Concludiamo la giornata liturgica attraverso l'ormai consueto appuntamento di meditazione con le riflessioni di noti sacerdoti e movimenti religiosi. Oggi riflettiamo attraverso le parole di mons. Gianfranco Poma:
Il problema così vivo ai nostri giorni del rapporto tra il Gesù della storia e il Cristo della fede è in realtà presente già nelle ultime pagine del Vangelo: chi è questa persona che si presenta nella più concreta umanità e nello stesso tempo rivela un mistero irriducibile alla normale dimensione umana? Nei suoi ultimi capitoli il Vangelo di Matteo conduce il lettore ad entrare sempre più profondamente nel mistero di Gesù di Nazareth, il figlio dell'uomo, il Cristo, il figlio di Dio: è il mistero di un uomo che discende nella fragilità umana sino alla morte in croce perché in lui si riveli la potenza di Dio. Si compie così la rivelazione del pensiero di Dio che non è quello degli uomini: Dio si rivela nella fragilità, nella Croce, nell'Amore che si annienta. E tutto questo non è una dottrina, una filosofia, ma è la storia concreta di Gesù di Nazareth, che il Vangelo ci annuncia, di fronte al quale la razionalità umana si chiude: Dio deve essere l'onnipotente, Colui che vince le battaglie, che punisce chi lo offende.Il discepolo è invece chi crede, si affida a Lui perché sperimenta il suo amore, la sua condivisione, il suo com-patire: il discepolo è colui che, affidandosi totalmente a Gesù, cambia il suo pensiero e comincia a vedere l'onnipotenza di Dio nel suo discendere, nel suo annientarsi, nel suo Amore che morendo, risorge. Il Vangelo ci conduce fin sotto la croce perché con gli occhi fissi su di lui prendiamo in piena libertà la nostra decisione. Abbiamo il coraggio di credere in un Dio che manifesta la sua onnipotenza nell'annientarsi per poter comunicarci tutto il suo Amore?
Avviandosi alla conclusione, il cap.21 di Matteo sottolinea in modo sempre più forte questa "differenza cristiana": l'evento concreto di Gesù di Nazareth rivela la presenza del mistero di Dio, nel suo farsi partecipe della fragilità umana per condividerla, salvarla amandola.
L'inizio del cap.21 (vv.1-11), l'ingresso a Gerusalemme è letto nella Liturgia della domenica delle palme: Gesù si avvia decisamente verso l'esito finale della sua esistenza umana, la Croce e la Risurrezione, l'umiltà e la Gloria.
I versetti successivi (12-27) sono omessi dalla lettura liturgica: la purificazione del Tempio, la maledizione del fico. Si tratta ancora di passi importanti nel cammino della rivelazione del mistero della persona di Gesù, talmente sconcertante per i capi dei sacerdoti e gli anziani del popolo, che non possono trattenersi dal porgli la domanda: "Con quale autorità tu compi queste cose? E chi ti ha dato questa autorità?".
La frase che precede immediatamente il brano che la Liturgia della domenica XXVI del tempo ordinario ci offre (Matt.21,28-32): "Neanch'io vi dico con quale autorità faccio queste cose", se da una parte sembra chiudere la discussione con le autorità civili e religiose che lo contestano, dall'altra sottolinea ancora una volta la inafferrabilità del suo mistero al quale è possibile accostarsi attraverso l'affidamento della fede. Questo piccolo brano che, al di là di ciò che potrebbe apparire immediatamente, non è di facile lettura, è finalizzato proprio a questo: fissare l'attenzione sulla fede come chiave interpretativa della persona di Gesù, il figlio unico, che ascolta e fa la volontà imprevedibile, sconvolgente, del Padre. Proprio nel cuore di questa parabola dei due figli sta la domanda, rivolta a noi oggi: "Chi dei due ha compiuto la volontà del Padre?", alla quale solo apparentemente è facile dare una risposta. "Fare la volontà del Padre" comporta, in realtà, anzitutto entrare in relazione filiale con il Padre, ascoltare la sua parola, aderire alla sua volontà lasciando che diventi operativa nel figlio: non è tanto il "fare" per se stesso, ma lasciarsi fare dal Padre. Ed è questo a cui Gesù vuole condurci con la sua parabola.
"Che ve ne pare?": Gesù chiede ai suoi ascoltatori l'attenzione perché comprendano l'importanza della decisione che la sua parola comporta.
"Un uomo aveva due figli. Rivolgendosi al figlio, disse: "Figlio, va', oggi, a lavorare nella vigna". Ma egli rispose: "Non voglio". Alla fine, cambiando pensiero dentro di sé, andò. Rivolgendosi al secondo, disse la stessa cosa. Ed egli rispose: "Sì, signore" e non andò. Chi dei due ha compiuto la volontà del Padre? Risposero: "Il primo". La risposta immediata che viene data alla domanda di Gesù (e che noi pure avremmo data) suscita in lui una presa di posizione fortissima, di distacco polemico dalla posizione di coloro che lo ascoltano, che deriva dalla sua personale esperienza e che rivela la novità della relazione con Dio che egli inaugura.
All'inizio, Gesù ha chiesto attenzione: non è possibile rispondere di istinto alla sua domanda. Egli ha parlato di relazione tra padre e figli, ciascuno è interpellato personalmente. Al primo "figlio" ha chiesto: "oggi vai nella vigna". E lui ha risposto: "Non voglio". Alla fine, cambiando pensiero, è andato. Certo, è buona cosa che alla fine sia andato, ma è andato quando e perché lui ha voluto: solo materialmente ha fatto la "volontà del Padre", in realtà ha fatto la propria volontà. E il secondo figlio, al padre che lo accosta, risponde: "Sì, signore". La relazione con il padre è formale e di conseguenza non diventa operativa. "Chi dei due ha fatto la volontà del Padre?" Il Vangelo di Matteo è certamente sensibile alla concretezza del fare: ma è pure attento alla novità del fare "la volontà del Padre". Gesù, che sta avviandosi alla Croce, che sta educando i suoi discepoli a "pensare secondo Dio", intende metterli in guardia dal rischio di essere solamente "formali" ascoltatori della Parola del Padre oppure operatori di progetti loro, con le modalità e i tempi scelti solamente da loro. Gesù ai suoi discepoli propone la propria esperienza: egli vive l'esperienza filiale, vive del Padre, della sua Parola, sino ad essere l'incarnazione della Parola. Gesù è l' "oggi" della Parola di Dio, sconvolgente, che rompe gli schemi umani, che opera secondo schemi che per la sapienza umana sono folli.
Per questo, la parola di Gesù diventa fortissima, polemica, sconvolgente: "In verità vi dico: i pubblicani e le prostitute vi passano avanti nel regno di Dio". Coloro che sono ritenuti lontani, peccatori, per una valutazione secondo la logica umana, sono i primi nel regno di Dio, perché ascoltano la sua parola di Padre che si rivolge a loro come a Figli e dice a loro tutto il suo amore. Davvero sconvolgente è questa rivelazione di Gesù: chi crede nell'amore del Padre, anche nella profondità della debolezza e della fragilità umana, comincia ad operare le opere di Dio.
Ai suoi ascoltatori, alla sua comunità (a noi oggi) Gesù rivolge un appassionato richiamo: "Giovanni ha parlato in nome di Dio.voi avete visto queste cose.: i pubblicani e le prostitute gli hanno creduto. voi non avete cambiato la vostra mentalità per credergli". A noi, affaccendati nel fare tante cose, nel programmare le nostre attività, Gesù rivolge la sua implorazione, perché seguendo lui ascoltiamo la voce del Padre, e nella nostra fragilità lasciamo che attraverso la nostra vita passi il suo Amore che è l'unica cosa che conta.
Chi ha compiuto la Volontà del Padre?
"Siate costanti e perseveranti"
Oggi la Chiesa Cattolica celebra San Pio da Pietrelcina, santo protettore della nostra Piccola Vigna del Signore: per questo vogliamo ricordarlo attraverso brevi spunti di testimonianze di coloro che hanno incontrato il santo da Pietrelcina, rimanendo sbigottiti dinanzi alla sua presenza. Egli, infatti, rappresenta davvero lo stereotipo della santità, simile in tutto a Cristo, soprattutto nel dolore e nella umiliazione. Da queste parole che stiamo per leggere scaturisce un messaggio fondamentale per tutti noi, un messaggio che riporta alla mente uno degli ultimi inviti rivolti da Gesù nel Getsemani, ai suoi discepoli, "Siate costanti e perseveranti":
Il 20 dicembre del 1962, per difetto della vista, Padre Pio ottiene finalmente di poter commutare l'orazione del breviario con la recita del santo rosario intero: i misteri gaudiosi, dolorosi e gloriosi. Anche l'amministrazione della santa Comunione ai fedeli non viene più curata direttamente da lui.
Nel 1963 muore Papa Giovanni XXIII e sale al Soglio Pontificio Giovanni Battista Montini che prende il nome di Paolo VI. Nel piano provvidenziale di Dio questo Pontefice, così devoto di Padre Pio, assume il compito di rendere meno pesanti e travagliati gli anni che separano il frate stigmatizzato dalla sua morte.
Infatti, appena eletto Papa, Montini ordina subito di lasciare in pace Padre Pio, garantendogli la piena libertà nel suo ministero confessionale. Gli stessi superiori sono dal Papa invitati a comportarsi con lui come "se non fosse tenuto al voto di obbedienza" (Cfr. Fernando da Riese Pio X, Padre Pio da Pietrelcina, Ed. omonime S.Giovanni Rotondo, pag 439). Può così, il Padre, continuare ad amministrare i beni e "disporre uomini e cose della Casa Sollievo della Sofferenza, relazionando ovviamente al Papa ogni anno. Del resto già dal 1961 la Santa Sede aveva costituito giuridicamente il complesso ospedaliero di S.Giovanni Rotondo tra le Opere di Religione, lasciando legittimo padrone Padre Pio "dispensato per questo dal voto di povertà".
Benché avesse già programmato di lasciare tutto al Papa, "nell'11 maggio 1964 Padre Pio stende un testamento olografo, in cui nomina la Santa Sede e, per essa il Sommo Pontefice pro-tempore, erede universale di tutti i beni mobili e immobili" (Cfr. Fernando da Riese Pio X, Padre Pio da Pietrelcina, Ed. omonime S.Giovanni Rotondo, pag. 439).
"Non ne posso più" confida a due confratelli il venerdì Santo del 1963. Ma la sua attività sacerdotale, il suo ministero confessionale lo assorbono totalmente.
