,
perché vi sono stati perdonati i peccati in virtù del suo nome.
Scrivo a voi, padri,perché avete conosciuto colui che è da principio.
Scrivo a voi, giovani,
perché avete vinto il Maligno.
Ho scritto a voi, figlioli,
perché avete conosciuto il Padre.
Ho scritto a voi, padri,
perché avete conosciuto colui che è da principio.
Ho scritto a voi, giovani,
perché siete forti
e la parola di Dio rimane in voi
e avete vinto il Maligno.

Non amate il mondo, né le cose del mondo! Se uno ama il mondo, l’amore del Padre non è in lui; perché tutto quello che è nel mondo – la concupiscenza della carne, la concupiscenza degli occhi e la superbia della vita – non viene dal Padre, ma viene dal mondo. E il mondo passa con la sua concupiscenza; ma chi fa la volontà di Dio rimane in eterno!

*** 

Queste parole di San Giovanni, meritano di essere meditate e riflettute a dovere poiché ci mostrano un messaggio importante, soprattutto nell'ultima parte: non amate il mondo, né le cose del mondo! Questo è un augurio, per l'anno che giunge, che la Vigna del Signore vuole porgere a tutti coloro che ci seguono, soprattutto a chi dubita del peccato. Il mondo che ci circonda, che sembra dominare in questo tempo, ci porta a credere giusto ciò che è profondamente sbagliato. Per questo dobbiamo lottare affinché non veniamo dominati da falsi bisogni, soprattutto sessuali, che ci portano alla schiavitù del corpo e dell'anima. Liberiamoci dal mondo, liberiamoci dai falsi profeti del nostro tempo e perseveriamo nella Volontà di Dio, perchè se non lo faremo, allora non Dio Padre non sarà in noi né con noi e la nostra anima soffrirà sempre di più perchè lontana dalla fonte della sua esistenza.

Riflessioni sulla teologia cattolica - Terza parte

Torna, dopo le feste della Natività, l'appuntamento contenente alcune riflessioni sulla teologia, di Mons. Carlo Molari:


3. La fede di Gesù: argomenti biblici e coerenza dogmatica

In questi ultimi decenni è diventato sempre più folto il gruppo dei teologi che rifiutano l’opinione tradizionale e parlano della fede di Gesù. Il cambiamento non è stato improvviso ma è avvenuto a piccoli passi. Alcuni teologi hanno ammesso l’esercizio della fede anche nello stato di gloria; (32) altri hanno attribuito a Gesù una particolare intuizione di Dio compatibile con la fede, (33) altri hanno accentuato la dimensione filiale di Gesù e il corrispondente atteggiamento di abbandono fiducioso in Dio, accompagnato da una particolare intuizione di Dio. (34) Infine altri sia biblisti che teologi senza difficoltà parlano di un autentico cammino di fede di Gesù, senza tentativi di conciliazione con la tradizione teologica. (35) Essi negano a Gesù conoscenze speciali non derivate dalla sua esperienza umana sperimentale o spirituale e gli attribuiscono un’autentica vita di fede, che è norma per il nostro cammino. In questo senso, secondo le formule della lettera agli Ebrei, Gesù è “apostolo e sommo sacerdote della fede che noi professiamo” (Eb 3,1), “iniziatore e consumatore della nostra fede” (Eb.12, 2). Per costoro tutte le argomentazioni addotte dai teologi dei secoli scorsi, sia quelle di ispirazione biblica che quelle dogmatiche, erano valide solo se riferite alla condizione gloriosa di Cristo, ma non alla sua esistenza terrena.

Non mi fermo ad esaminare le varie posizioni. (36) Vorrei piuttosto presentare gli argomenti addotti sia quelli biblici (3.1) che quelli dogmatici (3.2). In un quarto paragrafo vorrei poi proporre una breve riflessione sull’oggetto della fede di Gesù e sulle sue dinamiche.

3.1. Argomenti biblici.

Abitualmente tutti affermano che nella Scrittura Gesù non è mai soggetto del verbo pisteuo, non si dice cioè che Gesù ha esercitato la fede o che ha creduto come si dice di Abramo o di Maria. Ma questo argomento negativo non è sufficiente a dimostrare l’assunto tradizionale. Vi sono infatti nel Nuovo Testamento numerose indicazioni relative all’esercizio della fede di Gesù.

Wilhelm Thüsing in un volume scritto insieme a K. Rahner scrive: “Della fede di Gesù stesso si parla nel NT almeno in due scritti, il Vangelo di Marco e nella lettera agli Ebrei; inoltre io credo di poter dimostrare l’esistenza di questo tòpos anche in Paolo”. (37) Del Vangelo di Marco egli cita l’episodio del ragazzo epilettico del cap. 9 (vv.14-29). Il Padre del ragazzo dice a Gesù: “se tu puoi fa qualcosa”. Gesù riprende la formula e, quasi riflettendo tra sé e sé esclama: “se tu puoi. Tutto è possibile per chi crede” (Mc. 9,23). Thüsing commenta: “In questo collegamento logico, soltanto Gesù può essere inteso come colui che crede, al quale, appunto attraverso la fede, la guarigione è possibile. Una conferma di ciò la troviamo alla fine della pericope, nel versetto 29, dove Gesù designa la preghiera come condizione dalla quale dipende la possibilità o l’impossibilità della guarigione”. (38) Anche Jon Sobrino che accetta questa argomentazione scrive: “In questo passo «chi crede» non è altri che Gesù stesso, il quale compie infatti il miracolo in base alla propria fede. Lo conferma il v. 29: «Questa specie di demoni non si può scacciare se non con la preghiera»: gli esegeti equiparano questa preghiera alla fede. Ciò che qui si afferma direttamente è dunque il fatto che Gesù possedette la forza proveniente dalla fede, mentre egli stesso viene indirettamente dichiarato come colui che ha fede.. Gesù - così almeno ha interpretato Marco- fa riferimento alla propria fede e viene dichiarato uomo di fede”. (39) L’argomentazione di Wilhelm Thüsing viene citata anche da Walter Kasper: “Qui la fede viene.. considerata come partecipazione all’onnipotenza di Dio e quindi come una capacità di ridonare la salute. Se teniamo presente lo sviluppo dei concetti del brano, dovremmo convenire che soltanto Gesù qui è «colui che crede» e che solo lui, proprio in forza della sua «fede», è capace di sanare… Nella sua radicale obbedienza Gesù è quindi la radicale originarietà da Dio e il radicale riferimento a Lui. Egli non è nulla da sé ma tutto da Dio e per Dio. È quindi la forma vuota, lo spazio aperto all’amore di Dio che si comunica.. La successiva cristologia della figliolanza non è altro che l’interpretazione e traduzione di ciò che si trova nascosto nell’obbedienza e donazione filiali di Gesù”. (40)

Non ci sono eccessive difficoltà a riconoscere la convinzione che secondo la Lettera agli Ebrei, Gesù abbia esercitato la fede. Egli viene riconosciuto “apostolo e sommo sacerdote della fede che noi professiamo” (Eb 3,1) e “iniziatore e consumatore della fede” (Eb 12,2). L’autore riconosce che Gesù aveva introdotto una modalità nuova nell’esercizio della fede in Dio, aveva aperto una via particolare. I discepoli di Gesù erano appunto designati “quelli della via di Cristo” (cfr Atti 9,3). D’altra parte la stessa Lettera osserva che Gesù aveva imparato “l’obbedienza (= la fede, l’ascolto) dalle cose che patì e, reso perfetto, divenne causa di salvezza eterna per tutti coloro che gli obbediscono (= che hanno fede in Lui)” (Eb., 5,8s.). Gesù ha reso così possibile un nuovo tipo di esperienza di Dio. “Si tratta dell’esperienza che la πίστις, in quanto fiducioso abbandonarsi al Dio della promessa, in quanto orientamento e in quanto resistenza nella situazione di tentazione, è possibile se si leva lo sguardo a colui che, in quanto credente (Eb 12,2) non solo incomincia l’esperienza di fede (come iniziatore oppure condottiero [α̉ρχηγός] della fede, ma anche la perfeziona”. (41) “Questo tuttavia non va inteso in maniera puramente esemplare, bensì prototipa e originaria: come colui che ha vissuto questa ‘fede’ in modo singolare e la cui fede adesso è pervenuta allo stato di ‘perennità’, egli da ai suoi la forza per questa fede – cioè (secondo il contesto di Eb. 12) per «la corsa senza posa» verso la meta della promessa”. (42)

Quanto a Paolo è interessante notare il valore di una sua formula singolare: πίστις Χριστoυ̃: fede di Cristo. Essa è presente 8 volte nelle sue lettere: Fil. 3,9, Rom. 3,22,26; Gal 2,16 (2 volte); Gal 2,20; Gal 3,22; Ef 3,12. (43)

Non è questo il luogo per una esegesi particolareggiata dei testi citati. (44) Presento solo velocemente il ventaglio delle interpretazioni e chiarisco la ragione di coloro che argomentano a favore della fede personale di Gesù.

Possiamo raggruppare le interpretazioni del sintagma genetivale πίστις Χριστoυ̃ in quattro gruppi:

a. senso oggettivo: la fede in Cristo. È questa l’interpretazione più tradizionale comune ai Padri greci, agli occidentali come S. Agostino e S. Tommaso. Anche Lutero interpreta Paolo in senso oggettivo. I commentari e le traduzioni più diffuse (la traduzione CEI sia nella prima redazione che nella recente revisione) interpretano la formula come la fede in Gesù Cristo.

b. Senso soggettivo: la fede esercitata da Gesù nei confronti del Padre; lo stile della sua fiducia in Dio, che ha influito sui discepoli e ha suscitato la loro fede. Diversi esegeti e teologi attuali come vedremo, interpretano a formula in questo senso.

c. Senso genetico o di autore: la fede suscitata da Cristo, sia nei confronti di Dio (perché da lui esercitata) sia nei suoi confronti: “abbiate fede in Dio e abbiate fede anche in me” (Gv. 14,1).

d. Senso complesso: che racchiude diversi significati intrecciati in virtù dell’unione profonda che il discepolo ha con Cristo perché guidato dal suo Spirito. R. Vignolo la chiama fede di relazione e la descrive con queste parole: “fede attuata, istituita da Cristo, meglio ancora fede portata da Cristo; intendendo l’attuazione vuoi a Cristo come singolare soggetto di fede, vuoi a Cristo come istituente una fede correlata a lui, affidabilmente fondata su di lui”. (45) Egli osservando che “il sintagma così inteso svolge un ruolo di raccordo privilegiato nel contesto del pensiero paolino” ricorda in modo sommario altre interpretazioni complesse. (46)

Roberto Vignolo nel suo articolo molto attento ed accurato, osserva che “percentualmente nel corpo paolino largamente inteso (con eccezione di Eb. e prescindendo dai casi direttamente in questione) πίστις è seguita 29 volte da genitivo soggettivo e solo 3 volte da genitivo oggettivo. Evidentemente i genitivi di Rom 3,3; 4, 12.16 sono tutti soggettivi”. (47)

In conclusione credo che non si possa escludere il riferimento soggettivo nelle formule paoline citate. Altrimenti Paolo avrebbe scelto l’espressione πίστις ε̉ν Χριστω̃ Ίησου̃.

