Riflettiamo Insieme

nella vigna ...

Rinascere dall'Alto

Oggi la Chiesa Cattolica celebra, insieme a San Giuseppe d'Arimatea, la figura di San Nicodemo: scopriamo di chi si tratta attraverso la lettura del Vangelo e meditiamo il significato del suo incontro con Gesù attraverso il commento dei   Monaci Benedettini Silvestrini: 

Vi era tra i farisei un uomo di nome Nicodèmo, uno dei capi dei Giudei. Costui andò da Gesù, di notte, e gli disse: «Rabbì, sappiamo che sei venuto da Dio come maestro; nessuno infatti può compiere questi segni che tu compi, se Dio non è con lui». Gli rispose Gesù: «In verità, in verità io ti dico, se uno non nasce dall’alto, non può vedere il regno di Dio».
 Gli disse Nicodèmo: «Come può nascere un uomo quando è vecchio? Può forse entrare una seconda volta nel grembo di sua madre e rinascere?». Rispose Gesù: «In verità, in verità io ti dico, se uno non nasce da acqua e Spirito, non può entrare nel regno di Dio. Quello che è nato dalla carne è carne, e quello che è nato dallo Spirito è spirito. Non meravigliarti se ti ho detto: dovete nascere dall’alto. Il vento soffia dove vuole e ne senti la voce, ma non sai da dove viene né dove va: così è chiunque è nato dallo Spirito».

 
Assistiamo e partecipiamo ad un colloquio notturno. Ci interessano i due interlocutori Gesù e Nicodemo. Questi porta con sé una sincera ammirazione per Gesù che certamente condividiamo: «Rabbì, sappiamo che sei venuto da Dio come maestro; nessuno infatti può compiere questi segni che tu compi, se Dio non è con lui». Forse dobbiamo condividere anche i limiti della sua fede e il bisogno di una ulteriore illuminazione. Egli si reca di notte dal Signore e ciò per timore dei giudei: la notte non solo la mancanza della luce del sole, ma anche il buio della mente e del cuore. La paura poi denota una ulteriore debolezza, l'incapacità di essere testimone, anche e soprattutto quando si è circondati da persona che non la pensano come noi. È il rispetto umano che talvolta frena la libera professione della nostra fede. È per questo che Gesù ci ripete: «In verità, in verità io ti dico, se uno non nasce da acqua e Spirito, non può entrare nel regno di Dio». 

Bisogna quindi rinascere per vedere. Bisogna far morire in noi l'uomo vecchio, annebbiato dal peccato, per essere creatura nuova in Cristo. Già nel battesimo abbiamo avuto potenzialmente la nostra rinascita come figli di Dio, ma poi con la libera adesione e con le nostre opere, dobbiamo confermare la novità che ci è stata data in dono. Infatti Gesù conferma il suo pensiero dicendoci ancora: «In verità, in verità ti dico, se uno non nasce da acqua e da Spirito, non può entrare nel regno di Dio». E aggiunge: «Quello che è nato dalla carne è carne, e quello che è nato dallo Spirito è spirito. Non meravigliarti se ti ho detto: dovete nascere dall'alto. Il vento soffia dove vuole e ne senti la voce, ma non sai da dove viene né dove va: così è chiunque è nato dallo Spirito». 

Lo Spirito che ci fa rinascere sarà il dono di Cristo ai suoi Apostoli e li trasformerà da pavidi in intrepidi araldi del suo Vangelo. Lo stesso Spirito sarà la forza vincente della chiesa di Cristo e di ogni suo seguace. Il vero rinnovamento, la vera rinascita, la vita nuova la possiamo attingere solo da quella arcana forza divina, che riversata nei nostri cuori, ci rende capaci di uscire dalla notte, di rinascere come creature nuove e di essere infine testimoni autentici e credibili della risurrezione di Cristo.

Il combattimento cristiano

Concludiamo la giornata che ci ha fatto riscoprire la figura di Sant'Agostino d'Ippona, attraverso la lettura di un passo tratto da una sua opera di morale pastorale "Il combattimento cristiano" che si sofferma proprio sulla lotta spirituale sostenuta da ogni cristiano che intenda seguire il Vangelo:

1. 1. La corona della vittoria non si promette se non a coloro che combattono. Nelle divine Scritture, inoltre, troviamo con frequenza che si promette a noi la corona, se vinceremo. Ma per non dilungarci a richiamare molti passi, presso l’apostolo Paolo si legge con molta chiarezza: Ho compiuto la mia opera, ho terminato la mia corsa, ho conservato la fede, ora mi resta la corona di giustizia 1. Dobbiamo dunque conoscere quale sia questo avversario, vinto il quale, saremo incoronati. È quello stesso che il Signore nostro vinse per primo, sicché anche noi, se perseveriamo in lui. E perciò la Potenza e la Sapienza di Dio 2 e il Verbo, per mezzo del quale furono fatte tutte le cose 3, che è il Figlio unigenito, rimane immutabile al di sopra di ogni creatura. E poiché sotto di Lui sta anche la creatura che non ha peccato, quanto più sta sotto di Lui ogni creatura peccatrice? E poiché sotto di Lui sono tutti gli angeli santi, molto più a Lui sono sottoposti gli angeli prevaricatori, di cui il diavolo è il capo. Ma poiché quest’ultimo aveva ingannato la nostra natura, l’unigenito Figlio di Dio si è degnato di assumere la nostra stessa natura, affinché da essa stessa fosse vinto il diavolo, e quello che il Figlio di Dio ha sottoposto a sé, fosse sottoposto anche a noi. È appunto quello che indica quando dice: Il principe di questo mondo è stato cacciato fuori 4. Non perché il diavolo è stato cacciato fuori dal mondo, come credono alcuni eretici, ma fuori dalle anime di coloro che aderiscono alla parola di Dio e non amano il mondo, di cui egli è il capo; infatti egli domina su quelli che amano le cose temporali, che sono contenute in questo mondo visibile, non perché egli sia padrone di questo mondo, ma perché è fonte di tutte quelle cupidige, per le quali si brama tutto ciò che è passeggero, cosicché a lui sono soggetti quelli che trascurano l’eterno Dio ed amano le cose caduche e mutevoli. La radice di tutti i mali è la cupidigia: seguendo la quale alcuni hanno deviato dalla fede e si sono da sé tormentati con molti dolori 5. Per mezzo di questa cupidigia il diavolo regna sull’uomo e occupa il suo cuore. Tali sono tutti quelli che amano questo mondo. Il diavolo poi è cacciato fuori, quando di tutto cuore si rinuncia a questo mondo. Così infatti si rinuncia al diavolo, che è principe di questo mondo, quando si rinuncia a ciò che è corrotto, alle pompe e ai suoi corifei. Ecco perché lo stesso Signore, avendo già assunto trionfalmente la natura dell’uomo, disse: Sappiate che io ho vinto il mondo.