Il 17 febbraio del 1965 Padre Pio ottiene la dispensa di poter celebrare la Santa Messa usando il latino. Dal novembre del 1966 comincia a celebrarla stando seduto su una sedia. Nello stesso periodo in cui si intensificano i controlli medici egli soffre particolarmente per un'asma bronchiale che gli impedisce, molte volte, di celebrare l'Eucaristia. "Fra due anni…..non ci sarò più, perché sarò morto", così confida profeticamente alla nipote Pia Forgione Pennelli: "(Cfr. Fernando da Riese Pio X, Padre Pio da Pietrelcina, Ed. omonime S.Giovanni Rotondo, pag. 439)
Le crisi di asma bronchiale gli provocano senso di oppressione toracica, tachicardia, sudorazione fredda, insufficienza respiratoria. A questo bisogna aggiungere i dolori artritici alle ginocchia e alla colonna vertebrale. Dal 29 marzo 1968 il Padre comincia a spostarsi su una sedia a rotelle, perché "muoveva con grande difficoltà le gambe, tanto da non sentirsele". IL 7 luglio subisce un collasso che non gli permette, delle volte, di celebrare la Santa Messa.
Una sera in convento i frati sentono una scossa, un grande tonfo seguito da un grido di aiuto. Accorrono tutti nella cella di Padre Pio e lo trovano disteso, col volto sul guanciale insanguinato. Chiamano il dottore che provvede subito a medicarlo ponendogli alcuni punti di sutura sul viso. Nel racconto di Cleonice Morcaldi la spiegazione, forse, dell'accaduto: "Chi sarà stato? Il solito nemico? Il Padre non disse nulla. Si pensò che, essendo solo, aveva voluto levarsi dal letto per mettersi sulla sedia ove pregava tutte le notti; non avendo forza, era caduto. Chi gli avrà messo il cuscino sotto il viso? Io penso la Madonna, che sta sempre in cella con lui.
Il giorno dopo aveva il volto coperto di macchine nere e blu e l'occhio mezzo chiuso….E scese a celebrare…..E così avemmo un'idea del volto di Gesù flagellato e mostrato al popolo da Pilato.
Quando mi confessai domandai: "Padre, è stato il maligno a farti cadere?". Mi rispose: "Lo Spirito Santo certo no!" (Cleonice Morcaldi, La mia vita vicino a Padre Pio, Ed. Dehoniane Roma, pag. 136-137).
I padri cappuccini di S.Giovanni Rotondo si preparano al momento del doloroso distacco del loro confratello. Fervono intanto i lavori per il completamento della cripta destinata ad accogliere il suo corpo. Passando un giorno per la gradinata che porta giù, nella cappella sotterranea, Padre Pio domanda agli astanti: "Ma che fanno laggiù?". Una signora risponde, allora, con franchezza:"Padre, stanno preparando il vostro sepolcro per quando Dio vi chiamerà". E il Padre: "E non è meglio che mi seppelliscano al cimitero, almeno chi passa dirà un requiem?".
Nel diario di Cleonice Morcaldi, la figlia spirituale prediletta di Padre Pio, le riflessioni che accompagnano l'ultima estate del frate stigmatizzato: "E passavano i giorni, le sofferenze e l'impotenza aumentavano nella vittima sempre più amabile e paziente, che amava star sola in quell'angolo in cui non vedeva né cielo, né terra, con l'arma sempre in mano. Ai confratelli continuava a ripetere: <<Io muoio! Io muoio! Mi sto preparando al grande passo>>. A noi l'unica frase che ripeteva era questa: <<Siate costanti e perseveranti, il premio si dà a chi termina, non a chi comincia e si arresta>>.
Quando la mia compagna, un giorno, gli disse: <<Padre, sempre questa frase ci dite, aggiungetene qualche altra!>> le rispose: <<Lo vuoi capire che oggi ci vuole la costanza e la perseveranza per salvarsi?>>" (Cleonice Morcaldi, La mia vita vicino a Padre Pio, diario intimo spirituale, Ed. Dehoniane Roma, pag. 140 ss.).
Non c'è da meravigliarsi se il frate invita spesso le sue figlie spirituali a perseverare nella preghiera e nel bene. Egli le vuole preparare al grande distacco, lasciando loro l'invito più logico per la vita cristiana: quello di pregare e perseverare.
Un giorno Cleonice chiede al Padre come si sente. Anche qui la risposta non lascia adito alla speranza: "Male, male, male" risponde Padre Pio. Poi, all'invito successivo di Cleonice che gli chiede cosa gli fa male, egli risponde: "Tutto, tutto, tutto".
Il frate incaricato di assistere Padre Pio confida un giorno alla Morcaldi: "Padre Pio è come un neonato nelle nostre mani: è sceso giù giù nelle impotenze più umilianti, è come il Cristo staccato dalla croce".(Cleonice Morcaldi, La mia vita vicino a Padre Pio, diario intimo spirituale, Ed. Dehoniane Roma, pag. 141).
"Un giorno, dopo la confessione degli uomini, ci avvicinammo per baciargli la mano. Ma quale fu il mio spavento - confida Cleonice - nel vedere gli occhi del Padre molto arrossati, con un po' di sangue attorno alla pupilla.
-Cosa avete agli occhi Padre?
-Nulla, nulla, questa notte non ho potuto chiudere occhio, neppure a schiacciarlo con il dito; ora mentre confessavo mi è venuto un sonno così pesante che per mandarlo via ho dovuto strofinare forte gli occhi, perciò li vedi rossi. Niente di male.
- Povero Padre! - replica Cleonice - siete pure contraddetto dal sonno: viene quando lavorate e fugge quando lo cercate.
- E beh! Ci vuol pazienza! Offriamo tutto a Gesù>>" (Cleonice Morcaldi, La mia vita vicino a Padre Pio, diario intimo spirituale, Ed. Dehoniane Roma, pag. 143.).
Un giorno il primario del reparto ortopedico della Casa Sollievo, dopo aver baciato la mano al Padre, confida alle figlie spirituali: "Io non so come fa a vivere ancora, quel povero Giobbe, in quella verandina tutta chiusa, sempre solo con la corona in mano. Non ha una pianta, un qualche oggetto su cui posare lo sguardo. Mi fa compassione!>>. (Cleonice Morcaldi, La mia vita vicino a Padre Pio, diario intimo spirituale, Ed. Dehoniane Roma, pag. 146).
E' in seguito a questo fatto che Cleonice decide di comprare un grande quadro di S. Giuseppe col Bambino, chiedendo che venisse posto proprio sulla veranda. Infatti San Giuseppe è il santo preferito da Padre Pio.
FONTE
Quanto il cielo sovrasta la terra
Concludiamo la giornata liturgica attraverso l'ormai consueto appuntamento di meditazione con le riflessioni di noti sacerdoti e movimenti religiosi. Oggi riflettiamo attraverso le parole di mons. Roberto Brunelli:
Lo sappiamo, lo vediamo di continuo, quanto i pensieri degli uomini - e i comportamenti che ne conseguono - siano distanti, e soprattutto diversi, da quelli di Dio. E' sempre stato così; lo rilevava già secoli prima di Cristo anche il profeta Isaia il quale, esprimendosi a nome di Dio, lasciò scritto: "I miei pensieri non sono i vostri pensieri, le vostre vie non sono le mie vie. Quanto il cielo sovrasta la terra, tanto le mie vie sovrastano le vostre vie, i miei pensieri sovrastano i vostri pensieri" (prima lettura, Isaia 55,6-9).
Naturalmente il profeta non si limita a un rilievo di situazione, come farebbe un sociologo o un esperto di statistica: egli considera la realtà per valutarla col metro di Dio e invitare gli uomini a cambiare. Prima delle espressioni riportate, nel suo libro si leggono queste: "L'empio abbandoni la sua via e l'uomo iniquo i suoi pensieri; ritorni al Signore che avrà misericordia di lui, ritorni al nostro Dio che largamente perdona". E l'invito non si riferisce soltanto ai comportamenti delittuosi, alla specifica violazione dei comandamenti: come si comprende meglio dal vangelo, si tratta di fare nostro in tutto l'atteggiamento di Dio, guardare a noi stessi e agli altri con l'occhio - o per meglio dire con il cuore - di Dio, come si è apertamente manifestato nelle parole e nell'esempio del suo Figlio.
In proposito risulta illuminante anche la pagina del vangelo che si legge oggi (Matteo 20,1-16), costituita dalla parabola dei vendemmiatori. L'uva è matura, e il padrone, secondo gli usi di allora, all'alba va nella piazza del paese dove stazionano i disoccupati in cerca di un ingaggio e assume per la giornata quelli che trova, concordando con loro il salario di un denaro. Ma non bastano: esce allora più volte ad assumere quelli radunatisi in seguito, garantendo loro un giusto compenso. Esce alle nove del mattino, a mezzogiorno, alle tre, alle cinque. Alle sei comincia a imbrunire, la giornata lavorativa è conclusa, e su disposizioni del padrone il fattore congeda tutti con la paga, in ordine inverso rispetto all'assunzione. Agli ultimi dà un denaro, e altrettanto agli altri compresi i primi, i quali però mugugnano contro il padrone: "Ma come! Questi ultimi hanno lavorato un'ora soltanto, e li tratti come noi che abbiamo sopportato il peso dell'intera giornata!" "Amico, io non ti faccio torto" risponde il padrone a uno di loro; "non hai forse concordato con me per un denaro? E non l'hai forse ricevuto? Se voglio dare agli ultimi quanto a te, non posso fare delle mie cose quello che voglio?"
Il significato della parabola è complesso. Tra l'altro, considerando quel padrone come simbolo di Dio, la vigna come il suo Regno e la giornata come l'arco della vita, la parabola dice che Dio invita tutti all'amicizia con sé, fanciulli, giovani, adulti, anziani; e il compenso è uguale per tutti, perché consiste nella vita eterna: che è una, non divisibile né moltiplicabile. Da un altro punto di vista, la vigna della parabola è la Chiesa, in cui tutti sono chiamati a impegnarsi: si ricorderà la bella espressione di Benedetto XVI il quale, parlando appena eletto dalla loggia di San Pietro, definì se stesso un umile operaio nella vigna del Signore. E ancora: la Diocesi di Mantova ha appena concluso la sua settimana pastorale, che quest'anno mirava proprio ad aiutare i laici a comprendere la possibilità, la necessità e la bellezza di lavorare nella e per la Chiesa.
Tenendo presente la pagina di Isaia, la parabola assume poi un ulteriore significato. Guardare gli altri con il cuore di Dio, si diceva: i vendemmiatori della prima ora non sono così; pur essendo trattati secondo giustizia, vogliono di più. Sono invidiosi, mancano di solidarietà verso i compagni (avrebbero preferito vedergli ridurre la paga?), sono meschini. Dio non è così. Lui non fa il ragioniere. Lui "guarda col cuore".
O Madre Addolorata...