Amare Dovunque...

Dal Diario di Bordo di Michele, grazie alla segnalazione della nostra carissima amica Patrizia (alla quale è dedicato questo spazio riflessivo), a cui auguriamo ogni bene:


Diario di Bordo 20.12.2010.

Amare Dovunque...

19.12.2010. In Ogni Luogo Abitato dagli Uomini
la Vita di Dio vuole farsi Conoscere per Essere Accolta e Vissuta.
Per questo Noi Amiamo Dovunque.

20.12.2010. Il Dovunque è lo Spazio Tempo Quotidiano
dove Possiamo Ricevere, Accogliere, far Crescere e Donare l’Amore di Dio.
In Ogni Luogo e Tempo.

Solo l'Onnipresenza di Dio è in grado di Amare in Ogni Luogo e Tempo
e di farlo Amando Tutti Amandoci Insieme nello stesso Tempo.
A Noi è Dato di Accogliere la Sua Onnipresenza
perché il Suo Amore sia sempre con Noi.

Amare nello Spazio Tempo Quotidiano
è quanto Abbiamo Bisogno per Essere Noi stessi.
Solo Accogliendo e Ricevendo l'Amore di Dio in Ogni Tempo
Possiamo Amare Chiunque in Tutti i Luoghi e in Ogni Attimo di Vita.

E' ancora una Volta La Presenza di Dio a fare la differenza
solo il Suo Amore in Noi ci Dona di Potere Amare a Sua Misura.
L'Onnipresente Amore attraverso Noi Giunge al Cuore di Chi Attende
di Poter Conoscere la Verità sulla Vita di Dio e su quel che Dona a Tutti Noi.

In Ogni Tempo e in Ogni Spazio l'Amore Di Dio  ci Raggiunge Dovunque
e Attraverso Noi Ama e Serve Dovunque Ogni Uomo e Ogni Donna.
Il Tempo e lo Spazio Quotidiano Luogo Ove l'Amore Ama
Dove Amando Doniamo quel che Serve a Tutti.

Amiamo Tutti in Ogni Luogo e Tempo...

 

Santo Stefano secondo Sant'Agostino


Dai "Discorsi" di Sant'Agostino Vescovo (Sermo 49, 9-11)

Stefano martire: esempio di amore e di perdono

Sei nel languore, aneli, ti opprime l'infermità. Non sei in grado di liberarti dall'odio. Spera in Dio, che è medico. Egli per te fu sospeso a un patibolo e ancora non si vendica. Come vuoi tu vendicarti? Difatti in tanto odi in quanto ti vorresti vendicare. Guarda al tuo Signore pendente [dalla croce]; guardalo così sospeso e quasi in atto d'impartire ordini dall'alto di quel legno-tribunale. Guardalo mentre, sospeso, prepara a te malato la medicina ricavata dal suo sangue. Guardalo sospeso! Vuoi vendicarti? Lo vuoi davvero? Guarda a colui che pende [dalla croce] e ascolta ciò che dice: Padre, perdona loro perché non sanno quello che fanno (Lc 23, 34).

Mi dirai: Lui poté far questo; io non lo posso. Io sono un uomo, lui era Dio. Ebbene, era un uomo, era veramente un uomo lui che era uomo-Dio. E allora, per qual motivo Dio sarebbe diventato uomo se l'uomo non ne trae motivo per emendarsi? Ma, eccomi, voglio apostrofarti. O uomo, ammettiamo pure che sia troppo per te imitare il tuo Signore. Osserva almeno Stefano, come te servo. Santo Stefano era certamente un [semplice] uomo. O che forse era uomo e dio? È risaputo da tutti: era un semplice uomo; era ciò che sei tu, e quel che fece non lo fece se non per un dono di colui al quale anche tu ti raccomandi. Comunque, osserva come si comportò. Parlava ai giudei: infuriava e amava. Debbo mostrarti l'una e l'altra cosa, poiché ho detto che infuriava e ho detto anche che amava. Debbo presentartelo e inferocito e pieno di amore. Ascoltalo inferocito: Gente dalla dura cervice! (At 7, 51). Ecco, lo hai ascoltato mentre va sulle furie; debbo mostrarti anche il rovescio della medaglia: ascoltalo pieno di amore. Gli avversari si irritarono, arsero di sdegno feroce e, ripagando il bene col male, ricorsero alle pietre e cominciarono a lapidare il servo di Dio. Dacci ora, o Stefano santo, una prova del tuo amore. Adesso, adesso vogliamo vederti; adesso vogliamo saggiarti; adesso vogliamo contemplarti vincitore, anzi trionfatore, del diavolo. Ti abbiamo ascoltato mentre infierivi contro gente in silenzio; vogliamo vedere se ami chi si accanisce contro di te. Infuriavi contro gente in silenzio; vediamo se ami chi ti lapida. Infatti, se odi, se puoi odiare, l'occasione è adesso mentre vieni lapidato. Adesso soprattutto devi odiare. Vediamo se rispondi con la durezza del cuore alla durezza delle pietre che ti lapidano. Uomini pietrificati ti scagliano addosso delle pietre: duri scagliano cose dure. Coloro che avevano ricevuto la legge scritta su pietre scagliano pietre.

Vediamo, carissimi, vediamo; contempliamo il grande spettacolo. Guardiamo. Ecco Stefano viene lapidato. Collochiamocene la figura, per così dire, dinanzi agli occhi. Suvvia, membro di Cristo! suvvia, atleta di Cristo! Fissa gli occhi in colui che per te fu appeso alla croce. Lui veniva crocifisso, tu sei lapidato. Lui diceva: Padre, perdona loro perché non sanno quello che fanno. Voglio ascoltare cosa dici tu. Guarderò a te, con la speranza che te almeno possa imitare. Il beato Stefano cominciò col pregare per sé stando in piedi. Disse: Signore Gesù, ricevi il mio spirito (At 7, 59). Detto questo, piegò le ginocchia e in ginocchio disse: Signore, non imputare a loro questo delitto. Detto questo, si addormentò (At 7, 60). O sonno felice! O vera pace! Ecco che cosa significa riposare: pregare per i nemici.


Che cosa è diventato per te Dio?!

Continuiamo a meditare il Santo Natale dai "Discorsi" di Sant'Agostino Vescovo:

Osserva, uomo, che cosa è diventato per te Dio!

Quali lodi potremo dunque cantare all'amore di Dio, quali grazie potremo rendere? Ci ha amato tanto che per noi è nato nel tempo lui, per mezzo del quale è stato creato il tempo; nel mondo fu più piccolo di età di molti suoi servi, lui che è eternamente anteriore al mondo stesso; è diventato uomo, lui che ha fatto l'uomo; è stato formato da una madre che lui ha creato; è stato sorretto da mani che lui ha formato; ha succhiato da un seno che lui ha riempito; il Verbo senza il quale è muta l'umana eloquenza ha vagito nella mangiatoia, come bambino che non sa ancora parlare.

Osserva, uomo, che cosa è diventato per te Dio: sappi accogliere l'insegnamento di tanta umiltà, anche in un maestro che ancora non parla. Tu una volta, nel paradiso terrestre, fosti così loquace da imporre il nome ad ogni essere vivente (Cf. Gn 2, 19-20); il tuo Creatore invece per te giaceva bambino in una mangiatoia e non chiamava per nome
neanche sua madre. Tu in un vastissimo giardino ricco di alberi da frutta ti sei perduto perché non hai voluto obbedire; lui per obbedienza è venuto come creatura mortale in un angustissimo riparo, perché morendo ritrovasse te che eri morto. Tu che eri uomo hai voluto diventare Dio e così sei morto (Cf. Gn 3); lui che era Dio volle diventare uomo per ritrovare colui che era morto. La superbia umana ti ha tanto schiacciato che poteva sollevarti soltanto l'umiltà divina.

Dove ti trovi, Signore, per causa mia?

Prepariamoci all'imminente Santo Natale attraverso le parole di Sant'Agostino, tratte dai celebri "Discorsi":


Il Signore Gesù volle essere uomo per noi. Non si pensi che sia stata poca la misericordia: la Sapienza stessa giace in terra! In principio era il Verbo e il Verbo era presso Dio e il Verbo era Dio (Gv 1,1). O cibo e pane degli angeli! Di te si nutrono gli angeli, di te si saziano senza stancarsi, di te vivono, di te sono come impregnati, di te sono beati. Dove ti trovi invece per causa mia? In un piccolo alloggio, avvolto in panni, adagiato in una mangiatoia. E per chi tutto questo? Colui che regola il corso delle stelle succhia da un seno di donna: nutre gli angeli, parla nel seno del Padre, tace nel grembo della madre. Ma parlerà quando sarà arrivato in età conveniente, ci annunzierà con pienezza la buona novella. Per noi soffrirà, per noi morirà, risorgerà mostrandoci un saggio del premio che ci aspetta, salirà in cielo alla presenza dei discepoli, ritornerà dal cielo per il giudizio. Colui che era adagiato nella mangiatoia è divenuto debole ma non ha perduto la sua potenza: assunse ciò che non era ma rimase ciò che era. Ecco, abbiamo davanti il Cristo bambino: cresciamo insieme con lui.

 

Gioia, gioia, gioia: pianti di gioia!

Continuiamo la nostra marcia verso il Natale attraverso l'omelia di un altro grande Papa, cioè Paolo VI:


SANTA MESSA DI MEZZANOTTE

OMELIA DI PAOLO VI

Sabato, 24 dicembre 1977

 
Fratelli e Figli carissimi!

Voi attendete da noi una parola, che già risuona negli animi vostri; ed il fatto di ascoltarla ancora in questa notte ed in questa sede ne riconosca la sua perenne novità, la sua forza di verità, la sua meravigliosa e beatificante letizia. Non è nostra, è celeste. Le nostre labbra ripetono l’annunzio dell’Angelo, che rifulse nella notte, a Betlemme, 1977 anni fa, e che confortati gli umili e spaventati pastori, veglianti all’aperto sul loro gregge, vaticinò l’ineffabile fatto compiutosi allora in un presepio vicino:

«Io vi annunzio una grande gioia, che sarà di tutto il popolo: oggi vi è nato nella città di Davide (Betlemme) un Salvatore, che è il Cristo Signore» (Luc. 2 , 10-11).

Così è, così è, Fratelli e Figli! e così è, vogliamo estendere il nostro grido umile e impavido a quanti «hanno orecchi per ascoltare» (Matth. 11, 15). Un fatto e una gioia; ecco la duplice grande notizia!