2.2. Molti poi dicono: come possiamo noi vincere il diavolo che non vediamo? Ma noi abbiamo un maestro il quale si è degnato di mostrarci in che modo si vincono i nemici invisibili. Di lui infatti dice l’Apostolo: Spogliandosi della carne, fu modello ai principati e alle potestà, trionfando con sicurezza su di loro in se stesso 7. Dunque si vincono le invisibili potenze a noi ostili là dove si vincono le invisibili cupidige. E perciò poiché in noi stessi vinciamo le brame delle cose temporali, è necessario che in noi stessi vinciamo anche colui che regna nell’uomo per mezzo delle stesse cupidige. Quando infatti fu detto al diavolo: Mangerai terra, fu detto al peccatore: Tu sei polvere e in polvere ritornerai 8. Il peccatore fu dunque dato in pasto al diavolo. Facciamo in modo di non essere terra, se non vogliamo essere divorati dal serpente. Come infatti ciò che mangiamo lo convertiamo nel nostro corpo, affinché lo stesso cibo si trasformi in ciò che noi siamo secondo il nostro corpo, così a causa dei cattivi costumi per mezzo della malvagità e della superbia e dell’empietà ciascuno diventa ciò che è il diavolo, cioè simile a lui, ed è sottoposto a lui, come il nostro corpo è soggetto a noi. E questo è ciò che si dice, essere mangiato dal serpente. Chiunque pertanto teme quel fuoco che fu preparato per il diavolo ed i suoi angeli 9, si sforzi di trionfare su di lui in se stesso. Infatti quelli che ci combattono all’esterno, noi li vinciamo internamente, col vincere le concupiscenze per mezzo delle quali essi ci dominano. E attirano con sé nelle pene quelli che troveranno simili a sé.

3. 3. Così dice anche l’Apostolo che in se stesso combatte le potenze esterne. Dice infatti: Non dobbiamo noi combattere contro la carne e il sangue, ma contro i principi e le potestà di questo mondo, contro coloro che governano queste tenebre, contro gli spiriti di malizia negli spazi celesti 10. Cielo infatti è chiamato anche questo spazio, dove i venti e le nubi e le tempeste e i turbini si avvicendano; come infatti anche la Scrittura dice in molti passi: E il Signore tuonò dal cielo 11; e gli uccelli del cielo 12 e i volatili del cielo 13; essendo chiaro che gli uccelli volano nell’aria. Anche noi abitualmente chiamiamo cielo quest’aria: infatti quando domandiamo intorno al tempo sereno o nuvoloso, talvolta diciamo: "com’è l’aria?", talvolta: "com’è il cielo?". Dico ciò affinché nessuno pensi che i cattivi demoni abitano là dove Dio dispose il sole, la luna e le stelle. Questi cattivi demoni perciò l’Apostolo chiama spirituali 14, perché anche gli angeli cattivi sono chiamati spiriti nelle divine Scritture. Perciò egli li chiama rettori di queste tenebre, perché chiama tenebre gli uomini peccatori, sui quali questi dominano. Perciò dice in un altro passo: Voi foste infatti una volta tenebre; ma ora siete luce nel Signore 15; perché da peccatori erano stati giustificati. Non pensiamo dunque che il diavolo con i suoi angeli abiti nelle sommità del cielo, donde crediamo che egli sia caduto.

4. 4. Così infatti errano i manichei, i quali affermano che prima della creazione del mondo vi era stato un popolo di tenebre che si ribellò contro Dio. Quegli sventurati credono che in quella guerra Dio onnipotente non poté altrimenti aiutare se stesso se non inviando una parte di sé contro quella razza. I principi di quella razza, come essi dicono, divorarono la parte di Dio e si organizzarono in modo tale che il mondo potesse essere costruito da loro. Così affermano che Dio giunse alla vittoria con grandi disgrazie e tormenti e miserie delle sue membra; queste membra, dicono, essersi poi mescolate alle viscere tenebrose dei loro principi, per calmarli e frenarli dal loro furore. E non capiscono che la loro setta è tanto sacrilega da credere che Dio onnipotente abbia combattuto con le tenebre non per mezzo della creatura che egli aveva fatto, ma per mezzo della sua propria natura: credere ciò è un’empietà. Né affermano solo ciò, ma anche che quelli stessi che furono vinti divennero migliori per il fatto che il loro furore fu frenato e che la natura di Dio, che in realtà vinse, divenne miserrima. Dicono anche che essa per questa mescolanza abbia perduto l’intelletto e la sua felicità e si sia trovata implicata in gravi errori e rovine. Se dicessero che la natura di Dio si sia in parte completamente purificata, affermerebbero tuttavia una grande empietà contro Dio onnipotente, del quale una parte crederebbero essere stata esposta per tanto tempo ad errori e pene senza alcuna responsabilità di peccato. Ora quegli sventurati osano dire che non può purificarsi tutta completamente, e che quella stessa parte che non si è potuta purificare, è destinata alla necessità di essere avvolta e legata alla rovina del sepolcro; e così una parte di Dio che per niente ha peccato rimane sempre ivi misera, ed è punita in eterno col carcere delle tenebre. Questo essi dicono per ingannare le anime semplici. Ma chi è così semplice da non accorgersi che sono cose sacrileghe quando affermano che Dio onnipotente è stato oppresso dalla necessità, così da permettere che la sua parte buona e innocente fosse ricoperta da tante grandi rovine e macchiata da tanta immondezza e non potesse liberarla completamente, e legasse con vincoli eterni ciò che non ha potuto liberare? Chi dunque non rigetterebbe simili cose? Chi non capirebbe che queste cose sono empie e nefande? Ma essi quando ingannano gli uomini non parlano di questi argomenti per primo; se ne parlassero sarebbero derisi o sarebbero respinti da tutti; scelgono invece quei capitoli delle Scritture che gli uomini semplici non capiscono e per mezzo di quelli ingannano le anime inesperte, domandando loro donde provenga il male. Così fanno a proposito di un testo dell’Apostolo dov’è scritto: I principi di queste tenebre e gli spiriti del male nei cieli 16. Quegli ingannatori cercano l’uomo che non comprende le divine Scritture e gli dicono donde siano in cielo i principi delle tenebre; così non avendo egli potuto rispondere, possano trascinarlo attraverso la loro curiosità; poiché ogni anima ignorante è curiosa. Chi invece conosce bene la fede cattolica ed è munito di buoni costumi e vera pietà, sebbene ignori la loro eresia, tuttavia risponde loro. Né può essere ingannato colui che ormai conosce quello che appartiene alla fede cristiana, che è chiamata cattolica, diffusa nel mondo, protetta dalla Provvidenza divina contro tutti gli empi e i peccatori e quelli suoi che la trascurano.