Dopo l'Esaltazione della Santa Croce, oggi la Chiesa Cattolica si volge alla Vergine Maria, Madonna Addolorata. Meditiamo i dolori di Maria e preghiamo attraverso le parole di San Bonaventura:
O Vergine addolorata, quale lingua può dire e quale intelletto giunge a comprendere l'immensità del tuo dolore?
Tu presente e partecipante alla passione del tuo Gesù, vedesti con i tuoi occhi quella carne benedetta e santissima, che tu verginalmente concepisti, che teneramente allattasti, che tanto dolcemente reclinasti nel tuo grembo e baciasti con amore, la vedesti, divelta dai colpi della flagellazione, perforata dalle punte delle spine, percossa con la canna, presa a schiaffi e a pugni.
La vedesti trapassata da chiodi, confitta sulla croce e quindi pendente sempre più dilaniata. La vedesti esposta ad ogni beffa e, infine, abbeverata di fiele e aceto.
E vedesti anche l'anima del tuo Gesù! Con gli occhi della mente tu vedesti quella anima divinissima ricolma del fiele di ogni amarezza, ora scossa da spirituali fremiti, ora afflitta dallo spavento, ora agonizzante, ora conturbata, ora mestissima per la tristezza, in parte il senso vivissimo della sofferenza corporea, in parte per lo zelo fervente di riparare l'onore diviso leso dal peccato, in parte per la compassione verso di te, Madre dolcissima.
Guardando pietosamente a te, che stavi presso la croce, egli ti rivolse il dolce commiato: «Donna, ecco tuo figlio».
E così consolava l'anima tua angustiata, conoscendo che tu eri trafitta dalla spada della compassione, più fortemente che se fossi stata ferita nel tuo proprio corpo.
O Maria, madre misericordiosissima, volgi lo sguardo alla veste sacratissima del tuo diletto Figlio, intessuta con arte dallo Spirito Santo nelle tue sacratissime membra, e implora per noi che ricorriamo a te il perdono, affinché siamo trovati degni di sfuggire l'eterna condanna.
Esaltazione della Santa Croce - Omelia Giovanni Paolo II - 14 Settembre 1984
Oggi la Chiesa Cattolica festeggia l'Esaltazione della Santa Croce e per questi motivi riflettiamo attraverso l'omelia pronunciata dal Beato Giovanni Paolo II in questo stesso giorno del 1984:
perché con la tua croce hai redento il mondo. Alleluia.
Cari fratelli e sorelle.
1. Come rappresentanti del popolo di Dio nell’arcidiocesi di Halifax, di Cap Breton, di tutta la Nuova Scozia e dell’Isola Principe Edward, siete riuniti in questa acclamazione della liturgia con l’arcivescovo Hayes, con gli altri vescovi e con la Chiesa in tutto il mondo. La Chiesa cattolica celebra oggi la festa dell’Esaltazione della croce di Cristo. Come il Cristo crocifisso è innalzato dalla fede nei cuori di tutti coloro che credono, così egli innalza quegli stessi cuori con una speranza che non può essere distrutta. Poiché la croce è il segno della redenzione, e nella redenzione è contenuta la promessa della risurrezione e l’inizio della nuova vita: l’elevazione dei cuori umani.
All’inizio del mio ufficio nella sede di san Pietro ho cercato di proclamare questa verità con l’enciclica Redemptor Hominis. In questa stessa verità desidero oggi essere unito a tutti voi nell’adorazione della croce di Cristo:
“Non dimenticate le opere di Dio” (cf. Sal 78, 7).
2. Per conformarci all’acclamazione dell’odierna liturgia, seguiamo attentamente il sentiero tracciato da queste sante parole nelle quali ci viene annunciato il mistero dell’Esaltazione della croce.
In primo luogo, in queste parole è contenuto il significato del Vecchio Testamento. Secondo sant’Agostino, il Vecchio Testamento contiene ciò che è pienamente rivelato nel nuovo. Qui abbiamo l’immagine del serpente di bronzo al quale si riferì Gesù nella sua conversazione con Nicodemo. Il Signore stesso ha rivelato il significato di quest’immagine dicendo: “E come Mosè innalzò il serpente nel deserto, così bisogna che sia innalzato il figlio dell’uomo perché chiunque crede in lui abbia la vita eterna” (Gv 3, 14-15).
Durante il cammino del popolo di Israele dall’Egitto alla Terra Promessa - poiché la gente si lamentava - Dio mandò un’invasione di serpenti velenosi a causa della quale molti perirono. Quando i sopravvissuti compresero la loro colpa chiesero a Mosè di intercedere presso Dio: “Prega il Signore che allontani da noi questi serpenti” (Nm 21, 7).
Mosè pregò e ricevette dal Signore quest’ordine: “Fatti un serpente e mettilo sopra un’asta. Chiunque dopo essere stato morso lo guarderà, resterà in vita” (Nm 21, 8). Mosè obbedì all’ordine. Il serpente di bronzo posto sull’asta rappresentò la salvezza dalla morte per tutti coloro che venivano morsi dai serpenti.
Nel libro della Genesi il serpente era il simbolo dello spirito del male. Ma adesso, per una sorprendente inversione, il serpente di bronzo issato nel deserto diventa una raffigurazione del Cristo, issato sulla croce.
La festa dell’Esaltazione della croce richiama alle nostre menti e, in un certo senso, rende attuale, l’elevazione di Cristo sulla croce. La festa è l’elevazione del Cristo redentore: chiunque crede nel Cristo crocifisso avrà la vita eterna.
L’elevazione di Cristo sulla croce costituisce l’inizio dell’elevazione dell’umanità attraverso la croce. E il compimento ultimo dell’elevazione è la vita eterna.
3. Questo evento del Vecchio Testamento è richiamato nel tema centrale del Vangelo di san Giovanni.
Perché la croce e il Cristo crocifisso sono la porta alla vita eterna?
Perché in lui - nel Cristo crocifisso - è manifestato nella sua pienezza l’amore di Dio per il mondo, per l’uomo.
Nella stessa conversazione con Nicodemo Cristo dice: “Dio infatti ha tanto amato il mondo da dare il suo Figlio unigenito perché chiunque crede in lui non muoia ma abbia la vita eterna. Dio non ha mandato il Figlio nel mondo per giudicare il mondo ma perché il mondo si salvi per mezzo di lui (Gv 3, 16-17).
La salvezza del Figlio di Dio attraverso l’elevazione sulla croce ha la sua sorgente eterna nell’amore. È l’amore del Padre che manda il Figlio; egli offre suo Figlio per la salvezza del mondo. Nello stesso tempo è l’amore del Figlio il quale non “giudica” il mondo, ma sacrifica se stesso per l’amore verso il Padre e per la salvezza del mondo. Dando se stesso al Padre per mezzo del sacrificio della croce egli offre al contempo se stesso al mondo: ad ogni singola persona e all’umanità intera.
La croce contiene in sé il mistero della salvezza, perché nella croce l’amore viene innalzato. Questo significa l’elevazione dell’amore al punto supremo nella storia del mondo: nella croce l’amore è sublimato e la croce è allo stesso tempo sublimata attraverso l’amore. E dall’altezza della croce l’amore discende a noi. Sì: “La croce è il più profondo chinarsi della divinità sull’uomo. La croce è come un tocco dell’eterno amore sulle ferite più dolorose dell’esistenza terrena dell’uomo” (Ioannis Pauli PP. II, Dives in Misericordia, 8).
4. All’avvento del Vangelo di Giovanni la liturgia della festa di oggi aggiunge la presentazione fatta da Paolo nella sua lettera ai Filippesi. L’apostolo parla di uno svuotamento di Cristo attraverso la croce; e allo stesso tempo dell’elevazione di Cristo al di sopra di tutte le cose; e anche questo ha avuto il suo inizio nella stessa croce:
“Gesù Cristo . . . spogliò se stesso assumendo la condizione di servo e divenendo simile agli uomini, e apparso in forma umana, umiliò se stesso ancora di più facendosi obbediente fino alla morte, e alla morte di croce. Per questo Dio lo ha esaltato e gli ha dato un nome che è al di sopra di ogni altro nome, perché nel nome di Gesù ogni ginocchio si pieghi, nei cieli, sulla terra e sotto terra e ogni lingua proclami che Gesù Cristo è il Signore, a gloria di Dio Padre” (Fil 2, 6-11).
La croce è il segno della più profonda umiliazione di Cristo. Agli occhi del popolo di quel tempo costituiva il segno di una morte infamante. Solo gli schiavi potevano essere puniti con una morte simile, non gli uomini liberi. Cristo, invece, accetta volentieri questa morte, la morte sulla croce. Eppure questa morte diviene il principio della risurrezione. Nella risurrezione il servo crocifisso di Jahvè viene innalzato: egli viene innalzato su tutto il creato.
Nello stesso tempo anche la croce è innalzata. Essa cessa di essere il segno di una morte infamante e diventa il segno della risurrezione, cioè della vita. Attraverso il segno della croce, non è il servo o lo schiavo che parla, ma il Signore di tutta la creazione.
5. Questi tre elementi dell’odierna liturgia, il Vecchio Testamento, l’inno cristologico di Paolo e il Vangelo di Giovanni, formano assieme la grande ricchezza del mistero del trionfo della croce.
Trovandoci immersi in questo mistero con la Chiesa, che attraverso il mondo celebra oggi l’Esaltazione della santa croce, desidero dividere con voi, in una maniera speciale, le sue ricchezze, cari fratelli e sorelle dell’arcidiocesi di Halifax, caro popolo della Nuova Scozia, dell’Isola Edward e di tutto il Canada.
Sì, desidero dividere con voi tutte le ricchezze di quella croce santa - che, quale stendardo di salvezza - fu piantata sul vostro suolo 450 anni fa. Da allora la croce ha trionfato in questa terra e, attraverso la collaborazione di migliaia di canadesi, il messaggio di liberazione e di salvezza della croce, è stato diffuso ai confini della terra.
6. Nello stesso tempo desidero rendere omaggio al contributo missionario dei figli e delle figlie del Canada che hanno dato la loro vita così “perché la parola del Signore si diffonda, e sia glorificata come lo è anche tra voi” (2 Ts 3,1). Rendo omaggio alla fede e all’amore che li ha motivati, e al potere della croce che ha dato loro la forza di andare avanti ed eseguire il comando di Cristo: “Andate dunque e ammaestrate tutte le nazioni, battezzandole nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo” (Mt 28, 20).
E nel rendere omaggio ai vostri missionari, rendo parimenti omaggio alle comunità sparse per il mondo che hanno accolto il loro messaggio e segnato le loro tombe con la croce di Cristo. La Chiesa è grata per l’ospitalità loro concessa di un luogo di sepoltura, da dove essi attendono la definitiva esaltazione della croce santa nella gloria della risurrezione e della vita eterna.