Il fatto: esso sembra quasi insignificante. Un bambino che nasce e in quali umilianti condizioni ! Lo sanno i nostri ragazzi, quando compongono i loro presepi, ingenui ma autentici documenti della realtà evangelica. Ma la realtà evangelica è trasparente d’una concomitante realtà ineffabile: quel Bambino risulta vivente d’una trascendente Figliolanza divina, «Filius Altissimi vocabitur» (Luc. 1, 32). Facciamo nostre le espressioni entusiastiche del grande nostro Predecessore, San Leone Magno, il quale esclama: «Il nostro Salvatore, o carissimi, oggi è nato: godiamo! Non vi è luogo a tristezza, quando è il natale della vita, che, spento il timore della morte, ci infonde la letizia della promessa eternità» (S. LEONIS MAGNI Sermo I de Nativitate Domini).

Così che mentre il sommo mistero della vita trinitaria dell’unico Iddio ci si rivela nelle tre distinte Persone, Padre generante, Figlio generato, entrambi uniti nel vincolo dello Spirito Santo, un altro mistero integra d’inestinguibile meraviglia il nostro rapporto religioso con Dio aprendo il cielo alla visione della gloria dell’infinita trascendenza divina, e, superando in un dono d’incomparabile amore ogni distanza, la prossimità, la vicinanza di Cristo-Dio fatto uomo ci mostra ch’Egli è con noi, Egli è in cerca di noi: «È apparsa infatti la grazia di Dio, apportatrice di salvezza per tutti gli uomini» (Tit. 2, 11; 3, 4).

Fratelli! Uomini tutti! Che cosa è il Natale se non questo avvenimento storico, cosmico, estremamente comunitario perché rivolto a proporzioni universali, ed insieme incomparabilmente intimo e personale per ciascuno di noi, poiché il Verbo eterno di Dio, in virtù del Quale noi già viviamo della nostra esistenza naturale (Cfr. Act. 17, 23-28), è appunto venuto in cerca di noi; Lui eterno si è inserito nel tempo, Lui infinito si è quasi annientato «assumendo la condizione di servo e divenendo simile agli uomini, è apparso in forma umana, ha umiliato se stesso facendosi obbediente fino alla morte, e alla morte di croce» (Phil. 2, 6 ss.). I nostri orecchi sono - ahimé! - abituati a simile messaggio, e i nostri cuori sordi a simile chiamata, una chiamata d’amore: «così Dio ha amato il mondo ...» (Io. 3, 16); anzi siamo precisi: ciascuno di noi può dire con San Paolo: «Egli ha amato me, e ha dato la sua vita per me...»! (Gal. 2, 20)

Il Natale è questo arrivo del Verbo di Dio fatto uomo fra noi. Ciascuno può dire: per me! Il Natale è questo prodigio. Il Natale è questa meraviglia. Il Natale è questa gioia. Ritornano alle labbra le parole di Pascal: Gioia, gioia, gioia: pianti di gioia!

Oh! che davvero questa celebrazione notturna del Natale di Cristo sia per noi tutti, sia per la Chiesa intera, sia per il mondo una rinnovata rivelazione del mistero ineffabile dell’Incarnazione, una sorgente d’inestinguibile felicità! Così sia!

Un Bambino è nato per noi!

Ormai siamo vicinissimi al Santo Natale e quale modo migliore per vivere quest'attesa se non meditando il mistero attraverso le parole del nostro Papa? Leggiamo insieme le parole pronunciate da Benedetto XVI durante l'omelia della scorsa Vigilia di Natale:


SANTA MESSA DI MEZZANOTTE

SOLENNITÀ DEL NATALE DEL SIGNORE

OMELIA DI SUA SANTITÀ BENEDETTO XVI

Basilica Vaticana
Giovedì, 24 dicembre 2009


 

Cari fratelli e sorelle,

“Un bambino è nato per noi, ci è stato dato un figlio” (Is 9, 5). Ciò che Isaia, guardando da lontano verso il futuro, dice a Israele come consolazione nelle sue angustie ed oscurità, l’Angelo, dal quale emana una nube di luce, lo annuncia ai pastori come presente: “Oggi, nella città di Davide, è nato per voi un Salvatore, che è Cristo Signore” (Lc 2, 11). Il Signore è presente. Da questo momento, Dio è veramente un “Dio con noi”. Non è più il Dio distante, che, attraverso la creazione e mediante la coscienza, si può in qualche modo intuire da lontano. Egli è entrato nel mondo. È il Vicino. Il Cristo risorto lo ha detto ai suoi, a noi: “Ecco, io sono con voi tutti i giorni, fino alla fine del mondo” (Mt 28, 20). Per voi è nato il Salvatore: ciò che l’Angelo annunciò ai pastori, Dio ora lo richiama a noi per mezzo del Vangelo e dei suoi messaggeri. È questa una notizia che non può lasciarci indifferenti. Se è vera, tutto è cambiato. Se è vera, essa riguarda anche me. Allora, come i pastori, devo dire anch’io: Orsù, voglio andare a Betlemme e vedere la Parola che lì è accaduta. Il Vangelo non ci racconta senza scopo la storia dei pastori. Essi ci mostrano come rispondere in modo giusto a quel messaggio che è rivolto anche a noi. Che cosa ci dicono allora questi primi testimoni dell’incarnazione di Dio?

Dei pastori è detto anzitutto che essi erano persone vigilanti e che il messaggio poteva raggiungerli proprio perché erano svegli. Noi dobbiamo svegliarci, perché il messaggio arrivi fino a noi. Dobbiamo diventare persone veramente vigilanti. Che significa questo? La differenza tra uno che sogna e uno che sta sveglio consiste innanzitutto nel fatto che colui che sogna si trova in un mondo particolare. Con il suo io egli è rinchiuso in questo mondo del sogno che, appunto, è soltanto suo e non lo collega con gli altri. Svegliarsi significa uscire da tale mondo particolare dell’io ed entrare nella realtà comune, nella verità che, sola, ci unisce tutti. Il conflitto nel mondo, l’inconciliabilità reciproca, derivano dal fatto che siamo rinchiusi nei nostri propri interessi e nelle opinioni personali, nel nostro proprio minuscolo mondo privato. L’egoismo, quello del gruppo come quello del singolo, ci tiene prigionieri dei nostri interessi e desideri, che contrastano con la verità e ci dividono gli uni dagli altri. Svegliatevi, ci dice il Vangelo. Venite fuori per entrare nella grande verità comune, nella comunione dell’unico Dio. Svegliarsi significa così sviluppare la sensibilità per Dio; per i segnali silenziosi con cui Egli vuole guidarci; per i molteplici indizi della sua presenza. Ci sono persone che dicono di essere “religiosamente prive di orecchio musicale”. La capacità percettiva per Dio sembra quasi una dote che ad alcuni è rifiutata. E in effetti – la nostra maniera di pensare ed agire, la mentalità del mondo odierno, la gamma delle nostre varie esperienze sono adatte a ridurre la sensibilità per Dio, a renderci “privi di orecchio musicale” per Lui. E tuttavia in ogni anima è presente, in modo nascosto o aperto, l’attesa di Dio, la capacità di incontrarlo. Per ottenere questa vigilanza, questo svegliarsi all’essenziale, vogliamo pregare, per noi stessi e per gli altri, per quelli che sembrano essere “privi di questo orecchio musicale” e nei quali, tuttavia, è vivo il desiderio che Dio si manifesti. Il grande teologo Origene ha detto: se io avessi la grazia di vedere come ha visto Paolo, potrei adesso (durante la Liturgia) contemplare una grande schiera di Angeli (cfr in Lc 23, 9). Infatti – nella Sacra Liturgia, gli Angeli di Dio e i Santi ci circondano. Il Signore stesso è presente in mezzo a noi. Signore, apri gli occhi dei nostri cuori, affinché diventiamo vigilanti e veggenti e così possiamo portare la tua vicinanza anche ad altri!

Torniamo al Vangelo di Natale. Esso ci racconta che i pastori, dopo aver ascoltato il messaggio dell’Angelo, si dissero l’un l’altro: “'Andiamo fino a Betlemme' … Andarono, senza indugio” (Lc 2, 15s.). “Si affrettarono” dice letteralmente il testo greco. Ciò che era stato loro annunciato era così importante che dovevano andare immediatamente. In effetti, ciò che lì era stato detto loro andava totalmente al di là del consueto. Cambiava il mondo. È nato il Salvatore. L’atteso Figlio di Davide è venuto al mondo nella sua città. Che cosa poteva esserci di più importante? Certo, li spingeva anche la curiosità, ma soprattutto l’agitazione per la grande cosa che era stata comunicata proprio a loro, i piccoli e uomini apparentemente irrilevanti. Si affrettarono – senza indugio. Nella nostra vita ordinaria le cose non stanno così. La maggioranza degli uomini non considera prioritarie le cose di Dio, esse non ci incalzano in modo immediato. E così noi, nella stragrande maggioranza, siamo ben disposti a rimandarle. Prima di tutto si fa ciò che qui ed ora appare urgente. Nell’elenco delle priorità Dio si trova spesso quasi all’ultimo posto. Questo – si pensa – si potrà fare sempre. Il Vangelo ci dice: Dio ha la massima priorità. Se qualcosa nella nostra vita merita fretta senza indugio, ciò è, allora, soltanto la causa di Dio. Una massima della Regola di san Benedetto dice: “Non anteporre nulla all’opera di Dio (cioè all’ufficio divino)”. La Liturgia è per i monaci la prima priorità. Tutto il resto viene dopo. Nel suo nucleo, però, questa frase vale per ogni uomo. Dio è importante, la realtà più importante in assoluto nella nostra vita. Proprio questa priorità ci insegnano i pastori. Da loro vogliamo imparare a non lasciarci schiacciare da tutte le cose urgenti della vita quotidiana. Da loro vogliamo apprendere la libertà interiore di mettere in secondo piano altre occupazioni – per quanto importanti esse siano – per avviarci verso Dio, per lasciarlo entrare nella nostra vita e nel nostro tempo. Il tempo impegnato per Dio e, a partire da Lui, per il prossimo non è mai tempo perso. È il tempo in cui viviamo veramente, in cui viviamo lo stesso essere persone umane.