5. 5. Abbiamo dunque detto che l’apostolo Paolo ha affermato che noi lottiamo contro i capi delle tenebre e le potenze spirituali del male che abitano nei cieli, e abbiamo anche provato che questo spazio aereo prossimo alla terra si chiama cielo; bisogna credere che noi combattiamo contro il diavolo e i suoi angeli, i quali godono dei nostri turbamenti. Lo stesso Apostolo infatti in un altro passo chiama il diavolo principe della potenza dell’aria 17. Sebbene il passo dove dice: Gli spiriti del male che occupano gli spazi celesti 18, si possa intendere diversamente, di modo che egli non ha detto che sono gli stessi angeli prevaricatori negli spazi celesti, ma piuttosto noi, dei quali in altro passo dice: La nostra dimora è nei cieli 19, affinché noi stabiliti negli spazi celesti, cioè camminando nei precetti spirituali di Dio, combattiamo contro gli spiriti del male che tentano di distrarci di là. Perciò bisogna cercare di più in che modo possiamo combattere e vincere contro quelli che non vediamo, affinché gli stolti non pensino che noi dobbiamo combattere contro l’aria.

6. 6. Pertanto lo stesso Apostolo insegna dicendo: Io non combatto per così dire battendo l’aria, ma castigo il mio corpo e lo riduco in servitù, affinché predicando agli altri, per caso non sia io riprovato 20. Quindi aggiunge: Siate miei imitatori come anch’io lo sono di Cristo 21. Perciò bisogna intendere che anche lo stesso Apostolo abbia trionfato in se stesso delle potenze di questo mondo 22, come aveva detto del Signore di cui si professa imitatore 23. Imitiamo dunque anche noi lui, come ci esorta e castighiamo il nostro corpo e riduciamolo in schiavitù, se vogliamo vincere il mondo. Poiché questo mondo ci può dominare per mezzo dei piaceri illeciti e le vanità e la pericolosa curiosità, cioè quelle cose che allettano gli amanti dei piaceri temporali con dannoso piacere in questo mondo e li costringono a servire al diavolo ed ai suoi angeli: se abbiamo rinunziato a tutte queste cose, riduciamo il nostro corpo in schiavitù.

7. 7. Ma affinché nessuno chieda in che modo dobbiamo sottomettere il nostro corpo a schiavitù, si può facilmente capire e può avvenire se sottomettiamo a Dio per prima noi stessi con buona volontà e sincera carità. Infatti ogni creatura voglia o non voglia è soggetta a un solo Dio e suo Signore. Ma di ciò siamo ammoniti, a servire al Signore Dio nostro con tutta la volontà. Poiché il giusto serve liberamente, l’ingiusto invece serve in catene. Tutti però servono alla divina Provvidenza; ma alcuni obbediscono come figli e con essa fanno ciò che è bene, altri poi sono legati come schiavi e di essi avviene ciò che è giusto. Così Dio onnipotente, Signore di tutte le creature, il quale creò tutte le cose, com’è scritto, assai buone 24 le ha ordinate in modo che riesca del bene dalle cose buone e dalle cose cattive. Ciò che si fa con giustizia è fatto bene. Giustamente i buoni sono beati e giustamente i cattivi pagano le pene. Dio dunque ricava il bene e dai buoni e dai cattivi, poiché fa tutto con giustizia. Buoni sono coloro che con tutta la loro volontà servono a Dio; i cattivi servono per necessità: nessuno sfugge infatti alle leggi dell’Onnipotente. Ma altro è fare ciò che la legge comanda, altro è sopportare ciò che la legge comanda. E quindi i buoni agiscono secondo le leggi, i cattivi soffrono secondo le leggi.