Esprimo profonda gratitudine per lo zelo che ha caratterizzato la Chiesa in Canada e vi ringrazio per le preghiere, i contributi e le varie attività attraverso le quali voi sorreggete la causa missionaria. In particolare vi ringrazio per la vostra generosità verso la missione di aiuto delle società da parte della Santa Sede.
7. L’evangelizzazione resta per sempre il sacro retaggio del Canada, che vanta realmente una storia gloriosa dell’attività missionaria in patria e all’estero. L’evangelizzazione deve continuare ad essere esercitata attraverso l’impegno personale, predicando la speranza nelle promesse di Gesù e con la proclamazione dell’amore fraterno. Sarà sempre connessa con l’impianto e l’edificazione della Chiesa e avrà una profonda relazione con lo sviluppo e la libertà come espressione del progresso umano. Al centro di questo messaggio, tuttavia, c’è un’esplicita proclamazione di salvezza in Gesù Cristo, quella salvezza determinata dalla croce. Ecco le parole di Paolo VI: “L’evangelizzazione conterrà sempre - anche come base, centro e insieme vertice del suo dinamismo - una chiara proclamazione che, in Gesù Cristo, il Figlio di Dio fatto uomo, morto e risorto, la salvezza è offerta ad ogni uomo, come dono di grazia e misericordia di Dio stesso” (Pauli VI, Evangelii Nuntiandi, 27).
La Chiesa in Canada sarà se stessa se proclamerà fra tutti i suoi membri, con parole e fatti, l’esaltazione della croce, e sempre che, in patria e all’estero, essa sia una Chiesa evangelizzante.
Anche se queste parole vengono da me, c’è un altro che parla ovunque ai cuori dei giovani. È lo stesso Spirito Santo, ed è lui che fa pressione su ciascuno di noi, come membro di Cristo, per indurci ad abbracciare e a portare la buona novella dell’amore di Dio. Ma ad alcuni lo Spirito Santo sta proponendo il comando di Gesù nella sua forma specifica missionaria: andate a reclutare discepoli di tutte le nazioni. Dinanzi alla Chiesa intera, io, Giovanni Paolo II, proclamo ancora una volta l’assoluto valore della vocazione missionaria. E assicuro tutti i chiamati alla vita ecclesiastica e religiosa che nostro Signore Gesù Cristo è pronto ad accettare e rendere fruttuoso il sacrificio speciale delle loro vite, nel celibato, per l’esaltazione della croce.
8. Oggi la Chiesa, annunciando il Vangelo, rivive in un certo qual modo tutto il periodo che ha inizio il mercoledì delle Ceneri, raggiunge il suo apice durante la Settimana Santa e a Pasqua e prosegue nelle settimane successive fino alla Pentecoste. La festa dell’Esaltazione della santa croce è come il compendio di tutto il mistero pasquale di nostro Signore Gesù Cristo.
La croce è gloriosa perché su di essa il Cristo si è innalzato. Attraverso di essa, il Cristo ha innalzato l’uomo. Sulla croce ogni uomo è veramente elevato alla sua piena dignità, alla dignità del suo fine ultimo in Dio.
Attraverso la croce, inoltre, è rivelata la potenza dell’amore che eleva l’uomo, che lo esalta.
Veramente tutto il disegno di Dio sulla vita cristiana è condensato qui in un modo meraviglioso: il disegno di Dio e il suo senso! Diamo la nostra adesione al disegno di Dio e al suo senso! Ritroviamo il posto della croce nella nostra vita e nella nostra società.
Parliamo della croce in modo particolare a tutti coloro che soffrono, e trasmettiamo il suo messaggio di speranza ai giovani. Continuiamo a proclamare fino ai confini della terra il suo potere salvifico: “Exaltatio Crucis!”: la gloria della santa croce!
Fratelli e sorelle: “Non dimenticate mai le opere del Signore”! Amen.
© Copyright 1984 - Libreria Editrice Vaticana
La preghiera è luce per l'anima
di San Giovanni Crisostomo
"La preghiera, o dialogo con Dio, è un bene sommo. È, infatti, una comunione intima con Dio. Come gli occhi del corpo vedendo la luce ne sono rischiarati, così anche l'anima che è tesa verso Dio viene illuminata dalla luce ineffabile della preghiera. Deve essere, però, una preghiera non fatta per abitudine, ma che proceda dal cuore. Non deve essere circoscritta a determinati tempi od ore, ma fiorire continuamente, notte e giorno.
Non bisogna infatti innalzare il nostro animo a Dio solamente quando attendiamo con tutto lo spirito alla preghiera. Occorre che, anche quando siamo occupati in altre faccende, sia nella cura verso i poveri, sia nelle altre attività, impreziosite magari dalla generosità verso il prossimo, abbiamo il desiderio e il ricordo di Dio, perché, insaporito dall'amore divino, come da sale, tutto diventi cibo gustosissimo al Signore dell'universo. Possiamo godere continuamente di questo vantaggio, anzi per tutta la vita, se a questo tipo di preghiera dedichiamo il più possibile del nostro tempo.
La preghiera è luce dell'anima, vera conoscenza di Dio, mediatrice tra Dio e l'uomo. L'anima, elevata per mezzo suo in alto fino al cielo, abbraccia il Signore con amplessi ineffabili. Come il bambino, che piangendo grida alla madre, l'anima cerca ardentemente il latte divino, brama che i propri desideri vengano esauditi e riceve doni superiori ad ogni essere visibile.
La preghiera funge da augusta messaggera dinanzi a Dio, e nel medesimo tempo rende felice l'anima perché appaga le sue aspirazioni. Parlo, però, della preghiera autentica e non delle sole parole.
Essa è un desiderare Dio, un amore ineffabile che non proviene dagli uomini, ma è prodotto dalla grazia divina. Di essa l'Apostolo dice: Non sappiamo pregare come si conviene, ma lo Spirito stesso intercede per noi con gemiti inesprimibili (cfr. Rm 8, 26b). Se il Signore dà a qualcuno tale modo di pregare, è una ricchezza da valorizzare, è un cibo celeste che sazia l'anima; chi l'ha gustato si accende di desiderio celeste per il Signore, come di un fuoco ardentissimo che infiamma la sua anima.
Abbellisci la tua casa di modestia e umiltà mediante la pratica della preghiera. Rendi splendida la tua abitazione con la luce della giustizia; orna le sue pareti con le opere buone come di una patina di oro puro e al posto dei muri e delle pietre preziose colloca la fede e la soprannaturale magnanimità, ponendo sopra ogni cosa, in alto sul fastigio, la preghiera a decoro di tutto il complesso. Così prepari per il Signore una degna dimora, così lo accogli in splendida reggia. Egli ti concederà di trasformare la tua anima in tempio della sua presenza."
Dalle « Omelie » di san Giovanni Crisostomo, vescovo (Om. 6 sulla preghiera; PG 64, 462-466)
Orazione
Accompagna con la tua benevolenza, Padre misericordioso, i primi passi del nostro cammino penitenziale, perché all'osservanza esteriore corrisponda un profondo rinnovamento dello spirito.
A cura dell'Istituto di Spiritualità:
Pontificia Università S. Tommaso d'Aquino
Costruttori di riconciliazione
Concludiamo la giornata liturgica attraverso l'ormai consueto appuntamento di meditazione con le riflessioni di noti sacerdoti e movimenti religiosi. Oggi riflettiamo attraverso le parole di mons. Antonio Riboldi:
Ricordo una scena di quando ero parroco in Sicilia. Nella quotidiana guerra che la mafia combatteva, cercando di imporsi e vendicarsi, gruppo contro gruppo, in una spirale che tendeva a crescere e mai a diminuire, un giorno, venne ferito gravemente uno di loro.
Andai a visitarlo in ospedale. Intuendo che per lui era vicino l'incontro con Dio, lo esortavo a prepararsi degnamente, incominciando dal pentimento e dal perdono a chi lo aveva colpito.
La risposta fu secca: 'Se la mia sorte sarà la morte, lo perdonerò; se invece sopravviverò, lo ucciderò'. Una risposta agghiacciante, che nulla ha a che vedere con la legge del perdono e dell'amore, donata dal Vangelo e che riflette la fedeltà di Dio al Suo Amore per l'uomo: una fedeltà pagata con il duro prezzo della morte di Suo Figlio sulla croce. In altre parole, di fronte alle nostre tante offese, che sono sempre immense, perché rivolte, senza alcuna ragione, ad Uno che non ha confini nell'amore, Dio risponde sempre con la sua fedeltà, pronto sempre al perdono. È la follia del Cuore di Dio, un Dio talmente innamorato della sua creatura, che fa della riconciliazione la gemma più preziosa... sempre che noi riconosciamo le nostre colpe e siamo disposti a 'ritornare' a Lui, chiedendo perdono.
Noi viviamo quotidianamente tanto vicini gli uni gli altri, in famiglia, sul lavoro, ovunque, che è facile urtarsi, offendersi. Impossibile, finché viviamo su questa terra, pieni di debolezze, come siamo tutti, non inciampare, non urtarci, non andare incontro ad incomprensioni e offese, capaci di bruciare in un istante ogni rapporto di serenità tra di noi.
La vita è come un camminare su una strada piena di cocci; ci si ferisce continuamente reciprocamente. Si può tranquillamente affermare che vivere insieme è una continua battaglia, in cui a volte si è vincitori e a volte perdenti.
Dovessimo legarci al dito tutti i torti che riceviamo, avremmo in pochi giorni le mani impossibilitate a muoversi, perché sovraccariche di corde, tutti! Perché i torti si ricevono, ma si fanno anche agli altri! Non solo, ma, se ogni offesa che riceviamo dovesse essere ricambiata con un distacco da chi ci offende, estraniandolo dall'amore, presto rimarremmo soli, estremamente soli, noi che da Dio siamo stati creati con il desiderio e la ragione di amare ed essere amati... sarebbe l'autodistruzione totale dell'umanità: se chi ci offende fosse da considerarsi 'come morto' nel nostro cuore, la nostra vita - di ciascuno - diventerebbe un cimitero.
Ci avverte oggi il Siracide: "Il rancore e l'ira sono un abominio: il peccatore li possiede. Chi si vendica avrà la vendetta del Signore ed egli terrà sempre presenti i suoi peccati. Perdona l'offèsa del tuo prossimo e allora per la tua preghiera ti saranno rimessi i peccati.
Se qualcuno conserva la collera verso un altro uomo, come oserà chiedere la guarigione al Signore? Egli non ha misericordia per un uomo simile e osa pregare per i suoi peccati?
Egli, che è soltanto carne, conserva rancore: chi perdonerà i suoi peccati?
