Concludiamo la giornata liturgica attraverso l'ormai consueto appuntamento di meditazione con le riflessioni di noti sacerdoti e movimenti religiosi. Oggi riflettiamo attraverso le parole di mons. Gianfranco Poma:
Il problema così vivo ai nostri giorni del rapporto tra il Gesù della storia e il Cristo della fede è in realtà presente già nelle ultime pagine del Vangelo: chi è questa persona che si presenta nella più concreta umanità e nello stesso tempo rivela un mistero irriducibile alla normale dimensione umana? Nei suoi ultimi capitoli il Vangelo di Matteo conduce il lettore ad entrare sempre più profondamente nel mistero di Gesù di Nazareth, il figlio dell'uomo, il Cristo, il figlio di Dio: è il mistero di un uomo che discende nella fragilità umana sino alla morte in croce perché in lui si riveli la potenza di Dio. Si compie così la rivelazione del pensiero di Dio che non è quello degli uomini: Dio si rivela nella fragilità, nella Croce, nell'Amore che si annienta. E tutto questo non è una dottrina, una filosofia, ma è la storia concreta di Gesù di Nazareth, che il Vangelo ci annuncia, di fronte al quale la razionalità umana si chiude: Dio deve essere l'onnipotente, Colui che vince le battaglie, che punisce chi lo offende.Il discepolo è invece chi crede, si affida a Lui perché sperimenta il suo amore, la sua condivisione, il suo com-patire: il discepolo è colui che, affidandosi totalmente a Gesù, cambia il suo pensiero e comincia a vedere l'onnipotenza di Dio nel suo discendere, nel suo annientarsi, nel suo Amore che morendo, risorge. Il Vangelo ci conduce fin sotto la croce perché con gli occhi fissi su di lui prendiamo in piena libertà la nostra decisione. Abbiamo il coraggio di credere in un Dio che manifesta la sua onnipotenza nell'annientarsi per poter comunicarci tutto il suo Amore?
Avviandosi alla conclusione, il cap.21 di Matteo sottolinea in modo sempre più forte questa "differenza cristiana": l'evento concreto di Gesù di Nazareth rivela la presenza del mistero di Dio, nel suo farsi partecipe della fragilità umana per condividerla, salvarla amandola.
L'inizio del cap.21 (vv.1-11), l'ingresso a Gerusalemme è letto nella Liturgia della domenica delle palme: Gesù si avvia decisamente verso l'esito finale della sua esistenza umana, la Croce e la Risurrezione, l'umiltà e la Gloria.
I versetti successivi (12-27) sono omessi dalla lettura liturgica: la purificazione del Tempio, la maledizione del fico. Si tratta ancora di passi importanti nel cammino della rivelazione del mistero della persona di Gesù, talmente sconcertante per i capi dei sacerdoti e gli anziani del popolo, che non possono trattenersi dal porgli la domanda: "Con quale autorità tu compi queste cose? E chi ti ha dato questa autorità?".
La frase che precede immediatamente il brano che la Liturgia della domenica XXVI del tempo ordinario ci offre (Matt.21,28-32): "Neanch'io vi dico con quale autorità faccio queste cose", se da una parte sembra chiudere la discussione con le autorità civili e religiose che lo contestano, dall'altra sottolinea ancora una volta la inafferrabilità del suo mistero al quale è possibile accostarsi attraverso l'affidamento della fede. Questo piccolo brano che, al di là di ciò che potrebbe apparire immediatamente, non è di facile lettura, è finalizzato proprio a questo: fissare l'attenzione sulla fede come chiave interpretativa della persona di Gesù, il figlio unico, che ascolta e fa la volontà imprevedibile, sconvolgente, del Padre. Proprio nel cuore di questa parabola dei due figli sta la domanda, rivolta a noi oggi: "Chi dei due ha compiuto la volontà del Padre?", alla quale solo apparentemente è facile dare una risposta. "Fare la volontà del Padre" comporta, in realtà, anzitutto entrare in relazione filiale con il Padre, ascoltare la sua parola, aderire alla sua volontà lasciando che diventi operativa nel figlio: non è tanto il "fare" per se stesso, ma lasciarsi fare dal Padre. Ed è questo a cui Gesù vuole condurci con la sua parabola.