7. 8. E non ci sconvolga il fatto che in questa vita secondo la carne che essi portano, i giusti sopportino molti mali gravosi e difficili. Infatti, non soffrono alcun male coloro che ormai possono dire ciò che quell’uomo spirituale, l’Apostolo, canta con esultanza e predica dicendo: Noi ci vantiamo anche nelle tribolazioni, ben sapendo che la tribolazione produce la pazienza, la pazienza la virtù provata e la virtù provata la speranza. La speranza poi non delude, perché l’amore di Dio è stato riversato nei nostri cuori per mezzo dello Spirito Santo che ci è stato dato 25. Se dunque in questa vita, dove vi sono tanti grandi travagli, gli uomini buoni e giusti, quando sopportano tali sofferenze, possono non solo tollerarle con animo sereno, ma anche gloriarsi nell’amore di Dio, che cosa pensare di quella vita che ci è promessa, dove nessuna molestia sentiremo da parte del corpo? In effetti il corpo dei giusti non risorgerà per lo stesso scopo per cui risorgerà il corpo degli empi. Come sta scritto: Tutti risorgeremo, ma non tutti saremo trasformati 26. E affinché nessuno creda che questa trasformazione non è promessa ai giusti, ma piuttosto agli ingiusti, e non consideri che essa procuri pena, l’Apostolo prosegue e dice: E i morti risorgeranno incorrotti e noi saremo trasformati 27. Tutti i cattivi dunque sono ordinati in modo tale che ciascuno nuoce a se stesso e tutti si danneggiano vicendevolmente. Infatti desiderano ciò che è amato in modo pernicioso e ciò che ad essi può essere facilmente portato via; e queste cose portano via a se stessi a vicenda quando si perseguitano. E così sono angustiati coloro ai quali vengono tolti i beni temporali, perché li amano; al contrario coloro che se ne impossessano, godono. Ma una siffatta gioia è cecità e somma miseria: infatti coinvolge ancor più l’anima conducendola a tormenti sempre più grandi. Anche il pesce è contento, quando, non vedendo l’amo, divora l’esca. Ma appena il pescatore comincia a tirarlo, per primo vengono attorcigliate le sue viscere, in seguito, da tutto quel piacere per mezzo di quella stessa esca dalla quale era stato attratto, è trascinato alla morte. Similmente accade di tutti coloro che si reputano felici per i beni terreni. Abboccano, infatti, all’amo, e con quello vanno errando. Verrà il tempo quando sentiranno quanti tormenti avranno divorato con l’avidità. E ai buoni non arrecano danno per nulla, perché viene tolto loro ciò che essi non amano. Infatti, nessuno può loro sottrarre ciò che essi amano, e per cui sono felici. Il tormento del corpo affligge miseramente le anime malvagie, invece purifica fortemente quelle buone. Così avviene che l’uomo cattivo e l’angelo cattivo combattono per disposizione della divina Provvidenza, ma ignorano quale bene Dio trae da loro. E quindi vengono ricompensati non per i meriti del loro servizio, ma per i meriti della loro malizia. 

Perseguitato a causa della Verità

Oggi la Chiesa Cattolica ricorda il martirio di San Giovanni Battista, un uomo mite che ha vissuto la sua vita in totale distacco dalle cose terrene. Il suo martirio viene narrato dettagliatamente nel Vangelo di Marco: dalla narrazione evangelica sappiamo già che egli era stato arrestato tempo prima, sicuramente a causa delle continue prediche del profeta che "imbarazzavano" il povero Erode che però non nutriva in sé odio, tant'è che dal Vangelo di Marco scopriamo che a volere la morte del Battista altri non è che la moglie di Erode! Infatti, San Giovanni Battista, nelle sue prediche,chiamava in causa proprio Erodiade in quanto ella non poteva esser presa in moglie da Erode, perché già moglie di Filippo, fratello di Erode. Venendo meno a questo comando, Erode aveva commesso un peccato molto grave poiché aveva violato la Legge di Dio impunemente e giustamente San Giovanni Battista lo aveva più volte ripreso, a gran voce. 
Erode non vuole però nuocere al profeta e lo fa solamente rinchiudere: ma Erodiade sembra non veder l'ora di poter togliere di mezzo il Battista e sicuramente lo avrebbe fatto immediatamente, se non fosse stato per Erode, così come ci ricorda l'evangelista Marco. Alla fine, attraverso un sottile gioco psicologico, approfittando di una situazione favorevole (un giuramento di Erode alla figlia Salome), riesce ad ottenere ciò che voleva e cioè la testa del Battista. Ma quale il motivo di tanto odio e risentimento? Proprio la testimonianza della Verità che Erodiade non voleva ascoltare, perché così avrebbe perso la giustificazione al proprio peccato e chissà se i sensi di colpa non avrebbero cominciato a farsi sentire nel suo cuore.

Questo è comunque un evento carico di significato profetico: infatti, San Giovanni Battista lo possiamo quasi definire come uno dei primi martiri cristiani, pronto a sacrificare la propria vita per amore della Verità rappresentata da Gesù Cristo. Dopo di lui, moltissimi altri cadranno allo stesso modo, per aver dato testimonianza a Cristo e alla Verità che Egli aveva trasmesso agli uomini. Se San Giovanni Battista rappresenta il perseguitato a causa della Verità, Erodiade rappresenta invece l'altra faccia della medaglia e cioè il persecutore che non vuole ascoltare quella Verità che smaschera le tenebre e risveglia la coscienza. Badate bene che questo è ciò che avviene ancora oggi: appena la Chiesa alza la voce contro il peccato, subito si alza lo stuolo di accusatori che tenta di minarne la credibilità e di attaccarne le fondamenta, anche quelle storiche. Ciò avviene, ad esempio, quando il Papa si esprime contro l'aborto, l'eutanasia, l'omosessualità e tutti quei peccati che oggi si vogliono liberalizzare in nome di una modernità fasulla: infatti, la Parola di Dio è eterna ed il peccato non muta a seconda del tempo. Ciò che è immorale, resta tale anche attraverso il tempo. 
Per questo, carissimi, non dobbiamo meravigliarci se il mondo continua ad accusare la Chiesa e a perseguitarne i membri coraggiosi che evangelizzano anche in quelle terre dove la persecuzione fisica è all'ordine del giorno: fintantoché ci saranno persone come Erodiade che amano il peccato e che non vogliono ascoltare chi sottolinea il loro peccato, allora ci saranno le persecuzioni, le infamie, gli attacchi e tutto ciò che ne consegue. La Chiesa Cattolica è il San Giovanni Battista di questa generazione (ed ovviamente di quelle passate e future): la sua voce non potrà dunque esser soffocata né dalla minaccia, né dall'intimidazione e né tantomeno dagli attacchi demagogici e anticlericali.