Ricordati della tua fine e smetti di odiare; ricordati della dissoluzione e della morte e resta fedele ai comandamenti". (Sir. 27,28)
Gesù sulla croce dovrebbe suggerire a tutti il valore della Misericordia. Non aveva certamente né detto, né commesso alcunché da farsi perdonare, quando era tra noi... anzi, in quei tre anni, altro non aveva fatto che del bene, come solo Lui sa fare... e aveva insistito, nonostante la nostra natura fragile, a imitarLo nella bontà.
Fino a quando assunse totalmente la nostra condizione, addossandosi tutti i peccati dell'umanità, - e chi mai potrà calcolarli? I miei, i vostri... - Non fu facile per Lui, il Santo dei Santi, la Bontà infinita, che si era espressa nel farsi uno di noi, Figlio dell'Uomo, andare incontro alla Passione.
Ricordiamo tutti la notte dell'agonia nel Getsemani. Sudò sangue e pregò il Padre: 'Se possibile, passi da me questo calice, ma, non la mia, ma la Tua volontà sia fatta '.
E poi si consegnò a chi era venuto, tradendolo, a catturarlo... e fu davvero un continuo dolore, un perdere tutto, fino alla beffa', all'essere schiaffeggiato dai soldati, al ricevere sputi - segno di massimo disprezzo - all'essere rivestito come un pagliaccio delle vesti di porpora,"facendosi gioco di Lui, incoronandolo di spine: 'Ecco il vostro re! '. Nessuna compassione nel caricarlo della croce, nessuna quando cadeva sotto il peso della croce. E alla fine lo hanno crocifisso sul Calvario, dove si punivano i delinquenti più gravi e pericolosi.
Davvero venne calpestata ogni briciola della sua dignità e senza alcuna ragione, perché Lui non aveva offeso nessuno, anzi, era venuto per pagare tutte le nostre offese a Dio e ai fratelli.
È davvero incredibile che ci sia Qualcuno, Dio, che voglia 'pagare' le nostre offese, anziché, come facciamo noi, rispondere ad offesa con offesa: è la grande lezione del perdono.
Un perdono che noi sperimentiamo nel sacramento della Riconciliazione. È lì, se abbiamo davvero un cuore contrito, che Lui è Padre che accoglie 'il figlio prodigo'.
Oggi Gesù ci insegna tutto questo nel Vangelo:
"Pietro si avvicinò a Gesù e gli disse: 'Signore, quante volte dovrò perdonare a mio fratello, se pecca contro di me? Fino a sette volte?'. E Gesù gli rispose: 'Fino a settanta volte sette!. A proposito il regno dei cieli è simile ad un re che volle fare i conti con i suoi servi. Incominciati i conti, gli fu presentato uno che gli era debitore di diecimila talenti. Non avendo però costui il denaro da restituire, il padrone ordinò che fossero venduti lui con la moglie, con i figli e con quanto possedeva e saldasse così il suo debito. Allora quel servo, gettatosi a terra, lo supplicava: Signore, abbi pazienza con me e ti restituirò ogni cosa.
Impietositosi del servo, il padrone lo lasciò andare e gli condonò il debito.
Appena uscito, quel servo trovò un altro servo come lui, che gli doveva cento denari e afferratolo lo soffocava e diceva: Paga quel che devi! Il suo compagno, gettatosi a terra, lo supplicava dicendo:
Abbi pazienza con me e ti rifonderò il debito. Ma egli non volle esaudirlo, andò e lo fece gettare in carcere, fino a che non avesse pagato il debito. Visto quel che accadeva, gli altri servi furono addolorati e andarono a riferire al loro padrone ciò che era accaduto.
Allora il padrone fece chiamare quell'uomo e gli disse: Servo malvagio, io ti ho condonato tutto il debito, perché mi hai pregato. Non dovevi anche tu avere pietà del tuo compagno, come io ho avuto pietà di te? E sdegnato il padrone lo diede in mano agli aguzzini, finché non gli fosse restituito tutto il dovuto. Così anche il mio Padre celeste farà a ciascuno di voi, se non perdonerete di cuore al vostro fratello". (Mt. 18,21-35)
Una grande testimonianza del perdono ci fu data dal beato Giovanni Paolo II. Ricordiamo tutti l'attentato in piazza S. Pietro: se non morì fu un vero miracolo, come lui stesso affermò. Quando poté volle andare a visitare il suo attentatore, Alì Agcia, in prigione, per confermargli il suo perdono. La storia, se da una parte racconta vendette atroci, dall'altra mostra in tanti la bellezza del perdono. Ed è a questa bellezza che dovremmo guardare quando ci sentiamo offesi, e pronti anche a non aver paura a chiedere perdono, quando ad offendere siamo stati noi.
Oggi prego Maria SS. ma: "E' facile pensarti, Madre dolorosa, confusa tra la gente che seguiva tuo Figlio sulla via del Calvario.
'Quel povero uomo', come era considerato dalle pie donne, che non riuscirono a trattenere la loro naturale tenerezza verso chi soffriva.
'Quel maledetto condannato' per coloro che lo consideravano solo un delinquente senza dignità. Nessuna pietà per il condannato: la vergogna, la morte doveva gustarle fino in fondo.
Purtroppo i prezzi della nostra cosiddetta giustizia vanno pagati fino in fondo.
La nostra giustizia, Maria SS. ma, qui sulla terra, a volte non conosce pietà né amore.
Ma Gesù ha cambiato questa logica perversa. Lui, maledetto dagli uomini, si lascia maledire senza opporre resistenza. Sulle Sue spalle sa di portare tutti i peccati del mondo e di quelli che lo maledicono. La Sua è una giustizia diversa: è fedeltà a noi, figli del Padre e che il Padre non rinuncia ad amare fino a caricare le nostre colpe sulle spalle del Suo Figlio, Amore come Lui.
E così Gesù, tuo Figlio, stringe la croce come fosse il cuore degli uomini, da non abbandonare mai, ma da salvare. 'Non sono venuto - dirà tuo Figlio e lo dice oggi a noi - a giudicare il mondo, ma a salvarlo 'E ancora: 'Non voglio la morte del peccatore, ma che si converta e viva" per questo: 'Padre, perdona loro perché non sanno quello che fanno '.
Non mi rimane, cara Madre, che mettermi in ginocchio e riconoscente dire Grazie al Padre, al Figlio, allo Spirito d'Amore e a Te, per tanto amore vissuto e condiviso."
Natività di Maria - Omelia di Paolo VI
Oggi carissimi nel giorno in cui la Chiesa Cattolica festeggia la Natività della Beata Vergine Maria, pubblichiamo un'omelia di Papa Paolo VI pronunciata in questo stesso giorno di quarantasette anni fa:
Dilette Figlie in Cristo!
È motivo per Noi di grande consolazione spirituale celebrare la festa della Natività di Maria Santissima con voi tutte buone e care Religiose!
Spesso celebrando le nostre sacre solennità Ci angustia il pensiero circa la comprensione, circa la partecipazione dei fedeli che assistono al rito, avendo ragione di dubitare se essi comprendano, se essi siano uniti alla preghiera della Chiesa, se essi godano pienamente il senso dei misteri ricordati, delle orazioni proferite, del valore spirituale e morale di quanto il culto dovrebbe presentare alle nostre anime. Questo pensiero, questo dubbio qui non sussiste! Noi siamo sicuri che voi tutte siete con Noi per dare pienezza di significato e di fervore a questa santa Messa in onore di Maria nascente; e ciò per tre evidenti ragioni, che insieme concorrono a rendere solenne e memorabile la presente cerimonia.
Prima ragione: essa ci. obbliga a ricordare l’apparizione della Madonna nel mondo come l’arrivo dell’aurora che precede la luce della salvezza, Cristo Gesù, come l’aprirsi sulla terra, tutta coperta dal fango del peccato, del più bel fiore che sia mai sbocciato nel devastato giardino dell’umanità, la nascita cioè della creatura umana più pura, più innocente, più perfetta, più degna della definizione che Dio stesso, creandolo, aveva dato dell’uomo: immagine di Dio, bellezza cioè suprema, profonda, così ideale nel suo essere e nella sua forma, e così reale nella sua vivente espressione da lasciarci intuire come tale primigenia creatura era destinata, da un lato, al colloquio, all’amore del suo Creatore in una ineffabile effusione della beatissima e beatificante Divinità e in un’abbandonata risposta di poesia e di gioia (com’è appunto il «Magnificat» della Madonna), e d’altro lato destinata al dominio regale della terra.
Ciò che doveva in Eva apparire e svanire miseramente, per un disegno d’infinita misericordia (potremmo quasi dire per un proposito di rivincita, come quello dell’artista che, vedendo infranta l’opera sua, vuole rifarla, e rifarla ancora più bella e più rispondente alla sua idea creatrice), Dio fece rivivere in Maria: «ut dignum Filii tui habitaculum effici mereretur, Spiritu Sancta cooperante. praeparasti», come dice l’orazione’ a voi tutte ben nota; ed oggi, giorno dedicato al culto di questo dono, di questo capolavoro di Dio, noi ricordiamo, noi ammiriamo, noi esultiamo: Maria è nata, Maria è nostra, Maria restituisce a noi la figura dell’umanità perfetta, nella sua immacolata concezione umana, stupendamente corrispondente alla misteriosa concezione della mente divina della creatura regina del mondo. E Maria, per nuovo e sommo gaudio, incantevole gaudio delle nostre anime, non ferma a Sé il nostro sguardo se non per spingerlo a guardare più avanti, al miracolo di luce e di santità e di vita, ch’Ella annuncia nascendo e recherà con Sé, Cristo Signore, il Figlio suo Figlio di Dio, dal quale Ella stessa tutto riceve. Questo è il celebre giuoco di grazia, che si chiama Incarnazione, e che oggi ci fa presagire in anticipo, in Maria, lampada portatrice del lume divino, porta per cui il Cielo muoverà i suoi passi verso la terra, madre che offrirà vita umana al Verbo di Dio, l’avvento della nostra salvezza.
Voi sapete, Figlie dilettissime, tutte queste cose; voi le meditate, voi le onorate, voi le imitate; Maria ve ne dà il quadro sublime, nel quale Ella trionfa in umiltà ed in gloria senza pari. Non è questa una ragione che Ci fa lieti di sapervi tutte intimamente associate a questa gioia della Chiesa, a questa glorificazione della Madonna?
Seconda ragione: voi celebrate con Noi questa festa, soave ed intima, come una giornata di famiglia, come un avvenimento domestico, che stringe i cuori in dolci e comuni sentimenti. È la festa della Madre comune e celeste; e Noi comprendiamo come la vostra devozione si accresca per il fatto che voi oggi la celebrate insieme con questo umile Padre comune e terrestre, col Papa. E codesta pia soddisfazione rende lieti anche Noi, che sentiamo la vostra devozione unirsi alla Nostra, la vostra preghiera alla Nostra, la vostra fiducia alla Nostra.