Alcuni commentatori fanno notare che per primi i pastori, le anime semplici, sono venuti da Gesù nella mangiatoia e hanno potuto incontrare il Redentore del mondo. I sapienti venuti dall’Oriente, i rappresentanti di coloro che hanno rango e nome, vennero molto più tardi. I commentatori aggiungono: questo è del tutto ovvio. I pastori, infatti, abitavano accanto. Essi non dovevano che “attraversare” (cfr Lc 2, 15) come si attraversa un breve spazio per andare dai vicini. I sapienti, invece, abitavano lontano. Essi dovevano percorrere una via lunga e difficile, per arrivare a Betlemme. E avevano bisogno di guida e di indicazione. Ebbene, anche oggi esistono anime semplici ed umili che abitano molto vicino al Signore. Essi sono, per così dire, i suoi vicini e possono facilmente andare da Lui. Ma la maggior parte di noi uomini moderni vive lontana da Gesù Cristo, da Colui che si è fatto uomo, dal Dio venuto in mezzo a noi. Viviamo in filosofie, in affari e occupazioni che ci riempiono totalmente e dai quali il cammino verso la mangiatoia è molto lungo. In molteplici modi Dio deve ripetutamente spingerci e darci una mano, affinché possiamo trovare l’uscita dal groviglio dei nostri pensieri e dei nostri impegni e trovare la via verso di Lui. Ma per tutti c’è una via. Per tutti il Signore dispone segnali adatti a ciascuno. Egli chiama tutti noi, perché anche noi si possa dire: Orsù, “attraversiamo”, andiamo a Betlemme – verso quel Dio, che ci è venuto incontro. Sì, Dio si è incamminato verso di noi. Da soli non potremmo giungere fino a Lui. La via supera le nostre forze. Ma Dio è disceso. Egli ci viene incontro. Egli ha percorso la parte più lunga del cammino. Ora ci chiede: Venite e vedete quanto vi amo. Venite e vedete che io sono qui. Transeamus usque Bethleem, dice la Bibbia latina. Andiamo di là! Oltrepassiamo noi stessi! Facciamoci viandanti verso Dio in molteplici modi: nell’essere interiormente in cammino verso di Lui. E tuttavia anche in cammini molto concreti – nella Liturgia della Chiesa, nel servizio al prossimo, in cui Cristo mi attende.

Ascoltiamo ancora una volta direttamente il Vangelo. I pastori si dicono l’un l’altro il motivo per cui si mettono in cammino: “Vediamo questo avvenimento”. Letteralmente il testo greco dice: “Vediamo questa Parola, che lì è accaduta”. Sì, tale è la novità di questa notte: la Parola può essere guardata. Poiché si è fatta carne. Quel Dio di cui non si deve fare alcuna immagine, perché ogni immagine potrebbe solo ridurlo, anzi travisarlo, quel Dio si è reso, Egli stesso, visibile in Colui che è la sua vera immagine, come dice Paolo (cfr 2 Cor 4, 4; Col 1, 15). Nella figura di Gesù Cristo, in tutto il suo vivere ed operare, nel suo morire e risorgere, possiamo guardare la Parola di Dio e quindi il mistero dello stesso Dio vivente. Dio è così. L’Angelo aveva detto ai pastori: “Questo per voi il segno: troverete un bambino avvolto in fasce, adagiato in una mangiatoia” (Lc 2, 12; cfr 16). Il segno di Dio, il segno che viene dato ai pastori e a noi, non è un miracolo emozionante. Il segno di Dio è la sua umiltà. Il segno di Dio è che Egli si fa piccolo; diventa bambino; si lascia toccare e chiede il nostro amore. Quanto desidereremmo noi uomini un segno diverso, imponente, inconfutabile del potere di Dio e della sua grandezza. Ma il suo segno ci invita alla fede e all’amore, e pertanto ci dà speranza: così è Dio. Egli possiede il potere ed è la Bontà. Ci invita a diventare simili a Lui. Sì, diventiamo simili a Dio, se ci lasciamo plasmare da questo segno; se impariamo, noi stessi, l’umiltà e così la vera grandezza; se rinunciamo alla violenza ed usiamo solo le armi della verità e dell’amore. Origene, seguendo una parola di Giovanni Battista, ha visto espressa l’essenza del paganesimo nel simbolo delle pietre: paganesimo è mancanza di sensibilità, significa un cuore di pietra, che è incapace di amare e di percepire l’amore di Dio. Origene dice dei pagani: “Privi di sentimento e di ragione, si trasformano in pietre e in legno” (in Lc 22, 9). Cristo, però, vuole darci un cuore di carne. Quando vediamo Lui, il Dio che è diventato un bambino, ci si apre il cuore. Nella Liturgia della Notte Santa Dio viene a noi come uomo, affinché noi diventiamo veramente umani. Ascoltiamo ancora Origene: “In effetti, a che gioverebbe a te che Cristo una volta sia venuto nella carne, se Egli non giunge fin nella tua anima? Preghiamo che venga quotidianamente a noi e che possiamo dire: vivo, però non vivo più io, ma Cristo vive in me (Gal 2, 20)” (in Lc 22, 3).

Sì, per questo vogliamo pregare in questa Notte Santa. Signore Gesù Cristo, tu che sei nato a Betlemme, vieni a noi! Entra in me, nella mia anima. Trasformami. Rinnovami. Fa’ che io e tutti noi da pietra e legno diventiamo persone viventi, nelle quali il tuo amore si rende presente e il mondo viene trasformato. Amen.

© Copyright 2009 - Libreria Editrice Vaticana

Il Natale di Padre Pio

Anche oggi ripercorriamo la strada che tende verso il Santo Natale di nostro Signore Gesù Cristo e lo facciamo con un testo tratto dal sito http://www.conventopadrepio.com che ci parla del modo di vivere il Natale di San Pio da Pietrelcina.


Tutte le persone che hanno conosciuto Padre Pio e sono vissute accanto a lui, sono concordi nel riferire che il Natale era la festa liturgica che più sentiva. Si preparava a questa ricorrenza con una meticolosità straordinaria e la celebrava con un trasporto che incantava. E questo lo fece sempre. Sia da giovane che da anziano. Padre Ignazio da Ielsi, che fu superiore del convento di San Giovanni Rotondo dal 1922 al 1925, quando cioè Padre Pio era giovane e aveva da poco ricevuto le stigmate, scrisse nel suo “Diario”: <<E’ inutile dire con quanta passione Padre Pio celebra il Natale. Sempre vi pensa. E conta i giorni che lo separano da un Natale all’altro. Gesù bambino per lui è un’attrazione specialissima. Basta sentire il suono di una pastorale, della ninna-nanna, per sollevare lo spirito sù sù, tanto che a guardarlo sembra in estasi>>. Padre Pio fu sempre un religioso umile, riservato. Non chiedeva mai niente per sé. Si riteneva l’ultimo dei confratelli. Ma la Messa della notte di Natale amava celebrarla lui nella chiesetta di San Giovanni Rotondo. Essendo una cerimonia solenne, sarebbe spettata, di diritto, al Superiore del convento. Ma sapendo con quale desiderio quella cerimonia era ambita da Padre Pio, i vari Superiori gliela facevano sempre celebrare a lui. Era un rito che rimaneva indimenticabile per tutti coloro che avevano la fortuna di assistervi. Durava a lungo. A volte finiva alle cinque del mattino. Raggiungere il convento, soprattutto negli Anni Venti e Trenta, era un’impresa. La strada, una mulattiera sassosa che dal centro abitato portava al conventino, era quasi sempre, in quella stagione, coperta da neve e ghiaccio. Spesso in quella notte nevicava e faceva molto freddo. Eppure, erano moltissime le persone che affrontavano quell’impresa per essere presenti alla Messa di Natale di Padre Pio. Prima della cerimonia, il Padre si intratteneva con la gente e il suo viso appariva già trasfigurato. Lucia Iadanza, sua figlia spirituale, ricorda, in alcune pagine di Diario, un fatto strepitoso accaduto la notte del 24 dicembre 1922. <<I frati avevano portato un grande braciere in sacrestia e molte persone stavano intorno per scaldarsi. Recitavamo il rosario in attesa della Messa. Padre Pio pregava in mezzo a noi. Ad un tratto, in un alone di luce, tra le sue braccia vidi apparire Gesù Bambino. Il volto del Padre era trasfigurato, i suoi occhi rivolti a quella figura di luce che aveva tra le braccia, le labbra aperte in un sorriso stupito. Quando la visione svanì, il Padre, da come lo guardavo, si rese conto che avevo visto tutto. Mi si avvicinò e mi disse di non parlare con nessuno>>. In un'altra occasione, testimone di un fatto simile fu Padre Raffaele da Sant’Elia a Pianisi, che visse accanto a padre Pio 35 anni. Aveva la camera accanto a quella di Padre Pio. <<Mi ero alzato per scendere in chiesa per la Messa di mezzanotte del Natale del 1924>>, ha lasciato scritto. <<Il corridoio era immenso nell’oscurità, rotta dalla piccola fiamma di un lumicino a petrolio. In quella penombra vidi che anche Padre Pio stava scendendo in chiesa. Era uscito dalla sua cella e procedeva nel corridoio a passi lenti. Mi resi conto che era avvolto in un alone di luce. Guardai meglio e vidi che aveva tra le braccia Gesù Bambino. Rimasi allibito sulla porta della mia cella. Mi inginocchiai. Padre Pio passò accanto a me tutto raggiante, e non si accorse neppure della mia presenza>>. Lucia Fiorellini, figlia spirituale di Padre Pio, ricordando quelle notti, scrisse: <<Ero emozionata e sentivo di vivere in una atmosfera che non era di questo mondo>>.Ciò che padre Pio provava veramente in quei momenti non è dato sapere. Lui era molto riservato e quasi geloso della sua vita spirituale. Qualcosa si può intuire da piccole confidenze che faceva nelle lettere. Scrisse un giorno al suo confessore: <<Il celeste bambino faccia sentire anche al vostro cuore tutte quelle sante emozioni che fece sentire a me nella beata notte, allorchè venne deposto nella povera cappannuccia. Oddio, non saprei esprimervi tutto quello che sentii nel cuore in questa felicissima notte. Mi sentivo il cuore traboccante di un santo amore verso il nostro Dio umanato>>. A Raffaelina Cerase, sua figlia spirituale, scrisse: <<Al cominciare della Sacra Novena in onore del Santo Bambino Gesù, il mio spirito si è sentito come rinascere a novella vita: il cuore si sente come abbastanza piccino per contenere i beni celesti; l’anima si sente tutta disfarsi alla presenza di questo nostro Dio per noi fatto carne. Come resistere a non amarlo sempre con nuovo ardore? Appressiamoci al bambino Gesù con cuore immacolato di colpa e gusteremo quanto sia dolce e soave l’amarlo>>. I confratelli ricordano che Padre Pio voleva che il presepe, in chiesa, fosse allestito di fronte al confessionale per poterlo vedere mentre amministrava il Sacramento della penitenza. Restava in confessionale ore e ore ogni giorno, e teneva sempre lo sguardo rivolte alla statuetta del Bambino Gesù.

Poesia di Natale . I

Ci avviciniamo sempre più al Natale: e lo facciamo attraverso le poesie:
 
E' Natale ogni volta che sorridi
a un fratello e gli tendi una mano.

E' Natale ogni volta che rimani
in silenzio per ascoltare l'altro.

E' Natale ogni volta che non accetti
quei principi che relegano gli oppressi
ai margini della società.

E' Natale ogni volta che speri
con quelli che disperano
nella povertà fisica e spirituale.

E' Natale ogni volta che riconosci con umiltà i tuoi limiti e la tua debolezza.

E' Natale ogni volta che permetti al Signore di rinascere per donarlo agli altri."