"Che ve ne pare?": Gesù chiede ai suoi ascoltatori l'attenzione perché comprendano l'importanza della decisione che la sua parola comporta.
"Un uomo aveva due figli. Rivolgendosi al figlio, disse: "Figlio, va', oggi, a lavorare nella vigna". Ma egli rispose: "Non voglio". Alla fine, cambiando pensiero dentro di sé, andò. Rivolgendosi al secondo, disse la stessa cosa. Ed egli rispose: "Sì, signore" e non andò. Chi dei due ha compiuto la volontà del Padre? Risposero: "Il primo". La risposta immediata che viene data alla domanda di Gesù (e che noi pure avremmo data) suscita in lui una presa di posizione fortissima, di distacco polemico dalla posizione di coloro che lo ascoltano, che deriva dalla sua personale esperienza e che rivela la novità della relazione con Dio che egli inaugura.
All'inizio, Gesù ha chiesto attenzione: non è possibile rispondere di istinto alla sua domanda. Egli ha parlato di relazione tra padre e figli, ciascuno è interpellato personalmente. Al primo "figlio" ha chiesto: "oggi vai nella vigna". E lui ha risposto: "Non voglio". Alla fine, cambiando pensiero, è andato. Certo, è buona cosa che alla fine sia andato, ma è andato quando e perché lui ha voluto: solo materialmente ha fatto la "volontà del Padre", in realtà ha fatto la propria volontà. E il secondo figlio, al padre che lo accosta, risponde: "Sì, signore". La relazione con il padre è formale e di conseguenza non diventa operativa. "Chi dei due ha fatto la volontà del Padre?" Il Vangelo di Matteo è certamente sensibile alla concretezza del fare: ma è pure attento alla novità del fare "la volontà del Padre". Gesù, che sta avviandosi alla Croce, che sta educando i suoi discepoli a "pensare secondo Dio", intende metterli in guardia dal rischio di essere solamente "formali" ascoltatori della Parola del Padre oppure operatori di progetti loro, con le modalità e i tempi scelti solamente da loro. Gesù ai suoi discepoli propone la propria esperienza: egli vive l'esperienza filiale, vive del Padre, della sua Parola, sino ad essere l'incarnazione della Parola. Gesù è l' "oggi" della Parola di Dio, sconvolgente, che rompe gli schemi umani, che opera secondo schemi che per la sapienza umana sono folli.
Per questo, la parola di Gesù diventa fortissima, polemica, sconvolgente: "In verità vi dico: i pubblicani e le prostitute vi passano avanti nel regno di Dio". Coloro che sono ritenuti lontani, peccatori, per una valutazione secondo la logica umana, sono i primi nel regno di Dio, perché ascoltano la sua parola di Padre che si rivolge a loro come a Figli e dice a loro tutto il suo amore. Davvero sconvolgente è questa rivelazione di Gesù: chi crede nell'amore del Padre, anche nella profondità della debolezza e della fragilità umana, comincia ad operare le opere di Dio.
Ai suoi ascoltatori, alla sua comunità (a noi oggi) Gesù rivolge un appassionato richiamo: "Giovanni ha parlato in nome di Dio.voi avete visto queste cose.: i pubblicani e le prostitute gli hanno creduto. voi non avete cambiato la vostra mentalità per credergli". A noi, affaccendati nel fare tante cose, nel programmare le nostre attività, Gesù rivolge la sua implorazione, perché seguendo lui ascoltiamo la voce del Padre, e nella nostra fragilità lasciamo che attraverso la nostra vita passi il suo Amore che è l'unica cosa che conta.
Chi ha compiuto la Volontà del Padre?
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Riscoprire la fede
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domenica 25 settembre 2011
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