Ci pare, care e buone Religiose, che voi siate queste mattina il Nostro mazzo di fiori, col quale Ci presentiamo a Maria per esprimerle i Nostri auguri - oh, diciamo meglio: i nostri omaggi! - nel giorno del suo genetliaco. Viene alle Nostre labbra una specie di infantile discorso: Vedi, Maria, che cosa Ti offriamo, questi fiori; sono i più bei fiori della Santa Chiesa; sono le anime dell’unico amore, dell’amore al Tuo divino Figliuolo Gesù, sono le anime che hanno veramente creduto alle sue parole, e che hanno lasciato tutto per seguire Lui solo; lo ascoltano, lo imitano, lo servono, lo seguono, con Te, sì, fino alla Croce; e non si lamentano, non hanno paura. non piangono, anzi sono sempre liete, sono buone, Maria, sono sante queste figliuole della Chiesa di Cristo! Noi speriamo che la Madonna Santissima ascolti queste semplici parole, c che si senta onorata dell’offerta, che Noi oggi le facciamo di voi, Religiose. Diciamo di più: di tutte le Religiose della Santa Chiesa; e speriamo che le voglia guardare tutte, Lei la benedetta fra tutte, con quei suoi occhi misericordiosi (illos tuos misericordes oculos . . .); che le voglia rallegrare, le voglia proteggere e benedire; perché sono sue, e sono sue perché sono della Chiesa!
Pare a Noi che questo incontro metta in evidenza particolare cotesto aspetto della vostra vita religiosa. Perché oggi voi siete tanto contente di assistere alla santa Messa del Papa e di venerare con lui la Madonna santissima? e perché il Papa è lui stesso contento d’avervi con sé? Perché voi siete, dicevamo, della Chiesa; voi appartenete, e con vincoli di particolare adesione, al corpo mistico di Cristo, e nella comunità ecclesiastica voi avete un posto speciale: voi siete il gaudio della Chiesa, voi l’onore, voi la bellezza, voi la consolazione, voi l’esempio! Noi possiamo anche aggiungere: voi la forza! Per la vostra pietà, per la vostra umiltà, per la vostra docilità, per il vostro spirito di sacrificio, voi siete le figlie predilette della santa Chiesa. Questo incontro deve ravvivare in voi il «senso della Chiesa». Avviene talvolta che questo «senso della Chiesa» sia meno avvertito e meno coltivato in certe famiglie religiose: per il fatto che esse vivono appartate, e che esse trovano nell’ambito delle loro comunità tutti gli oggetti d’immediato interesse, e poco sanno di quanto accade fuori del recinto delle loro occupazioni, a cui sono totalmente dedicate; avviene talora che la loro vita religiosa abbia orizzonti limitati, non solo per ciò che riguarda la vicenda delle cose di questo mondo, ma anche per ciò che riguarda la vita della Chiesa, i suoi avvenimenti, i suoi pensieri e i suoi insegnamenti, i suoi ardori spirituali, i suoi dolori e le sue fortune.
Questa non è una posizione ideale per la Religiosa; essa perde la visione grande e completa del disegno divino per la nostra salvezza e per la nostra santificazione. Non è un privilegio il rimanere ai margini della vita della Chiesa e costruire per sé una spiritualità che prescinda dalla circolazione di parola, di grazia e di carità della comunità cattolica dei fratelli in Cristo. Senza togliere alla Religiosa il silenzio, il raccoglimento, la relativa autonomia, lo stile di cui ha bisogno, la forma di vita che le è propria, Noi auguriamo che le sia restituita una partecipazione più diretta e più piena alla vita della Chiesa, alla liturgia specialmente, alla carità sociale, all’apostolato moderno, al servizio dei fratelli. Molto si fa in questo senso; e Noi crediamo con profitto sia della santificazione della Religiosa, sia dell’edificazione dei fedeli. Noi ricordiamo che a Milano, proprio in occasione di questa festività, invitammo ad assistere alla Nostra messa pontificale le care Suore di Maria Bambina, in quel Duomo, ch’è certo una delle più belle e più grandi cattedrali del mondo, e ch’è appunto dedicato alla Natività di Maria: nessuna di quelle Suore sentiva dalla propria devozione l’invito a partecipare al solenne e splendido rito in onore di Maria nascente nella Cattedrale della Città dove esse hanno la loro casa-madre e una magnifica rete di attività caritative; le invitò l’Arcivescovo; e vennero poi in Duomo tutti gli anni all’otto di settembre, in bel numero; e furono felici di sentirsi in quel giorno figlie predilette della Chiesa, come Noi lo fummo nel salutarle durante la Omelia e nel benedirle, come esemplari e degne della Nostra benevolenza. Ricordiamo anche quanto Ci sembrò edificante vedere nelle chiese delle fiorenti comunità missionarie della Rhodesia meridionale e della Nigeria le Suore, delle varie famiglie religiose, assistere, in posti riservati, alle funzioni domenicali, con grande loro onore e con grande consolazione ed ammirazione di tutti i fedeli.
Ebbene, questo incontro, ripetiamo, servirà a riaccendere in voi, come auguriamo in tutta la immensa schiera delle anime religiose femminili, l’amore alla Chiesa e a mettervi sempre più in comunione con lei. Grande pensiero, ricordatelo, è questo, che può aprire la finestra sulla realtà spirituale, a cui avete dedicato la vita; la Chiesa infatti è l’opera di salvezza stabilita da Cristo; grande pensiero, che può confortare e sostenere la modestia e il nascondimento delle vostre occupazioni; la Chiesa è il regno del Signore, chi vi appartiene e chi la serve partecipa alla dignità, alla fortuna di questo regno; grande pensiero, sì, è la Chiesa, che apre alla vostra oblazione le vie per le quali essa può essere sempre più feconda di risultati apostolici, di carità sapiente, di meriti immensi.
Noi crediamo che sia venuto il giorno in cui occorra mettere in più alto onore e in maggiore efficienza la vita religiosa femminile; e che questo possa avvenire perfezionando i vincoli che la uniscono a quella della Chiesa intera. Vi faremo a questo proposito una confidenza : Noi abbiamo dato disposizioni affinché anche alcune Donne qualificate e devote assistano, come Uditrici, a parecchi solenni riti e a parecchie Congregazioni generali della prossima terza Sessione del Concilio ecumenico vaticano secondo; a quelle congregazioni, diciamo, le cui questioni poste in discussione possono particolarmente interessare la vita della Donna; avremo così per la prima volta, forse, presenti in un Concilio ecumenico alcune, poche, - è ovvio - ma significative e quasi simboliche rappresentanze femminili; di voi, Religiose, per prime; e poi delle grandi organizzazioni femminili cattoliche, affinché la Donna sappia quanto la Chiesa la onori nella dignità del suo essere e della sua missione umana e cristiana.
* * *
Mentre godiamo di fare a voi questo annuncio Ci rattrista il pensiero delle tante manifestazioni della vita moderna in cui la Donna appare decaduta dall’altezza spirituale ed etica, che il migliore costume civile e la elevazione alla vocazione cristiana le attribuiscono, al livello dell’insensibilità morale e spesso della licenza pagana; è privata la Donna, mentre le sono aperte le vie delle esperienze più pericolose e morbose, della vera felicità e dell’amore vero, che non possono mai esser disgiunti dal senso sacro della vita.
E Ci fa pena anche il vedere come tante anime femminili, fatte per le cose alte e generose, non sanno più oggi dare alla propria vita un senso pieno e superiore, perché mancano di due coefficienti della pienezza interiore: la preghiera, nella sua espressione completa, personale e sacramentale: e lo spirito di dedizione, di amore cioè che dà e che vivifica. Restano anime povere e tormentate, a cui le distrazioni esteriori recano fallace rimedio.
Ecco allora che la terza ragione del Nostro gaudio spirituale originato da questo incontro viene a consolarci; ed è quella di osservare nel vostro numero e nel vostro fervore che vi sono ancor oggi anime pure e forti che hanno sete di perfezione e che non hanno né paura, né vergogna a indossare l’abito religioso, l’abito della consacrazione totale della propria vita al Signore.
Veramente anche a questo riguardo Noi dovremmo fare una duplice non lieta osservazione; e cioè che le vocazioni religiose, anche femminili, sono in diminuzione; e che la Chiesa ed anche la società profana hanno un crescente bisogno di tali vocazioni. È questo uno dei problemi del nostro tempo, per la cui soluzione occorrerà operare e pregare.
Ma fermiamoci ora alla prova della vitalità religiosa che la vostra presenza Ci offre. Noi ringraziamo la Madonna di questa consolazione, che Ci lascia intravedere la sua provvida e materna assistenza alla Chiesa; che Ci offre l’esempio d’una sempre rifiorente generosità cristiana, che Ci fa pensare a tutto il tesoro di opere buone, a cui la vostra vita è consacrata.
Noi preghiamo la Madonna per voi: che ci dia la certezza per la bontà della scelta da voi fatta; essa è la migliore, essa è la più difficile e la più facile insieme, essa è la più vicina a quella di Maria Santissima, perché, come la sua, è tutta governata da un semplice e totale abbandono alla divina volontà: «Fiat mihi secundum Verbum tuum!». Noi la pregheremo perché vi faccia forti: oggi la vita religiosa esige fortezza; ieri forse era il rifugio di tante anime deboli e timide; oggi è l’officina delle anime forti, costanti ed eroiche. Noi la pregheremo infine perché la Madonna vi faccia liete e felici; la vita religiosa, per povera e austera che sia, non può essere autentica che nella gioia interiore! È quella che Noi vi auguriamo a ricordo di questo incontro a tutte chiedendo orazioni per il Concilio e per la Chiesa intera, a tutte dando la Nostra Benedizione.