 

Da "Le Confessioni" di Sant'Agostino

Eccezionalmente oggi pubblichiamo un secondo post conclusivo a memoria di Sant'Agostino d'Ippona del quale abbiamo celebrato la memoria in questa giornata. Pubblichiamo uno stralcio da "Le Confessioni" del celebre Dottore della Chiesa:


Dal Libro XIII de "Le Confessioni" di Sant'Agostino d'Ippona, Vescovo e Dottore della Chiesa:

Invocazione a Dio buono
1. 1. T’invoco, Dio mio, misericordia mia, che mi hai creato e non hai dimenticato chi ti ha dimenticato. T’invoco nella mia anima, che prepari a riceverti col desiderio che le ispiri. Non trascurare ora la mia invocazione. Tu mi hai prevenuto prima che t’invocassi, insistendo con appelli crescenti e multiformi affinché ti ascoltassi da lontano e mi volgessi indietro chiamando te che mi richiamavi. Tu, Signore, cancellasti tutte le mie azioni cattive e colpevoli per non dover punire le mie mani, con cui ti ho fuggito; prevenisti invece tutte le mie azioni buone e meritevoli, per poter premiare le tue mani, con cui mi hai foggiato. Tu esistevi prima che io esistessi, mentre io non esistevo così che potessi offrirmi il dono dell’esistenza. Eccomi invece esistere grazie alla tua bontà, che prevenne tutto ciò che mi hai dato di essere e da cui hai tratto il mio essere. Tu non avevi bisogno di me, né io sono un bene che ti possa giovare, Signore mio e Dio mio. Il mio servizio non ti risparmia fatiche nell’azione, la privazione del mio ossequio non menoma la tua potenza, il mio culto per te non equivale alla coltura per la terra, così che saresti incolto senza il mio culto. Io ti devo servizio e culto per avere da te la felicità, poiché da te dipende la mia felicità.

Se qualcuno vuol venire dietro a me, prenda la sua croce e mi segua

Concludiamo la giornata liturgica attraverso l'ormai consueto appuntamento di meditazione con le riflessioni di noti sacerdoti e movimenti religiosi. Oggi riflettiamo attraverso le parole di mons. Gianfranco Poma:


Il brano che la Liturgia della domenica XXII del tempo ordinario ci offre, (Mt.16,21-27) fa parte della sezione del Vangelo di Matteo, nella quale si alternano fatti e dialoghi con cui Gesù manifesta la preoccupazione di formare i discepoli che saranno la base della sua Chiesa, in particolare Pietro, la roccia sulla quale essa sarà edificata. Siamo nel cuore della rivelazione evangelica: l'identità di Gesù, la Chiesa, l'identità di Pietro, archetipo di tutti i discepoli, la relazione tra Gesù e i suoi discepoli, la novità della relazione con Dio, la novità dell'esperienza che Gesù propone a chi lo segue, in rapporto all'esperienza ebraica sulla quale rimane innestata, sono i temi presenti in questa pagina che la Liturgia ci ripropone. Si tratta di una pagina nella quale lo sfondo dell'Antico Testamento è evidente: uno studio attento deve ricollocare il Vangelo nel contesto dell'esperienza ebraica nel quale è nato, per poter comprendere la sua radicale novità.
"Tu sei il Cristo, il Figlio del Dio vivente". A questa professione di fede di Pietro, Gesù risponde: "Beato sei tu, Simone, figlio di Giona, perché né carne né sangue te l'hanno rivelato, ma il Padre mio che è nei cieli". Se formalmente la professione di fede di Pietro potrebbe essere ricondotta all'attesa dell'A.T., la risposta di Gesù rivolta personalmente a Pietro, lo conduce a prendere coscienza di una radicale novità: "né la carne né il sangue" cioè non un semplice ragionamento umano e neanche la semplice appartenenza alla tradizione del suo popolo hanno fatto conoscere a Pietro l'identità profonda di Gesù, ma una rivelazione personale del Padre. Gesù è il Figlio del Dio vivente, mandato all'umanità, e lo è in senso reale, non nel senso generico nel quale anche il re, o ogni uomo nell'A.T. è chiamato figlio di Dio. Gesù rivela a Pietro che il Padre gli ha aperto la via per un'esperienza nuova: entrare nell'intimità della vita del Figlio, per gustare l'esperienza della vita di Dio. Anche Paolo parla della rivelazione del Figlio di Dio comunicata a lui, quasi in termini identici (Gal.1,16): questa rivelazione ha fatto di Paolo l'apostolo, e di Pietro la roccia sulla quale Gesù ha edificato la Chiesa, contro la quale le forze del male non prevarranno. Gesù, questo concreto "Tu" al quale Pietro parla, è il Figlio del Dio vivente, è questo "Uomo" attraverso il quale Dio dona al mondo l'inesauribile ricchezza del suo amore: nessuna forza del male potrà mai prevalere sull'Amore che è Dio.
Da questa esperienza di Pietro, prende inizio una storia nuova, la storia della manifestazione di Gesù, il Figlio del Dio vivente, la manifestazione misteriosa dell'Amore che è Dio, e prende inizio la storia della conversione di Pietro chiamato ad abbandonare le categorie umane con cui normalmente pensa Dio, l'uomo e il rapporto tra l'uomo e Dio.
"Da quel momento, scrive Matteo, Gesù cominciò a mostrare ai suoi discepoli." Ogni parola del Vangelo, in questo contesto, richiede la nostra attenzione: la professione di fede di Pietro è un nuovo inizio. Adesso Pietro ha una chiave interpretativa nuova della storia: il verbo "iniziare" ha un valore grande nella Bibbia. Non per nulla la prima parola della Bibbia, come pure del Vangelo di Marco e di Giovanni, è proprio "in principio". Nel corpo dei Vangeli l' "inizio" segna sempre l'azione di Gesù: Gesù fa nuove le cose, le apre ad un senso sempre nuovo.
Adesso Gesù comincia a "mostrare", non costruisce nuove teorie, anzi, sottolinea ancora più di prima la concretezza della sua vita, l'aderenza alla quotidianità della sua storia: "comincia a mostrare" che cosa significhi essere il Figlio del Dio vivente, vivere tutto nella dimensione del Figlio del Dio vivente, vivere nel tempo e nella storia, nel frammento, nella fragilità, nel limite, l'infinito dell'Amore di Dio.
"Comincia a mostrare": è l'inizio del guardare la storia non scandalizzandosi di Dio, è l'inizio di uno sguardo sulla storia che non terminerà più.
"Gesù cominciò a mostrare ai suoi discepoli che bisogna che egli vada a Gerusalemme, soffra molto da parte degli anziani, dei capi dei sacerdoti, degli scribi e venga ucciso e poi risorga il terzo giorno": la costruzione raffinata della frase con il passaggio dei verbi dall'aoristo al presente, ci invita a pensare che, se Gesù parla della propria esperienza, nello stesso tempo vede in essa, simbolicamente presente tutta la storia. In questa frase sintetizza tutta la sua esperienza filiale: "bisogna" che egli viva abbandonato totalmente nel Padre, dal quale riceve tutto. Bisogna che ascolti la Parola del Padre e la viva come volontà di amore, sempre, perché il Padre ama il Figlio. Bisogna che vada a Gerusalemme per mostrare al suo popolo che cosa significhi essere il popolo di Dio. Bisogna che soffra da parte di coloro che pensano di conoscere la Parola di Dio e di poterla gestire, ma in realtà l'hanno rinchiusa in una legge che uccide la libertà e uccide l'uomo. Bisogna che discenda, svuotandosi di ogni idolatria di potere o di autoaffermazione per essere soltanto ciò che il Padre vuole che sia, per essere solo strumento della forza del Padre che è Amore. Tutto questo perché bisogna che "il terzo giorno risorga": "il terzo giorno" non è una indicazione cronologica, ma qualitativa, è il giorno senza tramonto, è il tempo pieno di senso. Il Figlio vive solo del Padre che lo genera: solo svuotandosi di ciò che è inautentico, ipocrita, idolatrico comincia a vivere di ciò che vale, solo vivendo di amore vive di Dio.
L'esperienza di Pietro dà inizio alla storia della presenza del Figlio del Dio vivente con gli uomini e dà inizio (la traduzione italiana omette lo stesso verbo "cominciò") alla storia della sua fede, della fede della Chiesa e della fede di ogni credente. La professione di fede è l'inizio del cammino di fede di Pietro: anche Paolo, il grande apostolo ha dovuto imparare a spogliarsi di se stesso, ad ascoltare le parole del Signore: "Ti basta la mia grazia: la forza si manifesta pienamente nella debolezza" (2Cor. 12,9). A Pietro, entusiasta, generoso, appassionato del suo Signore, Gesù, subito, ha rivolto la sua Parola, forte, ma piena di amore: "Tu mi sei di ostacolo, perché tu non pensi secondo Dio, ma secondo gli uomini". Anche Paolo chiede ai suoi discepoli: "Offrite i vostri corpi come sacrificio vivente, santo e gradito a Dio. Non conformatevi alla mentalità di questo mondo, ma trasformatevi rinnovando la vostra mente, per poter discernere la volontà di Dio, ciò che è buono, a lui gradito e perfetto". (Rom.12,2). A Pietro, alla Chiesa, a ciascuno di noi Gesù chiede di porci, in ogni momento la domanda: "Io penso secondo Dio o secondo il mio pensiero umano?" Il Figlio del Dio vivente ci chiede di abbandonare il nostro modo umano di pensare, di valutare, di progettare il successo, la riuscita, dimenticando che la forza di Dio passa attraverso la fragilità, l'abbandono in Lui, la nostra Croce, l'Amore.