Madre Teresa di Calcutta

«Giuseppe fece come gli aveva ordinato l'angelo del Signore»

Concludiamo la giornata liturgica attraverso l'ormai consueto appuntamento di meditazione: oggi riflettiamo attraverso le parole di don Luca Orlando Russo:

La quarta domenica di Avvento ci rimanda ai fatti immediatamente legati al Natale del Signore. Il vangelo, in modo particolare, mette a fuoco la figura e il ruolo di Giuseppe nella vicenda di Gesù. Pertanto può essere proprio la sua presenza a guidarci in questi ultimi giorni che ci separano dal Natale. L'annunzio dell'angelo fatto a Giuseppe, ricalca quello fatto ad altri personaggi che Dio coinvolge nella storia della salvezza. Anche per lui risuona l'invito rassicurante di Dio: «Non temere». Ma, allo stesso tempo, questo invito rassicurante tradisce i sentimenti che assediano il cuore e la mente di Giuseppe. Un uomo, semplice come lui, viene trascinato da Dio in una vicenda più grande delle sue forze. È la «paura» dell'imprevedibile che caratterizza anche la storia del re di Gerusalemme Acaz, riportata nel brano della 1a lettura.
La vicenda di Giuseppe, così come quella di Acaz e di molti altri personaggi biblici, confermano lo stretto legame della storia di Dio con quella degli uomini. Dio è l'«Emmanuele», il «Dio-con-noi» annunciato ad Acaz, il «Dio che salva» annunciato a Giuseppe.
Nella vicenda di Giuseppe, ogni cristiano può leggere il suo stesso cammino di fede, per imparare a non difendersi da Dio, a non aver timore di lasciarsi coinvolgere nei suoi progetti, perché se è vero che la sua «potenza» può spaventare l'uomo, allo stesso tempo «la gratuità» del suo amore lo rassicura. È la «obbedienza della fede» alla quale richiama l'apostolo Paolo nella 2a lettura. Celebrare il Natale ormai vicino sarà per ogni credente lasciarsi coinvolgere nella storia della salvezza, accogliendo senza timore, come Giuseppe, la presenza di Dio nella propria vita.
L'atteggiamento di Giuseppe di fronte alla notizia della gravidanza di Maria, è quello di rimanere in un silenzio che sembra segno di perplessità, mista a confusione. Ma il silenzio di Giuseppe è soprattutto il fare "spazio" a chi può rivelargli il senso autentico di quanto sta vivendo, così come ricorda il Vangelo: «Mentre però stava pensando a queste cose, ecco che gli apparve in sogno un angelo del Signore».
Nel Vangelo di questa Domenica, raccontando la vicenda tormentata di Giuseppe, la sua "notte oscura", il Vangelo conclude con una frase che illumina non solo il senso del brano, ma la vicenda stessa di Giuseppe: «Destatosi dal sonno, Giuseppe fece come gli aveva ordinato l'angelo del Signore». Il verbo «destare» richiama la "resurrezione". Dopo il tormento di una vicenda dai contorni marcatamente drammatici, Giuseppe "risorge" perché ha compreso che quella vicenda risponde ad un progetto di Dio, e lui stesso vi è coinvolto. La storia di Giuseppe ci rimanda alle storie tormentate di tanti uomini di oggi, ai quali sembra preclusa ogni via di uscita. Il risveglio di Giuseppe assume i caratteri di una "risurrezione" soprattutto perché egli è testimone di una promessa: il Dio che lo chiama e lo coinvolge è «Emmanuele, che significa Dio-con-noi», come ricorda la profezia riportata dal Vangelo. È la consapevolezza di questa presenza di Dio che porterà Giuseppe a fare «come gli aveva ordinato l'angelo del Signore».

 

Genealogia Di Gesù Cristo

Mentre ci avviciniamo al Santo Natale, meditiamo sulla genealogia di Gesù che ci ha presentato il Vangelo di oggi, attraverso il commento dell'Eremo San Biagio:

Dalla Parola del giorno
Giacobbe generò Giuseppe, lo sposo di Maria, dalla quale è nato Gesù, chiamato Cristo.

Come vivere questa Parola?
In queste semplici parole a conclusione della genealogia di Matteo, si svela il mistero stupendo dell'incarnazione del Figlio di Dio.
Gesù entra nella storia e fa parte di una famiglia della linea regale di Davide. Matteo traccia la linea filogenetica di Giuseppe, aggiungendo che egli si sposò con Maria dalla quale è nato Gesù. Così Matteo fa entrare in scena Giuseppe con un compito particolare affidatogli da Dio: custodire il suo Figlio. Ma il protagonista rimane Dio-Amore: Gesù nasce dalla vergine per opera dello Spirito Santo Così il bambino è veramente "l'Emmanuele, Dio con noi".
Il nostro Dio non disdegna di camminare per le strade misteriose della nostra storia umana. San Bernardo parla di tre venute di Dio: la terza è la venuta nei cuori dei credenti; Dio ci accompagna per la strada della vita, in tutte le nostre vicissitudini.

Nella mia pausa contemplativa oggi, apro il mio cuore alla meraviglia per il fatto che Dio si è legato alla mia alla nostra storia attraverso relazioni che sembrano così bizzarre: infatti, la sua parentela include i buoni e i cattivi, i miti ed i violenti; richiamo alla mente e al cuore le parole di Gesù: "Il Figlio dell'uomo infatti è venuto a cercare e a salvare ciò che era perduto" Lc 19,10).

Signore Gesù, anch'io voglio sperimentare la tua presenza nella mia storia, nel mio cammino di fede. Aiutami a preparare il mio cuore per riceverti! Vieni Signore Gesù!

La voce di un santo dottore della Chiesa
Quindi, questa venuta intermedia, è una via che unisce la prima all'ultima venuta: nella prima Cristo fu nostra redenzione, nell'ultima si manifesterà come nostra vita, in questa è nostro riposo e consolazione.
San Bernardo


Preghiera a Maria, Madre di Gesù

Lungo la via che ci conduce a Natale e inevitabile soffermarsi su Maria che con il suo SI incondizionato ha dato la possibilità al Signore di poter far risplendere la Luce sulla Terra per tutta l'umanità:

Maria, Madre del sì, tu hai ascoltato Gesù
e conosci il timbro della sua voce
e il battito del suo cuore.
Stella del mattino, parlaci di Lui
e raccontaci il tuo cammino
per seguirlo nella via della fede.
Maria, che a Nazareth hai abitato con Gesù,
imprimi nella nostra vita i tuoi sentimenti,
la tua docilità, il tuo silenzio che ascolta
e fa fiorire la Parola in scelte di vera libertà.
Maria, parlaci di Gesù,
perché la freschezza della nostra fede
brilli nei nostri occhi e scaldi il cuore di chi ci incontra,
come Tu hai fatto visitando Elisabetta
che nella sua vecchiaia ha gioito con te
per il dono della vita.
Maria, Vergine del Magnificat,
aiutaci a portare la gioia nel mondo e, come a Cana,
spingi ogni giovane, impegnato nel servizio ai fratelli,
a fare solo quello che Gesù dirà.
Maria, porta del cielo,
aiutaci a levare in alto lo sguardo.
Vogliamo vedere Gesù, parlare con Lui,
annunciare a tutti il Suo amore.

PAPA BENEDETTO XVI

Riflessioni sulla teologia cattolica - Seconda parte

Torna l'appuntamento contenente alcune riflessioni sulla teologia, di Mons. Carlo Molari:

La fede di Gesù. Riflessioni sulla teologia cattolica   

2. Argomenti attuali in difesa della dottrina tradizionale

Nonostante le sollecitazioni dei biblisti e di molti teologi, la dottrina tradizionale ha conservato i suoi difensori. I teologi che oggi difendono la dottrina tradizionale hanno adattato gli argomenti alle acquisizioni bibliche. Nel 1982 la Pontificia Accademia di S. Tommaso dedicò una sessione al tema della fede di Gesù. Tutti, un biblista, un patrologo e un teologo sistematico, vi difesero la dottrina tradizionale. Gli atti sono stati pubblicati in un numero speciale della Rivista Doctor Comunis. (22)

Qualche anno fa Angelo Amato, allora professore di Cristologia all’Università salesiana di Roma, e ora Segretario della Congregazione per la Dottrina della fede, ha pubblicato un’ampia recensione di un volume che raccoglie gli atti di un convegno tenutosi a Trento sulla fede di Gesù. (23) Egli, contro l’opinione dei relatori, non solo esamina e confuta le ragioni di chi crede di poter attribuire a Gesù una vera fede, ma argomenta dettagliatamente a favore della visione beatifica di Gesù. Secondo la sua convinzione, “si possono ridurre a tre le ragioni che fondano questa visione misteriosamente beatifica nel Gesù terreno, prepasquale: essa è un’esigenza intrinseca dell’unione ipostatica; (24) è il fondamento della sua missione rivelatrice e redentrice; non appare, infine, lesiva della sua autentica umanità, né rende meno dolorosa la passione, che il Verbo ha pienamente vissuto «in sacramento humanitatis»”. (25)

Commentando l’episodio della trasfigurazione scrive: “La luce che è Gesù non è quella profetica, ma quella stessa di Dio, che si manifesta anche nella sua umanità. La categoria teologica della visione beatifica del Cristo prepasquale non sembra quindi del tutto inadeguata per la comprensione della coscienza che Gesù ha di essere nel Padre”. (26) Concludendo poi l’analisi dei testi biblici scrive: “Il regime di esistenza terrena di Gesù, così come viene presentato nel NT, non sembra quindi escludere l’ipotesi di una visione beatifica. Né tale conclusione pregiudicherebbe la realtà e l’impegno di sofferenza del Figlio nella sua passione e morte”. (27) Egli pertanto considera “aprioristico il rifiuto” da parte di molti teologi attuali, della “visione immediata e beata del Padre nel Cristo prepasquale”. (28)

Quanto alla natura della visione egli osserva: “questa conoscenza immediata di Dio è certamente atematica, ma non per difetto, bensì per eccesso. Essa, infatti, è intrinsecamente ineffabile, perché «extracategoriale» e «metaconcettuale». Supera cioè per la ricchezza e l’inesauribilità del suo contenuto tutte le categorie concettuali del linguaggio umano. Più che indeterminazione atematica è quindi superdeterminazione e superconcentrazione tematica. Per cui paradossalmente la tematizzazione di questa visione mediata in categorie e linguaggio umano non rappresenta un progresso e un arricchimento, bensì una vera e propria kénosi e una involuzione, perché si va dal «di più» della conoscenza al «meno» della espressione e della formulazione. Di conseguenza l’indispensabile concettualizzazione, che questa visione sopracategoriale ha dovuto subire mediante la cosiddetta «scienza infusa», costituisce un misterioso processo kenotico. Il Cristo terreno vive in sé il passaggio dalla ricchezza della visione al continuo e intrinseco depauperamento della sua traduzione concettuale”. (29)

Amato conclude la sua analisi critica con l’affermazione: “La risposta allora alla domanda se in Gesù ci sia stata fede è negativa, sia da un punto di vista biblico, che da quello teologico. Nel NT Gesù non è mai presentato come il primo credente o come il modello della fede (Abramo per l'AT e Maria per il NT lo sono), bensì come colui che è la fonte e il fine della fede dei discepoli. Propriamente parlando, Gesù non ha la fede, ma suscita la fede. Se la nostra fede cristiana è fede in Gesù Cristo, Gesù non ha potuto avere la fede”. (30)

Torneremo più avanti sulla consistenza di queste argomentazioni.

