Concludiamo la giornata liturgica attraverso l'ormai consueto appuntamento di meditazione con le riflessioni di noti sacerdoti e movimenti religiosi. Oggi riflettiamo attraverso le parole di mons. Roberto Brunelli
"Voi siete il sale della terra, la luce del mondo" dice Gesù ai suoi discepoli nel passo odierno (Matteo 5,13-16) del discorso della montagna. Con queste parole egli affida a chi vuole porsi al suo seguito un compito grandioso, entusiasmante: dare sapore, cioè un senso, uno scopo alto, alle realtà che invece troppi vivono come avvilenti perché subìte o banali; fare luce allo spirito di chi è disperato, di chi è cieco o semplicemente addormentato, e perciò non vede il bene esistente intorno a sé, né quello che è possibile realizzare. Essere sale, essere luce per il mondo: magnifica prospettiva, ma difficile; anzi, chi ha coscienza dei propri limiti è tentato di ritenerlo impossibile.
Una risposta all'obiezione viene dalla seconda lettura, costituita da un altro passo della lettera di Paolo che la liturgia ci presenta in questo periodo. Anche lui si sentiva inadeguato ad essere sale e luce del mondo; ma non per questo si trattenne dal fare quanto era in suo potere per testimoniare Colui che l'aveva mandato. In proposito, scrisse: "Io, fratelli, quando venni tra voi, non mi presentai ad annunciarvi il mistero di Dio con l'eccellenza della parola o della sapienza. Io ritenni infatti di non sapere altro in mezzo a voi se non Gesù Cristo, e Cristo crocifisso. Mi presentai a voi nella debolezza e con molto timore e trepidazione. La mia parola e la mia predicazione non si basarono su discorsi persuasivi di sapienza, ma sulla manifestazione dello Spirito e della sua potenza, perché la vostra fede non fosse fondata sulla sapienza umana, ma sulla potenza di Dio" (1Corinzi 2,1-5).
Si legge negli Atti degli apostoli (17,16-34) che, prima di giungere a Corinto, Paolo era passato dalla vicina Atene, considerata il principale centro intellettuale del mondo antico. L'ansia apostolica che lo pervadeva indusse Paolo ad annunciare il vangelo anche là, e dinanzi a un'accolta di filosofi tenne un discorso erudito, ricco degli accorgimenti retorici che rientravano allora nel bagaglio degli oratori; ma malgrado ciò, egli fece fiasco: tranne pochissimi, gli ascoltatori se ne andarono con commenti sarcastici. Paolo imparò la lezione: passato a Corinto, abbandonò ogni sapienza umana e annunciò il vangelo, come poi scrisse loro, con un discorso diretto, presentando le realtà della fede nella loro immediata concretezza, pur se poteva apparire sconcertante: invitò a seguire uno che era finito sulla croce, vale a dire uno che gli ascoltatori potevano considerare un fallito.
Umanamente sembra, quella dell'apostolo, una condotta poco accorta, quasi autolesionistica. Ma, come egli stesso spiega nella lettera, così facendo emerge che in realtà la fede non deriva dai bei discorsi di qualcuno: deriva dalla "potenza di Dio". L'apostolo, il missionario, il sacerdote, il catechista, la mamma premurosa che insegna le preghiere al suo bambino, e chiunque altro si renda disponibile a testimoniare il vangelo con le parole e l'esempio, può benissimo avere coscienza di essere debole, può senz'altro affrontare l'impegno "con molto timore e trepidazione". Ma deve procedere, nell'ancor più forte coscienza di essere soltanto uno strumento nelle mani di Dio: chi sa penetrare nelle menti e nei cuori degli uomini è solo Lui. Dunque, essere sale e luce del mondo è possibile ad ogni cristiano, non per virtù sua, per chissà quali doti o meriti o privilegi, ma perché tramite lui ad operare in realtà è Dio. Anche tutte le iniziative (le scuole, i giornali, le reti televisive, i siti internet eccetera) che i cristiani doverosamente mettono in campo per parlare agli uomini di oggi valgono solo se, e fino a quando, sanno essere non strumenti di potere, non megafoni delle opinioni di qualcuno, ma veicoli del vangelo, strumenti della voce di Dio
Con timore e trepidazione
Pubblicato da
Angel
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domenica 6 febbraio 2011
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