Monica e Agostino in estasi a Ostia

Oggi la Chiesa Cattolica ha celebrato la figura di Santa Monica, madre di Sant'Agostino d'Ippona. Santa Monica è stata una continua perseveranza: possiamo dire, senza tentennamento alcuno, che lei incarna la parola perseveranza, in quanto non ha mai perso né la fede né la speranza, nemmeno quando il marito e il figlio le davano continui dolori. La preghiera è stata la sua compagna di vita ed è proprio attraverso la preghiera incessante che è sbocciato quel fiore che noi conosciamo come Sant'Agostino. Per questo noi vogliamo oggi ricordarla, per dare speranza e forza a tutte le mamme che oggi lottano per educare e guidare i propri figli in una società che propina modelli di forte diseducazione e di scristianizzazione: la vogliamo ricordare attraverso il ricordo di suo figli Agostino che nelle "Confessioni" si sofferma su di un particolare episodio di incontro ed estasi...:

Pochi giorni prima che lei morisse... accadde, credo per misteriosa disposizione delle tue vie, che ci trovassimo lei ed io soli... C’era un grande silenzio... Parlavamo, fra noi, soavissimamente, dimentichi del passato e protesi verso l’avvenire. Ci domandavamo, davanti alla presenza della verità e cioè di te, o Signore, quale fosse mai quella vita eterna dei beati che “nessun occhio vide, nessun orecchio udì, che rimane inaccessibile alla mente umana”. 

Aprivamo avidamente il nostro cuore al fluire celeste della tua fonte, la fonte della vita, che è in te, per esserne un poco irrorati, per quanto era possibile alla nostra intelligenza, e poterci così formare un’idea di tanta sublimità. 
Eravamo giunti alla conclusione che qualsiasi piacere dei sensi del corpo, anche nel maggior splendore fisico, non solo non deve essere paragonato alla felicità di quella vita, ma nemmeno nominato; ci rivolgemmo poi con maggior intensità d’affetto verso l’“Ente in sé”, ripercorrendo a poco a poco tutte le creature materiali fin su al cielo da cui il sole, la luna e le stelle mandano la loro luce sulla terra.

E la nostra vista interiore si spinse più in alto, nella contemplazione, nell’esaltazione, nell’ammirazione delle tue opere; e arrivammo al pensiero umano, e passammo oltre, per raggiungere le regioni infinite della tua inesauribile fecondità, nelle quali nutri Israele con il cibo della verità, dove la vita è la sapienza che dà l’essere a tutte le cose presenti, passate e future: ed essa non ha successione, ma è come fu, come sarà, sempre. Anzi meglio, non esiste in lei un “fu”, un “sarà”, ma solo “è”, perché è eterna: il fu e il sarà non appartengono all’eternità. 

E mentre parlavamo e anelavamo ad essa la cogliemmo un poco con lo slancio del cuore e sospirando vi lasciammo unite le primizie dello spirito per ridiscendere al suono delle nostre labbra, dove la parola trova il suo inizio e la sua fine. Quale possibilità di confronto tra essa e il tuo Verbo, che permane in se stesso, e non invecchia e rinnova tutto? (Confessioni X).