Karol Wojtyla e San Giovanni della Croce

Nel giorno dedicato a San Giovanni della Croce, ritroviamo le parole del Venerabile Giovanni Paolo II che si soffermò nel lontano 1982, proprio sulla figura di questo santo di grande sapienza:



1. "Dalla grandezza e bellezza delle creature per analogia si conosce l'autore di esse... se sono colpiti dalla loro potenza e attività, pensino da ciò quanto è più potente colui che li ha formati...; se, stupiti per la loro bellezza, ...pensino quanto è superiore il loro Signore, perché li ha creati lo stesso autore della bellezza".

Abbiamo proclamato queste parole del libro della Sapienza, cari fratelli e sorelle, nel corso di questa celebrazione in onore di san Giovanni della Croce, accanto al suo sepolcro. Il libro della Sapienza ci parla della conoscenza di Dio per mezzo delle creature; della conoscenza dei beni visibili che rivelano il loro Artefice; della notizia che porta fino al Creatore partendo delle sue opere.

Potremmo benissimo mettere queste parole sulle labbra di Giovanni della Croce e comprendere il senso profondo che ad esse ha voluto dare l'autore sacro.

Sono parole di un saggio e di un poeta che ha conosciuto, amato e cantato la bellezza delle opere di Dio; ma sopratutto, parole di un teologo e di un mistico che ha conosciuto il suo Autore; e che attinge con incredibile radicalità alla fonte della bontà e della bellezza, addolorato per lo spettacolo del peccato che rompe l'originario equilibrio, offusca la ragione, paralizza la volontà, impedisce la contemplazione e l'amore verso l'Autore della creazione.


2. Rendo grazie alla Provvidenza che mi ha concesso di venire a venerare le reliquie e ad evocare la figura e la dottrina di san Giovanni della Croce, al quale debbo tanto nella mia formazione sprituale. Ho imparato a conoscerlo sin dalla mia giovinezza e sono entrato in un dialogo intimo con questo maestro della fede, con il suo linguaggio e il suo pensiero, fino a culminare con l'elaborazione della mia tesi di dottorato su "La fede in san Giovanni della Croce". Fin d'allora ho trovato in lui un amico e maestro, che mi ha indicato la luce che brilla nell'oscurità, per camminare sempre verso Dio, "senza altra luce né guida / che quella che nel cuore ardeva / Codesta mi guidava / più certo che la luce del meriggio" (san Giovanni della Croce, "Notte Oscura", 3-4).

In questa occasione saluto cordialmente i membri della provincia e diocesi di Segovia, il loro Pastore, i sacerdoti e i religiosi e religiose, le autorità e tutto il popolo di Dio che vive qui, sotto il cielo limpido della Castilla, così come coloro che sono venuti dai dintorni e dalle altre parti della Spagna.


3. Il santo di Fontiveros è il grande "maestro dei sentieri che conducono all'unione con Dio". I suoi scritti continuano ad essere attuali e in certo qual modo spiegano e complementano i libri di santa Teresa di Gesù. Egli indica le vie della conoscenza mediante la fede, perché soltanto tale conoscenza nella fede dispone l'intelletto "all'unione col Dio vivente".

Quante volte, con una convizione che sgorga dall'esperienza ci dice che la fede è il mezzo proprio e adatto per l'unione con Dio! E' sufficiente citare un celebre testo del secondo libro della "Salita al Monte Carmelo": "La fede è essa sola il mezzo più vicino e proporzionato perché l'anima si unisca a Dio... perché così come Dio è infinito, essa ce lo propone infinito; e così come Egli è Trino e Uno, ce lo propone Trino e Uno... e così per questo solo mezzo, si manifesta Dio all'anima in divina luce, che eccede ogni intendimento. E perciò quanta più fede ha l'anima in Dio, tanto più unita è a Lui" (san Giovanni della Croce, "Salita al Monte Carmelo", II,9,1) Con questa insistenza sulla purezza della fede, Giovanni della Croce non vuol negare che la conoscenza di Dio si possa raggiungere gradualmente partendo dalle creature, come insegna il libro della Sapienza e ripete san Paolo nella Lettera ai Romani (cfr. Rm 1,18-21 cfr. san Giovanni della Croce, "Cantico spirituale", Rm 4,1). Il dottore mistico insegna che nella fede è anche necessario privarsi delle creature, sia di quelle che si percepiscono per mezzo dei sensi che di quelle che si raggiungono con l'intelletto, per unirsi in una maniera conoscitiva con lo stessso Dio. Questa via che conduce all'unione, passa attraverso la "notte oscura" della fede.


4. L'atto di fede si concentra, secondo il santo, in Gesù Cristo, il quale, come ha affermato il Vaticano II, "è contemporaneamente il mediatore e la pienezza di tutta la rivelazione". Tutti conoscono la meravigliosa pagina del dottore mistico su Cristo come Parola definitiva del Padre e totalità della rivelazione, in quel dialogo tra Dio e gli uomini: "Egli è tutto il mio parlare e la mia risposta, Egli è tutta la mia visione e la mia rivelazione. In Lui vi ho già parlato, risposto, manifestato e rivelato, donandolo a voi come fratello, compagno e maestro, prezzo e premio" (san Giovanni della Croce, "Salita al Monte Carmelo", II,22,5).

E così raccogliendo noti testi biblici, riassume: "Perhé nel donarci, come ci ha dato, il Figlio suo, che è una Parola sua e non ne ha un'altra, ci ha detto tutto ed in una volta sola in questa unica Parola, e non ha più niente da dire" (san Giovanni della Croce, "Salita al Monte Carmelo", II,22,3). Per questo la fede è la ricerca amorosa del "Dio nascosto" che si rivela in Gesù Cristo, l'Amato (san Giovanni della Croce, "Cantico spirituale", I,1-3.11).

Per di più, il dottore della fede non tralascia di puntualizare che "Il Cristo lo troviamo nella Chiesa", Sposa e Madre; e che nel suo magistero troviamo la norma sicura della fede, la medicina delle nostre ferite, la fonte della grazia: "E così", scrive il santo, "in tutto ci dobbiamo lasciar guidare dalla legge di Cristo uomo e della Chiesa e i suoi ministri, umanamente e visibilmente, e tramite questa via rimediare alla nostra ignoranza e pigrizia spirituale; poiché in questa via troveremo abbondante medicina per ogni cosa" (san Giovanni della Croce, "Salita al Monte Carmelo", II,22,7).


5. In queste parole del dottore mistico troviamo una dottrina di assoluta coerenza e modernità. Giovanni della Croce invita l'uomo di oggi, angosciato dal significato dell'esistenza, spesso indifferente alla predicazione della Chiesa, forse scettico riguardo alle mediazioni della rivelazione di Dio, ad una ricerca onesta, che lo conduca fino alla fonte stessa della rivelazione che è il Cristo, la Parola e il Dono del Padre. Lo persuade a prescindere da tutto quello che potrebbe essere un ostacolo per la fede e lo colloca davanti a Cristo. Davanti a Colui che rivela e offre la verità e la vita divina nella Chiesa, la quale nella sua visibilità e nella sua umanità è sempre Sposa di Cristo, il suo Corpo Mistico, garanzia assoluta della verità della fede (san Giovanni della Croce, "Fiamma viva d'amore", Prol., 1).

Per questo esorta ad intraprendere una ricerca di Dio nella preghiera, affinché l'uomo "si renda conto" della sua limitatezza temporale e della sua vocazione all'eternità (san Giovanni della Croce, "Cantico spirituale", 1-1). Nel silenzio della preghiera si realizza l'incontro con Dio e si ascolta quella Parola che Dio ci dice in eterno silenzio e che nel silenzio deve essere ascoltata.

Un grande raccoglimento e un abbandono interiore, uniti al fervore della preghiera, aprono le profondità dell'anima "al potere purificatore dell'amore divino".


6. Giovanni della Croce segui le orme del Maestro, che si ritirava a pregare in luoghi solitari. Amo la solitudine sonora dove si ascolta la musica silente, il rumore della fonte che sgorga e zampilla anche se è notte. Lo ha fatto durante le lunghe veglie di preghiera ai piedi dell'Eucarestia, quel pane vivo che dona la vita e che porta fino alla sorgente dell'amore trinitario.

Non si possono dimenticare le immense solitudini del Duruelo, l'oscurità e nudità del carcere di Toledo, i paesaggi andalusi della Penuela, del Calvario, de los Martires, a Granada. La bella e sonora solitudine segoviana dell'eremo, nelle rocce di questo convento fondato dal santo. Qui si sono consumati dialoghi d'amore e di fede; fino a quell'ultimo, commovente, che il Santo confidava con queste parole dette al Signore che gli offriva il premio per le sue opere: "Signore, quello che voglio è che Voi mi doniate di patire per Voi, e che sia io disprezzato e tenuto in poco conto".

Così fino alla consumazione della sua identificazione con Cristo Crocifisso e della sua gloriosa pasqua a Ubeda, quando annunzio che andava a cantare il mattutino in cielo.


7. Una delle cose che più attirano l'attenzione negli scritti di san Giovanni della Croce è la lucidità con cui ha descritto la sofferenza umana, quando l'anima è investita dalla tenebra luminosa e purificatrice della fede.

Le sue osservazioni sorprendono il filosofo, il teologo e perfino lo psicologo. Il dottore mistico ci insegna la necessità di una purificazione passiva, di una notte oscura che Dio provoca nel credente, affinché sia più pura la sua adesione nella fede, speranza e amore. Infatti è così. La forza purificatrice dell'anima umana viene da Dio stesso. E Giovanni della Croce fu cosciente, come pochi, di questa forza purificatrice. Dio stesso purifica l'anima fino ai più profondi abissi del suo essere, accendendo nell'uomo la fiamma viva d'amore: il suo Spirito.

Egli ha contemplato con un'ammirabile profondità di fede, e a partire dalla sua propria esperienza della purificazione della fede, il mistero di Cristo Crocifisso; fino al culmine del suo abbandono sulla croce, dove viene offerto a noi, come esempio e luce dell'uomo spirituale. Li, il Figlio amato del Padre "ha avuto bisogno di esclamare: "Mio Dio, mio Dio perchè mi hai abbandonato? Quello fu l'abbandono più grande che mai aveva provato nella sua vita. E in esso Gesù ha operato il miracolo più grande che mai avesse potuto operare nella sua vita, né in terra né in cielo, e che consistette nel riconciliare ed unire il genere umano con Dio".