Uniformità alla Volontà di Dio - Terza parte
Continuiamo, come ogni Mercoledì, a riflettere sull'obbedienza alla Santa Volontà del Signore attraverso la prosecuzione della lettura della meditazione di Sant'Alfonso Maria dé Liguori che si è soffermato sull'uniformità alla Volontà del Signore, tema molto importante per ogni cristiano di buona volontà:
Chi fa così, non solo si fa santo, ma gode ancora in terra una pace perpetua. Alfonso il grande (Panorm. in Vita) Re di Aragona, Principe savissimo, interogato un giorno, qual’uomo stimasse più felice in questo mondo? Rispose, quello il quale si abbandona nella volontà di Dio, e che riceve tutte le cose prospere, ed avverse dalle sue mani. Diligentibus Deum omnia cooperantur in bonum. (Rom 8) Gli amanti di Dio vivon sempre contenti, perché tutto il loro piacere è di adempire anche nelle cose contrarie la divina volontà; onde gli stessi travagli si convertono loro in contenti, pensando che con accettarli dan gusto al loro amato Signore: Non contristabit justum quidquid ei acciderit. (Prov 10.11) Ed in fatti qual maggior contento può mai provare un uomo, che in veder adempiuto quanto egli vuole? Or quando alcuno non vuole se non quello, che vuole Dio, avvenendo già sempre tutto ciò, che avviene nel mondo (fuori del peccato) per volontà di Dio, avviene in conseguenza quanto esso vuole. Si narra nelle Vite de’ Padri d’un contadino, i cui terreni rendeano maggior frutto degli altri; dimandato questi, come ciò accadesse, rispose, che di ciò non si maravigliassero, perch’ egli avea sempre i tempi, come li voleva; e come? Sì, replicò, perché io non voglio altro tempo, se non quello, che vuole Dio, e conforme io voglio quel, che Dio vuole, così egli mi dà i frutti, come li vogl’io. L’anime rassegnate, dice il Salviano, se sono umiliate, questo vogliono: se patiscono povertà, vogliono esser povere; in somma quanto gli avviene, tutto lo vogliono: e perciò sono in questa vita felici: Humiles sunt, hoc volunt; paperes sunt, paupertate delectantur; itaque beati dicendi sunt. Viene il freddo, il caldo, la pioggia, il vento, che piova, perché così vuole Dio. Viene la povertà, la persecuzione, l’infermità, la morte, ed io voglio (colui dice) esser povero, perseguitato, infermo; voglio anche morire, perché così vuole Dio.
Questa è la bella libertà, che godono i Figli di Dio, che vale più delle Signorie, e di tutti i Regni della terra. Questa è la gran pace, che provano i Santi, la quale exuperat omnem sensum. (Eph. 3.2), avanza tutti i piaceri de’ sensi, tutti i festini, i banchetti, gli onori, e tutte l’altre soddisfazioni del mondo, le quali, perché sono vane, e caduche, benchè allettano il senso per quei momenti in cui si assagiano, nondimeno non contentano, ma affliggono lo spirito, dove sta il vero contento; che perciò Salomone, dopo aver goduto al sommo di tai diletti mondani, esclamava afflitto: Sed et hoc vanitas, et afflictio spiritus. (Ecclesiast. 4.6) Stultus (dice lo Spirito Santo) sicut luna mutatur, sapiens in sapientia manet sicut vult. . . (Eccl. 27.12) Lo stolto, cioè il peccatore si muta come la luna, ch’ oggi cresce domani manca: oggi lo vedrai ridere, domani piangere: oggi mansueto, domani stizzato, come una tigre; e perché? perché la sua contezza dipende dalle prosperità, o avversità, che incontra, e perciò si muta, come si mutano le cose che gli accadono. Ma il giusto è come il sole sempre uguale nella sua serenità, in qualsivoglia cosa, che succede; perché il suo contento è nell’uniformarsi alla divina volontà, e perciò gode una pace imperturbabile. Et in terra pax hominibus bonae vluntatis (Luc. 2.15), disse l’Angelo ai Pastori. E chi mai sono quest’ uomini di buona volontà, se non coloro, che stan sempre uniti alla volontà di Dio, ch’ è sommamente buona, e perfetta? Voluntas Dei bona, beneplacens, et perfecta. Sì, perché Dio non vuole, che’ l meglio, e’ l più perfetto.
I Santi in questa terra nell’uniformarsi alla volontà divina han goduto un Paradiso anticipato. I Padri antichi, dice S. Doroteo, che così si conservavano in gran pace, con prendere ogni cosa dalle mani di Dio. S. Maria Madalena de’ Pazzi in sentir solamente nominare Volontà di Dio, si sentiva consolare, che usciva fuor di se in astasi d’amore. Non mancheranno per altro le punture delle cose avverse a farsi sentire dal senso, ma tutto ciò non avverrà, che nella parte inferiore; ma nella superiore dello spirito regnerà la pace, e la tranquillità, stando la volontà unita a quella di Dio. Gaudium vestrum (disse il Redentore agli Apostoli) nemo tollet a vobis. Gaudium vestrum sit plenum. (Jo 16.22) Chi sta sempre uniformato alla divina volontà, ha un gaudio pieno, e perpetuo: pieno, perché ha quanto vuole, come di sopra s’ è detto: perpetuo, perché un tal gaudio niuno ce lo può togliere, mentre niuno può impedire, che non avvenga quel, che Dio vuole.
Il P. Giovan Taulero (appresso il P. Sangiurè Erar. to 3, e’ l P. Nieremb. Vita Div.) narra di se stesso, che avendo egli pregato per molti anni il Signore a mandargli chi gli insegnasse la vera vita spirituale, un giorno udì una voce, che gli disse: Va alla tal Chiesa, ed alla porta trova un misero mendico, scalzo, e tutto lacero; lo saluta: Buon giorno, amico. Il povero risponde: Signor maestro, io non mi ricordo giammai d’aver avuto un giorno cattivo. Il Padre replicò: Iddio vi dia una felice vita. Ripigliò quegli; Ma io non sono stato mai infelice. E poi soggiunse: Udite, Padre mio, non a caso io ho detto non aver avuto alcun giorno cattivo, perché quando ho fame, io lodo Dio; quando fa neve, o pioggia io lo benedico: se alcuno mi disprezza, mi scaccia, se provo altra miseria, io sempre ne do gloria al mio Dio. Ho detto poi, che non sono stato mai infelice, e ciò anch’ è vero, poich’ io sono avvezzo a volere tutto ciò, che vuole Dio senza reserba; perciò tutto quel, che m’ avviene o di dolce, o di amaro, io lo ricevo dalla sua mano con allegrezza, come il meglio per me, e questa è la mia felicità.E se mai, ripigliò il Taulero, Dio vi volesse dannato, voi che direste? Se Dio ciò volesse (rispose il mendico), io coll’umiltà, e coll’amore mi abbraccierei col mio Signore, e lo terrei sì forte, che se egli volesse precipitarmi all’Inferno, sarebbe necessitato a venir meco, e così poi mi sarebbe più dolce essere con lui nell’inferno, che posseder senza lui tutte le delizie del cielo. Dove avete trovato voi Dio, disse il Padre? E quegli: Io l’ho trovato, dove ho lasciate le creature. Voi chi siete? E’ l povero: Io sono Re. E dove sta il vostro Regno? Sta nell’anima mia, dove io tengo tutto ordinato, le passioni ubbidiscono alla ragione, e la ragione a Dio. Finalmente il Taulero gli domandò, che cosa l’avea condotto a tanta perfezione? E’ stato (rispose) il silenzio, tacendo cogli uomini per parlare con Dio; e l’unione, che ho tenuta col mio Signore, in cui ho trovata, e trovo tutta la mia pace. Tale in somma fu questo povero per l’unione, ch’ ebbe colla divina volontà; egli fu certamente nella sua povertà più ricco, che tutti i Monarchi della terra, e ne’ suoi patimenti più felice che tutti i mondani colle loro delizie terrene.
Il figlio è il più grande regalo di Dio
Oggi la Chiesa ha ricordato la figura della Beata Teresa di Calcutta. Vogliamo qui proporre una sua riflessione molto bella, soprattutto in tempi come questi in cui è presente la piaga dell'aborto come non mai. Per questi motivi cerchiamo di cogliere attraverso le parole della Beata Teresa l'importanza dei figli:
Quando vi sentite indisposti, quando vi sentite turbati, quando provate la tentazione di fare qualcosa di male, quando - se per caso sei madre senti il desiderio di fare a meno di tuo figlio, prega, rivolgiti a Dio:
«Dio mio, aiutami! Proteggimi in questa fase di tentazione».
Lui sarà lì a offrirvi la guida e l'aiuto per restare in sua presenza.
Il Giappone è un bel paese.
Il Giappone annovera persone magnifiche.
Ma non dimenticate che può essere distrutto se non accettate i figli.
Il figlio costituisce il regalo più bello di Dio.
Voi siete qui presenti oggi perché i vostri padri e le vostre madri vi hanno amato.
Avrebbero potuto anche non amarvi, ma effettivamente vi desiderarono e vi amarono.
Rendiamo grazie a Dio di trovarci qui, per poter condividere con altri questo stesso amore, per poter permettere a Dio di offrire ad altri il suo amore e la sua misericordia.
Dove sono due o tre...
Concludiamo la giornata liturgica attraverso l'ormai consueto appuntamento di meditazione con le riflessioni di noti sacerdoti e movimenti religiosi. Oggi riflettiamo attraverso le parole di don Luca Orlando Russo:
In un contesto come il nostro in cui l'individualismo la fa da padrone, la liturgia della Parola di questa domenica crea non poche difficoltà e suona ai nostri orecchi come eccessiva. Le parole di Gesù, poi, non solo ci invitano alla comune responsabilità, ma vanno ben oltre. Se, infatti, desideriamo fare esperienza della sua presenza - afferma Gesù - è necessario condividere almeno con qualcuno il nostro cammino di fede. La persona di Gesù si rende presente, stando alle sua parole, tutte le volte che condividiamo l'ascolto della sua parola e l'esperienza di fede che da questo ascolto scaturisce, con una o più persone. Questo significa che il cammino cristiano di fede è un'esperienza, al tempo stesso, personale e di gruppo. Non si dà cammino di fede se manca un cammino di gruppo, con tutto quello che ciò comporta.
Dobbiamo tutti confessare che più volte abbiamo pensato che il nostro rapporto con Gesù, quale unico mediatore del nostro incontro con Dio, potesse bypassare la relazione con gli altri e svolgersi in un rapporto individuale. Condividere l'ascolto della Parola e l'esperienza di fede che dall'ascolto scaturisce non è cosa semplice, anzi talvolta si rivela un cammino che ben presto fa emergere paure, gelosie e rivalità. Non è un caso che molti, causa la difficile relazione con gli altri, rinunciano ad un percorso di fede e ripiegano per una relazione personale cadendo nell'errore di una religione fai da te. A tal proposito le parole di Benedetto XVI all'ultimo incontro mondiale con i giovani risultano molto efficaci: «Cari giovani, permettetemi che, come Successore di Pietro, vi inviti a rafforzare questa fede che ci è stata trasmessa dagli Apostoli, a porre Cristo, il Figlio di Dio, al centro della vostra vita. Però permettetemi anche che vi ricordi che seguire Gesù nella fede è camminare con Lui nella comunione della Chiesa. Non si può seguire Gesù da soli. Chi cede alla tentazione di andare "per conto suo" o di vivere la fede secondo la mentalità individualista, che predomina nella società, corre il rischio di non incontrare mai Gesù Cristo, o di finire seguendo un'immagine falsa di Lui».