Omelia Card. Angelo Bagnasco: Io sono il Buon Pastore

Carissimi, terminiamo la nostra giornata sulla Vigna meditando sul sacerdozio attraverso l'omelia pronunciata dal Cardinale Angelo Bagnasco lo scorso 3 Luglio:


Omelia del Cardinale Angelo Bagnasco

Santuario di Montignoso, Diocesi di Volterra,
3 luglio 2011




Carissimi Fratelli e Sorelle nel Signore


Sono lieto di essere con voi per la gioia di due nuovi Sacerdoti. Mi unisco alla riconoscenza che la Famiglia dei Servi del Cuore Immacolato di Maria eleva al divino Maestro, sapendo che il Sacerdote è un grande dono non solo per la Chiesa ma anche per l'umanità intera. Se da una parte con questo dono il Signore vuol farvi sentire la sua presenza e la sua guida, dall'altra conferma e rilancia la gioia e lo zelo sacerdotali perché siamo Pastori generosi del suo popolo. Ogni anima, infatti, merita tutta l nostra attenzione e dedizione, perché è salvata dal preziosissimo sangue di Cristo, è amata dal suo infinito amore.
Carissimi Don Andrea e Don Daniele, state per diventare Sacerdoti di Cristo: per sempre suoi, per sempre della Chiesa, figli di questo Istituto religioso intitolato e dedicato al Cuore Immacolato di Maria. Per sempre! Come deve risuonare forte e dolce questo "per sempre": ai vostri cuori, ma anche ai nostri, di noi già Sacerdoti che in voi rinnoviamo i sentimenti, le emozioni, i propositi della nostra Ordinazione!


1. Prostrati sulla nuda terra


La Liturgia di consacrazione è di per sé eloquente e commovente. Basta guardare e lasciarsi prendere dalla bellezza del rito. Tra poco vi prostrerete sulla nuda terra e in quel gesto esprimerete la coscienza di essere di fronte al mistero grande di Dio; la coscienza di essere piccola cosa, ma che Dio chiama a sé, per sé e per il mondo. Anche Mosè e i Profeti, nell'Antico Testamento, fecero tale esperienza: essi cercarono di tirarsi indietro intimoriti. Si prostrarono a piedi nudi davanti al Signore e chiesero di essere esonerati tanto sentivano la propria indegnità di fronte alla grandezza e al peso della missione. Ma Dio non si è tirato indietro: li ha sedotti con la forza dell'amore. Vedervi prostrati ci ricorderà quello che noi siamo: il Signore ci ha scelti nonostante noi. Non dimenticatelo mai: vi preserverà da pensieri sciocchi di vanità, da ambizioni inutili, da protagonismi dannosi per voi e per le anime. Ricordate che soprattutto i giovani, oggi, sono esigenti nei confronti del Sacerdote. Lo vogliono vedere accanto a loro ma migliore in tutto, dall'esterno all'interno: vogliono cogliere – e restano feriti quando vedono il contrario – la nobiltà dei sentimenti, la trasparenza del cuore, la disponibilità fino al sacrificio, la capacità di ascolto, la pazienza, la delicatezza del gesto, la compostezza della persona. Ma, soprattutto, vogliono vedere nel Sacerdote l'uomo di Dio, colui che sa insegnare a loro la via del cielo.


2. Le litanie dei Santi


Sopra le vostre persone prostrate invocheremo i Santi. E' un altro gesto della Liturgia che ha un grande e commovente valore. Ciò che sta per accadere in voi è talmente grande che la Chiesa sente di dover invocare tutto il Cielo. E' come se l'orizzonte terreno venisse meno e si spalancassero le porte del Paradiso: con la certezza della fede saremo trasportati in alto come da un vortice di luce, come in cima al mondo. Ciò che accade, infatti, - il dono del sacerdozio – è per il mondo intero, e l'Eucaristia che celebrerete ogni giorno è la ripresentazione del sacrificio del Calvario.


Dall'alto di quel monte scende il sangue e l'acqua della vita eterna sull' umanità sino alla fine del mondo. Ogni gesto vostro, ogni parola, ogni atto di vicinanza e di dedizione, deve derivare da Cristo, portare a Cristo e ritornare a Cristo. Altrimenti tutto si perde. I Santi che invocheremo non solo pregheranno per voi oggi e sempre, ma vi richiameranno ogni giorno alla santità. Lo Spirito Santo è il principale artefice della santità: Egli vi attende non fuori, ma dentro al vostro imminente ministero. Come scriveva il Beato Edoardo Poppe, "dobbiamo santificare noi stessi mediante l'apostolato. Dobbiamo aver cura che il nostro apostolato derivi e sbocci dalla nostra vita interiore" (Vita sacerdotale). Non sminuite mai, cari amici, la grandezza del vostro Sacerdozio: la dignità che ne deriva vi farà sentire più umili e servitori di tutti, a cominciare dai più deboli e bisognosi.


3. Il Vangelo del buon Pastore


Il Vangelo che abbiamo ascoltato resterà scolpito per sempre nelle vostre anime. Sia come il tonus firmus del Sacerdozio che oggi vi viene donato dalla Chiesa per le mani del Vescovo. Il buon Pastore conosce le sue pecorelle per nome – e questo può non essere troppo difficile neppure oggi – ma soprattutto ha coraggio, non fugge davanti ai lupi, al pericolo. I lupi si possono insinuare dentro di noi, innanzitutto: per questo dobbiamo custodire noi stessi, il nostro mondo interiore, perché non venga dilapidato e devastato senza che ce ne accorgiamo. Ecco la cura prioritaria della vita spirituale e, in particolare, della vostra intimità con il Signore: non basta la preghiera liturgica se non si arriva a nutrire il rapporto personale e continuo con Cristo. L'amore ha bisogno di silenzio, di intimità, di solitudine, di tempo. E' questo rapporto con Lui che riempie il cuore, nient'altro.
Ma il buon Pastore è chiamato ad affrontare anche i lupi che vengono da fuori e insidiano il gregge, lo vogliono dilaniare e disperdere. E questa sfida richiede un altro tipo di coraggio, quello che sa superare il rispetto umano che indurrebbe a lasciar correre, a tacere, a far finta di niente perché "oggi si pensa e si fa così", e quindi parrebbe controproducente indicare, richiamare, correggere con umiltà e fermezza. Il Santo Padre Benedetto XVI ci offre un esempio luminoso e provvidenziale di come il Pastore non fugge di fronte alle difficoltà, di come parla perché la fede del popolo non sia disgregata dal dubbio e dalla confusione, perché la fede e l'agire morale siano confermati nella verità. E questo compito richiede non di rado la vita.
Ma il Vangelo fa emergere anche un'altra dimensione: l'ansia missionaria. Il Pastore non si dà pace pensando che ci sono altre pecore che non conoscono i pascoli alti della vita eterna, il segreto della vera gioia. E' un'ansia buona, serena, perché d'amore e di fiducia, ma che ugualmente sollecita e sospinge a guardarsi attorno, a non perdere occasione per dire all'uomo d'oggi che Gesù è la nostra Speranza.
Non possiamo dimenticare, infine, che voi appartenete alla Famiglia dei Servi del Cuore Immacolato di Maria. Quale intonazione aggiunge al vostro Sacerdozio? Direi il messaggio di Fatima: esso si riassume nella preghiera, la penitenza per la conversione dei peccatori, l'obbedienza d'amore al Santo Padre. E' qualcosa che la Madonna ha ricordato a tutti, ma in modo particolare ricorda a noi Ministri di Dio, sapendo che la nostra devozione filiale alla Santa Vergine dona al Sacerdozio una fecondità e una luce del tutto unici. Non temete cari Amici: Lei, Regina degli Apostoli e Madre dei Sacerdoti, vi accompagnerà come solo una madre sa fare. E sarete Sacerdoti sereni e santi.