8. Anche l'uomo moderno, nonostante le sue conquiste, sfiora nella sua esperienza personale e collettiva l'abisso dell'abbandono, la tentazione del nihilismo, l'assurdità di tante sofferenze fisiche, morali e spirituali. La notte oscura, la prova che fa toccare il mistero del male ed esige l'apertura della fede, acquisisce a volte dimensioni di epoca e proporzioni collettive.

Anche il cristiano e la stessa Chiesa possono sentirsi identificati con il Cristo di San Giovanni della Croce, nel culmine del suo dolore e del suo abbandono. Tutte queste sofferenze sono state assunte dal Cristo nel suo grido di dolore e nella sua fiduciosa consegna al Padre. Nella fede, la speranza e l'amore, la notte si converte in giorno, la sofferenza in gioia, la morte in vita.

Giovanni della Croce, con la sua esperienza, ci invita alla ficucia, a lasciarci purificare da Dio; nella fede intessuta di speranza e di amore, la notte comincia a conoscere "le luci dell'aurora"; si fa luminosa come una notte di Pasqua - "O vere beata nox", "Oh notte amabile più dell'alba" - e annuncia la risurrezione e la vittoria, la venuta dello Sposo che unisce a sé e trasforma il cristiano: "Amata nell'Amato trasformata".

Magari le notti oscure che si addensano sulle coscienze individuali e sulle collettività del nostro tempo fossero vissute nella fede pura; nella speranza "che tanto ottiene quanto spera"; nell'amore ardente della forza dello Spirito, affinché si convertano in giornate luminose per la nostra umanità addolorata, in vittoria del Risorto che libera col potere della sua croce!


9. Abbiamo ricordato nella lettura del Vangelo le parole del profeta Isaia, che Cristo fece sue: "Lo Spirito del Signore è sopra di me; per questo mi ha consacrato con l'unzione, e mi ha mandato per annunziare ai poveri un lieto messaggio, per proclamare ai prigionieri la liberazione e ai ciechi la vista; per rimettere in libertà gli oppressi, e predicare un anno di grazia del Signore" (Lc 4,18-19).

Anche il "santo Fraticello Giovanni" - come lo chiamava la madre Teresa - fu, come Cristo, un povero che evangelizzo con immensa gioia e amore i poveri; e la sua dottrina è come una spiegazione di quel vangelo della liberazione dalle schiavitù e oppressioni del peccato, della luminosità della fede che guarisce ogni cecità. Se la Chiesa lo venera come dottore mistico sin dall'anno 1926, è perché riconosce in lui il gran maestro della verità vivente riguardo a Dio e all'uomo.

La "Salita del Monte" e la "Notte oscura" culminano nella gioiosa libertà dei figli di Dio nella partecipazione alla vita di Dio e alla comunione con la vita trinitaria. Soltanto Dio può liberare l'uomo; questi acquisice totalmente dignità e libertà soltanto quando sperimenta in profondità, come san Giovanni della Croce indica, la grazia redentrice e trasformante di Cristo. La vera libertà dell'uomo è la comunione con Dio.

10. Il testo del libro della Sapienza ci avvertiva "Se tanto poterono sapere da scrutare l'universo, come mai non ne hanno trovato più presto il padrone?" (Sg

13,19). Ecco una nobile sfida per l'uomo contemporaneo che ha esplorato le vie dell'universo. Ed ecco la risposta del mistico che dall'altura di Dio scopre l'orma del Creatore nelle sue creature e contempla in anticipo la liberazione della creazione (cfr. Rm 8,19-21).

Tutta la creazione, dice San Giovanni della Croce, è come bagnata dalla luce dell'Incarnazione e della Resurrezione: "In questo innalzamento della Incarnazione del suo Figlio e della gloria della sua Resurrezione secondo la carne non soltanto il Padre ha abbellito in parte le creature, ma possiamo dire che le ha completamente vestite di bellezza e dignità". Il Dio che è "Bellezza" si riflette nelle sue creature.

In un abbraccio cosmico che in Cristo unisce il cielo e la terra, Giovanni della Croce ha potuto esprimere la pienezza della vita cristiana: "Non mi toglierai, Dio mio, quello che una volta mi donasti nel tuo unico figlio Gesù Cristo in cui mi hai dato tutto quello che voglio... Miei sono i cieli e mia è la terra; miei sono le genti; i giusti sono miei, e miei i peccatori; gli angeli sono miei, e la Madre di Dio e tutte le cose sono mie, e lo stesso Dio è mio ed è per me, perché Cristo è mio e tutto per me".


11. Fratelli e sorelle: ho voluto con queste mie parole rendere un omaggio di gratitudine a San Giovani della Croce, teologo e mistico, poeta e artista, "uomo celestiale e divino" - come lo ha chiamato Santa Teresa di Gesù- amico dei poveri e saggio direttore spirituale delle anime. Egli è padre e maestro spirituale di tutto il Carmelo Teresiano, il plasmatore di quella fede viva che brilla nei figli più illustri del Carmelo: Teresa di Lisieux, Elisabetta della Trinità, Raffaele Kalinowski, Edith Stein. Chiedo alle figlie di Giovanni della Croce, le carmelitane scalze, che sappiano vivere l'essenza contemplativa di quell'amore puro che è eminentemente fecondo per la Chiesa. Raccomando ai suoi figli, i carmelitani scalzi, fedeli custodi di questo convento e animatori del Centro di Spiritualità dedicato al Santo, la fedeltà alla sua dottrina e la dedizione alla direzione spirituale delle anime, così come allo studio e approfondimento della teologia spirituale.

Per tutti i figli di Spagna e di questa nobile terra segoviana, come garanzia di rigenerazione ecclesiale, lascio queste magnifiche consegne di san Giovanni della Croce universalmente valide: intelligenza perspicace per vivere la fede: "Un pensiero dell'uomo vale più di tutto il mondo; pertanto solo Dio è degno di esso".

Volontà impavida per esercitare la carità: "Dove non c'è amore, metti amore ed otterrai amore". Una fede solida e confortante, che muova costantemente ad amare veramente Dio e l'uomo; perché alla fine della vita, "quando giungerà la sera sarai giudicato sull'amore". Con la mia benedizione apostolica per tutti.

Preghiera a Santa Lucia

Nel giorno di Santa Lucia, meditiamo una breve preghiera di Papa Pio X, rivolta proprio a lei:

O Santa, che dalla luce hai nome, a Te piena di fiducia ricorriamo affinchè ne impetri una luce sacra, che ci renda santi, per non camminare nelle vie del peccato e per non rimanere avvolti nelle tenebre dell'errore.
Imploriamo altresì, per tua intercessione, il mantenimento della luce negli occhi con una grazia abbondante per usarli sempre secondo il divino beneplacito, senza alcun detrimento dell'anima.
Fa, o S. Lucia, che dopo averti venerata e ringraziata, per il tuo efficace patrocinio, su questa terra, arriviamo finalmente a godere con Te in paradiso della luce eterna del divino Agnello, il tuo dolce sposo Gesù.
Amen
 

E beato è colui che non trova in me motivo di scandalo!

Concludiamo la giornata liturgica attraverso l'ormai consueto appuntamento di meditazione: oggi riflettiamo attraverso le parole del Movimento Apostolico:

La ricerca della verità obbliga in coscienza ogni uomo. Nessuno deve ancorarsi alla non verità. Nessuno dovrà fermarsi alla verità imperfetta. Ognuno deve progredire di verità in verità fino al raggiungimento di quella che è rivestita di perfezione assoluta.
Ogni uomo può costruire la sua vera umanità solo se va alla ricerca della più alta verità, della verità tutta intera. Se questo non lo fa', allora il suo rapporto con la verità è stolto, insipiente, poco intelligente. La verità sta all'intelligenza come la luce al sole. La nostra verità non è però un'idea. È una persona. È Cristo Gesù. Tutti sono chiamati a cercare Cristo Gesù. Tutti sono invitati a testimoniare Lui come unica e sola verità del Padre sulla nostra terra.
Secondo la Legge di Mosè, la testimonianza andava fatta sul fondamento di due testimoni concordi. Nessuno però poteva testimoniare per se stesso. Giovanni è testimone di Gesù. Lui però è uno solo. Ne occorre un altro perché la testimonianza sia legalmente valida. È questo il motivo per cui Giovanni manda i suoi discepoli a Cristo Signore. Questi devono passare tutti alla verità piena. Per passare occorre loro che questa verità venga testimoniata anche da Gesù Signore. Gesù però non può rendere testimonianza di se stesso. Non è legale. Rende loro testimonianza per mezzo della Scrittura Antica che si compie nella storia.
Quanto il Profeta Isaia annunzia del Messia del Signore si sta compiendo in Cristo Gesù. I discepoli di Giovanni lo constatano con i loro occhi. Vedono il compimento dell'antica profezia. Gesù però va ben oltre. Rende testimonianza alla verità di Giovanni: questi è vero profeta. Egli è il messaggero mandato da Dio dinanzi al Signore che sta per venire. Ora i discepoli di Giovanni possono scegliere Cristo Gesù, se vogliono. Possiedono la duplice testimonianza di Gesù e di Giovanni, di Gesù e della Scrittura. Se loro cercano realmente la verità, sono dinanzi alla verità.
Ogni uomo è obbligato dalla sua umanità a cercare la verità e in essa compiersi e realizzarsi. Ad ogni uomo però deve essere sempre donata la garanzia di una testimonianza sicura, infallibile, inequivocabile. Ci stiamo accingendo a celebrare il mistero della venuta di Gesù, della verità che si è fatta carne. Siamo noi testimoni credibili dinanzi al mondo? Oppure esso è giustificato nella sua incredulità? Per Cristo Gesù non è la testimonianza su di Lui che ci rende credibili, bensì è la testimonianza che diamo sopra di noi. La nostra credibilità è la carità, l'amore sino alla fine.
Vergine Maria, Madre della Redenzione, Donna credibile per la tua carità e misericordia, Angeli e Santi di Dio, rendeteci credibili per il nostro grande amore.

Riflessioni sulla Divina Provvidenza

Contempliamo il mistero ineffabile della Divina Provvidenza con alcune frasi tratte dalle meditazioni del card. John Henry Newman, beatificato da Papa Benedetto XVI lo scorso 19 settembre:


Se ci lasciamo trascinare dall’onda che scorre nella corrente del mondo, vivendo alla maniera degli altri uomini e cioè, raccogliendo le nostre nozioni di religione di qua e di là, cosa che può darsi, non possiamo avere che poca o nessuna comprensione vera di una Provvidenza individuale. Noi concepiamo che il Dio Onnipossente operi solo su un vasto piano, ma non possiamo renderci conto della meravigliosa verità che Egli vede e pensa anche agli individui singoli. Non riusciamo a credere che Egli è in ogni luogo, realmente presente, che Egli è in ogni luogo dove siamo noi, sebbene sia invisibile.