Risultano molto più chiare ora le parole di Gesù circa la necessità della correzione fraterna all'interno della comunità. Il fratello o la sorella che con noi condividono un cammino di fede sono un dono prezioso che non possiamo perdere senza cercare di fare del nostro meglio per evitare che smarrisca la strada. È la consapevolezza, infatti, della preziosità di ciascun fratello e sorella che ci fa sentire responsabili anche del suo cammino. L'esperienza ci dice che è molto difficile praticare la correzione fraterna perché chi la esercita spesso non si domanda prima se nel suo cuore c'è la consapevolezza che il fratello o la sorella da correggere sono da lui ritenuti un tesoro prezioso. Resta comunque vero che noi non diventeremo mai migliori senza gli altri.
Buona domenica e buona settimana!
Riflettendo con la storia di San Marino
Oggi, la Chiesa Cattolica celebra San Marino, noto per essere fondatore di uno Stato e patrono della Repubblica che porta il suo nome e cioè la Repubblica di San Marino. Oggi vogliamo invitarvi a riflettere sulla storia e a leggere uno spunto riflessivo di Enza che ci ricorda come Dio usi ogni mezzo, anche il più impensabile, per condurre l'uomo alla salvezza:
Nel 257 d.C. Diocleziano emana un editto per la ricostruzione delle mura di Rimini. Tra i tagliatori di pietra e incisori arrivati, due sono destinati a rimanere nella storia: Marino e Leo. Essi vengono inviati sul monte titano per estrarre e lavorare la roccia: vi rimangono ben tre anni. In seguito Leo si ferma sul monte Feretrio o Feltro, scavandosi una celletta nella roccia e costruendo con i compagni un piccolo oratorio. L’insediamento prenderà il nome di San Leo. Marino sceglie di ritirarsi sul monte Titano dove fonda una piccola comunità di cristiani. Il terreno però è proprietà di Felicissima, il cui figlio si reca sul posto per scacciare Marino. Presagendo le intenzioni del ragazzo, il Santo prega la Provvidenza affinché lo aiuti. In quell’istante Verissimo cade a terra paralizzato a braccia e gambe. La madre si precipita dal santo per chiedergli perdono e offrirgli tutto quanto desideri. Egli risponde che per se non desidera nulla, quanto piuttosto la loro conversione e il loro Battesimo. Felicissima acconsente, Verissimo guarisce e tutta la famiglia si converte al cristianesimo. Come ringraziamento la donna offre in dono a Marino il monte Titano. Egli, ordinato diacono dal Vescovo di Rimini, continua la sua vita di preghiera, di penitenza e di ritiro e, il 3 settembre, forse nel 301, muore. E’ sepolto nella chiesa che egli stesso aveva eretto e dedicato a San Pietro. Di lui si raccontano grandi prodigi, come la guarigione di una peccatrice dalmata posseduta dal demonio o l’addomesticamento di un orso. E’ l’unico santo fondatore di uno Stato e patrono della Repubblica che porta il suo nome.
Mentre leggevo questa storia ho riflettuto su come Dio utilizzi ogni mezzo per portare alla salvezza gli uomini, persino l’omicida e barbaro “Diocleziano”. Pure San Marino e San Leo sono stati usati da Dio che li ha inviati come intagliatori, per portare la fede in quei posti. Diocleziano è stato ispirato per rifare il muro; Dio ha mandato i due santi come lavoratori, mostrando così la sua grandezza e la sua misericordia nell’operare i miracoli.
Auguri a tutti i Marino e agli abitanti di San Marino
Uniformità alla Volontà di Dio - Seconda parte
Essendo saltato l'appuntamento mercoledì scorso, proponiamo oggi la continuazione della meditazione di Sant'Alfonso Maria dé Liguori che si è soffermato sull'uniformità alla Volontà del Signore, tema molto importante per ogni cristiano di buona volontà:
Se dunque vogliamo compiacere appieno il cuore di Dio, procuriamo in tutto di conformarci alla sua divina volontà; e non solo di conformarci, ma uniformarci a quanto Dio dispone. La conformità importa, che noi congiungiamo la nostra volontà alla volontà di Dio; ma l’uniformità importa di più, che noi della volontà divina, e della nostra ne facciamo una sola, sì che non vogliamo altro se non quello, che vuole Dio, e la sola volontà di Dio sia la nostra. Ciò è il sommo della perfezione, a cui dobbiamo sempre aspirare; questa ha da esser la mira di tutte le nostre opere, di tutti i desideri, meditazione, e preghiere. In ciò abbiamo da pregare ad ajutarci tutti i nostri santi Avvocati, i nostri Angeli Custodi, e sopratutto la divina Madre Maria, la quale perciò fu la più perfetta di tutti i Santi, perché più perfettamente ella abbracciò sempre la divina volontà.
Ma il forte sta nell’abbracciare la volontà di Dio in tutte le cose che avvengono o prospere, o avverse ai nostri appetiti. Nelle cose prospere anche i peccatori ben sanno uniformarsi alla divina volontà; ma i santi si uniformano anche nelle contrarie, e dispiacenti all’amor proprio. Qui si vede la perfezione del nostro amore a Dio. Diceva il V. S. Giovanni Avila: Vale più un benedetto sia Dio nelle cose avverse, che sei milia ringraziamenti nelle cose a voi dilettevoli.
Di più bisogna uniformarci al divina volere, non solo nelle cose avverse, che ci vengono direttamente da Dio, come sono le infermità, le desolazioni di spirito, la povertà, laorte de’ parenti, e simili; ma ancora in quelle, che ci vengono per mezzo degli uomini, come sono i dispregi, l’infamie, l’ingiustizie, i furti, e tutte le sorte di persecuzioni. In ciò bisogna intendere, che quando noi siamo offesi da alcuno nella fama, nell’onore, ne’ beni, benchè il Signore non voglia il peccato di colui, vuole nondimeno la nostra umiliazione, la nostra povertà, e mortificazione. E’ certo, e di fede, che quanto avviene nel mondo, tutto avviene per divina volontà. Ego Dominus formans lucem et tenebras, faciens pacem, et creans malum. (Is. 45.7) Da Dio vengono tutti i bene e tutti i mali, cioè tutte le cose a noi contrarie, che noi chiamiamo falsamente mali; perché in verità sono beni, quando noi gli prendiamo dalle sue mani. Si erit malum in civitate, quod Dominus non fecerit? disse il Profeta Amos 3.6. E prima lo disse il Savio; Bona et mala, vita et mors a Deo sunt. (Eccl. 12.14) E’ vero, come ho detto, che allorchè un uomo ti offende ingiustamente, Dio non vuole il peccato di colui, nè concorre alla malizia della di lui volontà; ma ben concorre col concorso generale all’azione materiale, colla quale quel tale ti percuote, ti ruba o t’ ingiuria; sì che l’offesa, che tu patisci, certamente la vuole Dio, e dalle sue mani ti viene. Perciò il Signore disse a Davide, ch’ egli era l’autore dell’ingiurie, che dovea fargli Assalonne, sino a torgli le mogli davanti ai suoi occhi; e ciò in castigo de’ suoi peccati: Ecce ego suscitabo super te malum de domo tua, et tollam uxores tuas in oculis tuis, et dabo proximo tuo. (2 Reg. 12.11) Perciò disse anche agli Ebrei, che in pena delle loro iniquità avrebbe mandati gli Assiri a spogliarli, e rovinarli: Assur virga furoris mei . . . mandabo illi ut auferat spolia, et diripiat praedam. (Is. 10.5) Spiega S. Agostino: Impietas eorum tamquam securis Dei facta est. (In Ps. 37) Dio si servì dell’iniquità degli Assiri, come d’una mannaja per castigare gli Ebrei. E Gesù medesimo disse a S. Pietro, che la sua passione, et morte, non tanto gli veniva dagli uomini, quanto dal suo medesimo Padre: Calicem quem dedit mihi Pater, non vis ut bibam illum?
Giobbe allorchè venne il nunzio (che vogliono essere stato il demonio) a dirgli, che i Sabei si aveano tolte tutte le di lui robe, e gli aveano uccisi i figli; il Santo che rispose: Dominus dedit, Dominus abstulit. (1.21) Non disse il Signore m’ ha dati i figli, i beni, ed i Sabei me gli han tolti; ma il Signore me gli ha dati, ed il Signore gli ha tolti; perché bene intendeva, che quella perdita era voluta da Dio, e perciò soggiunse: Sicut Domino placuit, ita factum est: sit nomen Domini benedictum. (ibid) Non bisogna dunque prendere i travagli, che ci avvengono, come succeduti a saco, o per sola colpa degli uomini, bisogna star persuaso, che quanto ci accade, tutto accade per volontà divina: quicquid hic accedit contra voluntatem nostram, noveris non accidere nisi de voluntate Dei. (D. August. in Ps. 148. Epitetto, ed Atone, Rosweid. l.1), felici Martiri di Gesù Cristo, posti dal Tiranno alla tortura, stracciati con uncini di ferro, brustoliti con torce ardenti, altro non diceano: Signore, si faccia in noi la tua volontà. E giunti al luogo del supplicio, proferirono ad alta voce: Siate benedetto, o Dio eterno, poiché la vostra volontà è stata in noi adempita in tutto.
Narra Cesario (lib. 10, c.6) che un certo Religioso, benchè non fosse punto differente dagli altri nell’esterno, non però era giunto a tal santità, che col solo tatto delle sue vesti guariva gl’infermi. Il suo Superiore di ciò maravigliandosi gli disse un giorno, come mai facesse tali miracoli, non facendo una vita più esemplare degli altri. Quegli rispose, che ancor esso se ne maravigliava, e che non ne sapeva il perché. Ma qual divozione voi praticate, ripigliò l’Abbate? Rispose il buon Religioso ch’ egli niente o poco faceva, se non che aveva sempre avuta un gran cura di volere solo ciò, che Dio voleva, e che il Signore gli aveva fatta questa grazia, di tenere abbandonata la sua volontà totalmente in quella di Dio. La prosperità (disse) non mi solleva, nè l’avversità mi abbatte, perché io prendo ogni cosa dalle mani di Dio, ed a questo fine tendono tutte le mie orazioni, cioè, che la sua volontà perfettamente in me si adempia. E di quel danno (ripigliò il Superiore), che l’altr’ jeri ci fece quel nostro nemico in toglierci il nostro sostentamento, mettendo fuoco al podere dov’ erano le nostre biade, i nostri bestiami, voi non aveste alcun risentimento? No, Padre mio, egli rispose; ma al contrario ne rendei grazie a Dio, come lo soglio fare in simili accidenti, sapendo che Dio tutto fa, o permette per gloria sua, e per nostro maggio bene, e con ciò vivo sempre contento per ogni cosa, che avviene. Ciò inteso l’Abbate, vedendo in quell’anima tanta uniformità alla volontà divina, non restò più maravigliato, che facesse sì gran miracoli.