Continuiamo a meditare l'orazione teresiana:
«Dobbiamo ritrovarci in noi stesse anche in mezzo alle occupazioni, essendoci sempre di gran vantaggio ricordarci di tanto in tanto, sia pure di sfuggita, dell'Ospite che abbiamo in noi, persuadendoci insieme che per parlare con Lui non occorre alzare la voce. Se ne prenderemo l'abitudine Egli si farà sentire presente».
«Così le nostre preghiere vocali le reciteremo con maggior quiete ed eviteremo molta noia. Dopo esserci sforzate per alcun tempo di tener compagnia al Signore, Egli ci capirà anche per via di segni».
«Il Signore si degni di insegnare questa specie di orazione a quelle tra voi che ancora non la conoscono. Io per me vi confesso che mai seppi cosa volesse dire pregare con soddisfazione fino a quando il Signore non mi pose su questa via» (Cam. 29, 5, 6, 7).
Gesù presente nella fede
«Il mio metodo di orazione era nel far di tutto per tener presente dentro di me Gesù Cristo, nostro Bene e Signore. Se meditavo una scena della sua vita, cercavo di rappresentarmela nell'anima. Però mi piaceva di più leggere buoni libri, nei quali era tutto il mio sollievo.
Il Signore non mi ha dato di poter discorrere con l'intelletto e neppure di valermi dell'immaginazione, la quale è in me così debole, che per quanto facessi per rappresentarmi l'Umanità di nostro Signore, non vi riuscivo per nulla» (Vit. 4, 7).
«Ero così poco abile a raffigurarmi gli oggetti con l'intelletto che se non li avevo visti con i miei occhi, ne ero affatto incapace, mentre altre persone, potendosi aiutare nell'immaginazione, si formano immagini su cui raccogliersi. Io non potevo pensare che a Gesù Cristo come uomo, ma anche qui, per quanto leggessi della sua bellezza e contemplassi le sue immagini, non mi riusciva di rappresentarmelo se non come un cieco o come uno che stia al buio il quale, parlando con una persona, sente di essere alla sua presenza in quanto sa, capisce ed è sicuro che gli sta dinanzi, ma non la vede. Così appunto mi avveniva quando pensavo a nostro Signore. Ed è per questo che io amo molto le immagini» (Vit. 9, 6).
Portatori di Dio
«Dovete convincervi che nel nostro interno abbiamo veramente qualche cosa. E piaccia Dio che sian soltanto le donne ad ignorarlo! Se procurassimo di ricordarci spesso dell'Ospite che abbiamo in noi, sarebbe impossibile, secondo me, abbandonarci con tanta passione alle cose del mondo, perché, paragonate a quelle che portiamo in noi, apparirebbero in tutta la loro spregevolezza. Ma noi imitiamo il bruto animale che appena vede un'esca di suo gusto, si precipita su di essa a saziare la sua fame. Eppure, quanto diversi dovremmo essere dai bruti!
«Alcune forse si rideranno di me, diranno che la cosa è assai chiara e ne avranno ragione. Eppure per me non è sempre stata così. Sapevo benissimo di avere un'anima, ma non ne capivo il valore, né chi l'abitava, perché le vanità della vita mi avevano bendati gli occhi per non lasciarmi vedere. Se avessi inteso, come ora, che nel piccolo albergo dell'anima mia abitava un Re così grande, mi sembra che non lo avrei lasciato tanto solo, ma che di quando in quando gli avrei tenuto compagnia, e sarei stata più diligente per conservarmi senza macchia» (Cam. 28, 10-11; cfr. Esclam. 7,1).
Lo Sposo dell'anima
«Si, o bontà infinita del mio Dio, (...) come sopportate chi vi permette di stargli vicino! Che buon amico dimostrate di essergli, Signore! Come lo favorite, e con quanta pazienza sopportate la sua condizione aspettando che si conformi alla vostra! Tenete in conto ogni istante che egli trascorre in amarvi e per un attimo di pentimento dimenticate le offese che vi ha fatte. Questo io so per esperienza, e non capisco, o mio Creatore, perché il mondo non corra tutto ai vostri piedi per intrecciare con Voi questa particolare amicizia. Se vi avvicinassero, diverrebbero buoni anche i cattivi, quelli cioè che non sono della vostra condizione, purché vi permettessero di star con loro un due ore al giorno, nonostante che il loro spirito andasse agitato da mille sollecitudini e pensieri di mondo come il mio» (Vit. 8,6; cfr. 22,14).
«Sappiate, figliole mie, che questo vostro Sposo non vi perde mai di vista, né sono bastate, perché lasciasse di guardarvi, le mille brutture e abominazioni che gli avete fatto soffrire. Ora, è forse gran cosa che togliendo gli occhi dagli oggetti esteriori, li fissiate alquanto su di Lui? Ricordate ciò che dice alla Sposa: non aspetta che un vostro sguardo per subito mostrarvisi quale voi la bramate. Stima tanto questo sguardo, che per averlo non lascia nulla di intentato» (Cam. 26, 3; cfr. Rel. 33, 3).
«Considero spesso, o mio Cristo, come siano dolci e pieni di incanto gli occhi che mostrate all'anima che vi ama e che Voi, o mio Bene, volete guardare con amore. Uno solo di quei dolcissimi sguardi, posato all'anima che già tenete per vostra, basta, mi pare, per ripagarla di molti anni di servizio» (Esclam. 14, 1).
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