Questa è la legge della provvidenza quaggiù, agisce sotto un velo, e ciò che è visibile nel suo corso, non fa altro che adombrare al più, e talvolta oscura e maschera ciò che è invisibile.


Dio ti osserva individualmente, chiunque tu sia. Egli ‘ti chiama con il tuo nome’. Egli ti vede, ti comprende, così come Lui ti ha creato. Egli sa quello che c’è dentro di te, tutti i tuoi sentimenti e pensieri, quelli che ti sono propri, le tue inclinazioni e le cose che ti piacciono, la tua forza e la tua debolezza. Egli ti osserva nei giorni della tua gioia come pure nel giorno del dolore. Egli ti è vicino nelle tue speranze come nelle tue tentazioni. Egli mette il Suo interesse in tutte le tue preoccupazioni, in tutte le tue tristi o liete ricordanze. Egli nota il tuo stesso volto, sia quando sorride sia quando è in lacrime. Tu non puoi sfuggire al dolore più di quanto Egli si dolga del tuo doverlo sopportare, e se è Lui che te lo manda, è come se fossi tu a volerlo volontariamente su te stesso, se sei saggio, nell’attesa di un bene assai più grande dopo. Tu sei scelto per essere Suo.


Beato John Henry Newman

Preghiera alla Madonna di Loreto

Oggi celebriamo la Madonna di Loreto e quindi dedichiamo la pagina ad una preghiera verso di lei, del nostro Papa Benedetto XVI:

Maria, Madre del sì, tu hai ascoltato Gesù e conosci il timbro della Sua voce e il battito del Suo cuore.

Stella del mattino, parlaci di Lui e raccontaci il tuo cammino per seguirLo nella via della fede.

Maria, che a Nazareth hai abitato con Gesù, imprimi nella nostra vita i tuoi sentimenti, la tua docilità, il tuo silenzio che ascolta e fa fiorire la Parola in scelte di vera libertà.

Maria, parlaci di Gesù, perché la freschezza della nostra fede brilli nei nostri occhi e scaldi il cuore di chi ci incontra, come tu hai fatto visitando Elisabetta, che nella sua vecchiaia ha gioito con te per il dono della vita.

Maria, Vergine del Magnificat, aiutaci a portare la gioia nel mondo e, come a Cana, spingi ogni giovane, impegnato nel servizio ai fratelli, a fare solo quello che Gesù dirà.

Maria, poni il tuo sguardo sull’Agorà dei giovani, perché sia il terreno fecondo della Chiesa italiana.

Prega perché Gesù, morto e risorto, rinasca in noi e ci trasformi in una notte piena di luce, piena di Lui.

Maria, Madonna di Loreto, porta del Cielo, aiutaci a levare in alto lo sguardo. Vogliamo vedere Gesù. Parlare con Lui. Annunciare a tutti il Suo amore.

Sezione dedicata alla nostra amica Patrizia:

Il Dolore solo se è accettato e offerto diviene gioia, altrimenti può diventare disperazione. Il maligno tenta sempre di farci imboccare questa strada, che porta alla distruzione di sè e degli altri.
La domanda, il grido ci salva, perchè, come un bambino quando invoca la mamma è aiutato da lei, a maggior ragione o tanto più la nostra Mamma Celeste viene in nostro soccorso, portandoci lo Spirito Consolatore che ci fa ritornare la speranza.

Questo dolore non è capito dagli uomini, difficilmente ci possono aiutare, di solito LO aumentano!

Solo TU Signore ci comprendi totalmente, perchè siamo opera Tua. Fa' o Signore che possiamo amare anche chi non comprendiamo o non ci comprende, grazie. (Patrizia)

Gesù Cristo

Gesù Cristo
«Ti rendo lode, Padre, Signore del cielo e della terra, perché hai nascosto queste cose ai sapienti e ai dotti e le hai rivelate ai piccoli. Sì, o Padre, perché così hai deciso nella tua benevolenza. Tutto è stato dato a me dal Padre mio; nessuno conosce il Figlio se non il Padre, e nessuno conosce il Padre se non il Figlio e colui al quale il Figlio vorrà rivelarlo».

Riflettiamo

Impariamo a soffermarci sulle parole e meditiamone il loro significato

L'importanza della preghiera

Chi prega, certamente si salva; chi non prega certamente si danna. Tutti i beati, eccettuati i bambini, si sono salvati col pregare. Tutti i dannati si sono perduti per non pregare; se pregavano non si sarebbero perduti. E questa è, e sarà la loro maggiore disperazione nell’inferno, l’aversi potuto salvare con tanta facilità, quant’era il domandare a Dio le di lui grazie, ed ora non essere i miseri più a tempo di domandarle

(Sant'Alfonso Maria De' Liguori)

Accrescere la cultura

«Io voglio vivere per Gesù e per la Chiesa. La scienza che serve a farmi vivere sempre più per il Signore e per la Chiesa è la cultura della mia vita e tutta la mia vita di cultura». Ogni giorno, ogni ora, ogni istante io sento il bisogno di accrescere le mie conoscenze. E la Chiesa è una fonte inesauribile di vita e di cultura per me!».

(San Pio da Pietrelcina)

Il dono della Sapienza

Nella Sapienza c’è uno spirito intelligente, santo, unico, molteplice, sottile, mobile, penetrante, senza macchia, terso, inoffensivo, amante del bene, acuto, libero, benefico, amico dell’uomo, stabile, sicuro, senz’affanni. 
Onnipotente, onniveggente e che pervade tutti gli spiriti intelligenti, puri, sottilissimi. 
È un’emanazione della potenza di Dio, un effluvio genuino della gloria dell’Onnipotente, per questo nulla di contaminato in essa s’infiltra. 
È un riflesso della Luce perenne, uno specchio senza macchia dell’attività di Dio e un’immagine della sua bontà.

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Le preghiere dei Santi:

Le preghiere dei Santi:
Noi ci affidiamo a te. Non abbandonarci alla tristezza perché tu, Signore, sei con noi sempre. Tu non ci lascerai un istante. Se non avessi steso la mano, quante volte la nostra fede avrebbe vacillato! Tu, Signore, sei sempre intento ad accogliere le nostre confidenze. Aiutaci a non abbatterci nelle sofferenze fisiche e morali. Non permettere di affliggerci fino a perdere la pace interiore. Fa’ che camminiamo con buona fede, senza inquietudini e sconforti. Noi ci affidiamo a te: prendici la mano e guidaci pur per incogniti sentieri. Insegnaci ad affrontare la prova a mente serena, per amore tuo che la permetti. Donaci di acquistare tesori per la santa eternità. (San Pio da Pietrelcina)

Dio, nostro Padre, tu hai tanto amato gli uomini da mandare a noi il tuo unico Figlio Gesù, nato dalla Vergine Maria, per salvarci e ricondurci a te. Ti preghiamo, Padre buono, dona la tua benedizione anche a noi, ai nostri genitori, alle nostre famiglie e ai nostri amici. Apri il nostro cuore, affinché sappiamo ricevere Gesù nella gioia, fare sempre ciò che egli ci chiede e vederlo in tutti quelli che hanno bisogno del nostro amore. Te lo chiediamo nel nome di Gesù, tuo amato Figlio, che viene per dare al mondo la pace. Egli vive e regna nei secoli dei secoli. Amen.(Venerabile Giovanni Paolo II)

Padre santo e giusto, Signore Re del cielo e della terra, ti rendiamo grazie per il fatto stesso che tu esisti, ed anche perché con un gesto della tua volontà, per l'unico tuo Figlio e nello Spirito Santo, hai creato tutte le cose visibili ed invisibili e noi, fatti a tua immagine e somiglianza, avevi destinato a vivere felici in un paradiso dal quale unicamente per colpa nostra siano stati allontanati. (San Francesco di Assisi)

Tu sei grande, Signore, e ben degno di lode; grande è la tua virtù, e la tua sapienza incalcolabile. E l’uomo vuole lodarti, una particella del tuo creato, che si porta attorno il suo destino mortale, che si porta attorno la prova del suo peccato e la prova che tu resisti ai superbi. Eppure l’uomo, una particella del tuo creato, vuole lodarti. Sei tu che lo stimoli a dilettarsi delle tue lodi, perché ci hai fatti per te, e il nostro cuore non ha pace finché non riposa in te. (Sant'Agostino))

“O Dio di grande Misericordia, bontà infinita, ecco che oggi tutta l’umanità grida dall’abisso della sua miseria alla Tua Misericordia, alla Tua compassione, o Dio, e grida con la voce potente della propria miseria. O Dio benigno, non respingere la preghiera degli esuli di questa terra. O Signore, bontà inconcepibile, che conosci perfettamente la nostra miseria e sai che non siamo in grado di innalzarci fino a Te con le nostre forze, Ti supplichiamo, previenici con la Tua grazia e moltiplica incessantemente su di noi la Tua Misericordia, in modo che possiamo adempiere fedelmente la Tua santa volontà durante tutta la vita e nell’ora della morte. L’onnipotenza della Tua Misericordia ci difenda dagli assalti dei nemici della nostra salvezza, in modo che possiamo attendere con fiducia, come figli Tuoi, la Tua ultima venuta...” (Santa Faustina Kowalska))

Affinché coloro che mi guardano non vedano la mia persona, ma Te in me. Rimani con me. Così risplenderò del Tuo splendore e potrò essere luce per gli altri. La mia luce verrà da Te solo, Gesù, non sarà mio nemmeno un piccolo raggio. Sei Tu che illuminerai gli altri attraverso di me. Ispirami la lode che Ti è più gradita, illuminando gli altri attorno a me. Che io Ti annunci non con le parole ma con l'esempio, con la testimonianza dei miei atti, con lo scatto visibile dell'amore che il mio cuore riceve da Te. Amen. (Madre Teresa di Calcutta))

Signore Gesù, tu hai dato la vita per me: io voglio donare la mia a te. Signore Gesù, tu hai detto: «Amore più grande non c'è che dare la vita per gli amici». Il mio supremo amore sei tu. È sera. Il giorno ormai declina. Resta con me Signore. Voglio seguirti portando la mia croce. Signore, vieni in mio aiuto e guidami nel cammino. La tua voce, Signore, ha un'eco profonda nel mio cuore. Gesù, mio Signore e mio Dio, voglio diventare in tutto simile a te, voglio soffrire e morire con te, per raggiungere con te la gioia della risurrezione. Tu, quel gran Dio che l'universo adora, vivi in me giorno e notte. E sempre la tua voce mi implora e mi ripete: «Ho sete, ho sete di amore»! Anch'io voglio ripetere la tua divina preghiera: ho sete d'amore. Io ho sete d'amore! Sazia la mia speranza, accresci in me, o Signore, il tuo ardore divino. Ho sete d'amore! Quale sofferenza, mio Dio, e come grande! Come vorrei volare da te! Il tuo amore, o Gesù, è il mio solo martirio; perché più brucia d'amore, più desidera amarti l'anima mia. Gesù, fa' che io muoia d'amore per te! (Santa Teresa di Gesù Bambino)