Angelo Card. Bagnasco

Omelia tratta dal sito dell'Arcidiocesi di Genova: http://www.diocesi.genova.it

Un re giusto rende prospera la terra

In un momento di forte sfiducia nelle istituzioni governative, la Chiesa Cattolica si ritrova a celebrare la figura di San Ludovico Re che la fede attiva sia in tempo di pace sia nel corso delle guerre intraprese per la difesa dei cristiani, la giustizia nel governo, l’amore verso i poveri e la costanza nelle avversità resero celebre. Unitosi in matrimonio, ebbe undici figli che educò ottimamente e nella pietà. Per onorare la croce, la corona di spine e il sepolcro del Signore impegnò mezzi, forze e la vita stessa (Martirologio Romano). Oggi ci ritroviamo a riflettere su di un breve passo tratto dal "Testamento spirituale al figlio" nel quale San Ludovico ricorda al figlio le virtù di un re giusto (le stesse virtù che dovrebbero contraddistinguere i governatori del mondo odierno): 

Dal “Testamento spirituale al figlio” di San Ludovico Re
Un re giusto rende prospera la terra
 
Figlio carissimo, prima di tutto ti esorto ad amare il Signore Dio tuo con tutto il cuore e con tutte le tue forze. Senza di questo no c’é salvezza. Figlio, devi tenerti lontano da tutto ciò che può dispiacere a Dio, cioé da ogni peccato mortale. E’ preferibile che tu sia tormentato da ogni genere di martirio, piuttosto che commettere un peccato mortale. Inoltre, se il Signore permetterà che tu abbia qualche tribolazione, devi ringraziando, e sopportarla volentieri, pensando che concorre al tuo bene e che forse te la sei ben meritata. Se poi il Signore ti darà qualche prosperità, non solo lo dovrai umilmente ringraziare, ma bada bene a non diventar peggiore per vanagloria o in qualunque altro modo, bada cioé a non entrare in contrasto con Dio o offenderlo con i suoi doni stessi.
Partecipa devotamente e volentieri alle celebrazioni della Chiesa. Non guardare distrattamente in giro e non abbandonarti alle chiacchiere, ma prega il Signore con raccoglimento, sia con la bocca che con il cuore. Abbi un cuore pietoso verso i poveri, i miserabili e gli afflitti. Per quanto sta in te, soccorrili e consolali. Ringrazia Dio di tutti i benefici che ti ha elargiti, perché tu possa renderti degno di riceverne dei maggiori. Verso i tuoi sudditi compòrtati con rettitudine, in modo tale da essere sempre sul sentiero della giustizia, senza declinare né a destra né a sinistra. Stà sempre piuttosto dalla parte del povero anziché del ricco, fino a tanto che non sei certo della verità.

Abbi premurosa cura che tutti i tuoi sudditi si mantengano nella giustizia e nella pace, specialmente le persone ecclesiastiche e religiose. Sii devoto e obbediente alla Chiesa Romana, madre nostra, e al Sommo Pontefice come a padre spirituale. Procura che venga allontanato dal tuo territorio ogni peccato, e specilamente la bestemmia e le eresie. Figlio carissimo, ti do infine tutte quelle benedizioni che un buon padre può dare al figlio. La Trinità e tutti i santi ti custodiscano da ogni male. Il Signore ti dia la grazia di fare la sua volontà, perché riceva onore e gloria per mezzo tuo e, dopo questa vita, conceda a tutti noi di giungere insieme a vederlo, amarlo e lodarlo senza fine. Amen.(Acta Sanctorum Augusti 5 [1868], 546)

San Ludovico (Luigi IX Re di Francia)

Uniformità alla Volontà di Dio - Prima parte

Oggi la nostra piccola Vigna del Signore ha avuto modo di riflettere sull'adempiere ed accettare sempre la Volontà del Signore attraverso l'esempio di un ragazzo di nome Nick Vujicic (Per chi volesse saperne di più, può andare nel nostro Osservatorio). Per questo motivo vogliamo continuare, in questa sezione, a riflettere non solo oggi, ma anche nei giorni a venire. Infatti, iniziamo oggi un breve appuntamento (ogni mercoledì) nel quale potremo meditare le parole di Sant'Alfonso Maria dé Liguori che si sofferma proprio sull'uniformità alla Volontà del Signore:

Tutta la nostra perfezione consiste nell’amare il nostro amabilissimo Dio: Charitas est vinculum perfectionis. (Col. 3.14). Ma tutta poi la perfezione dell’amore a Dio consiste nell’unire la nostra alla sua santissima volontà. Questo già è il principale effetto dell’amore, dice S. Dionigi Areopagita (de Div. Nom. c. 4.) l’unire le volontà degli amanti, sicchè abbiano lo stesso volere. E perciò quanto più alcuno sarà unito alla divina volontà, tanto sarà maggiore il suo amore. Piacciono sibbene a Dio le mortificazioni, le meditazioni, le communioni, le opere di carità verso il prossimo; ma quando? quando sono secondo la sua volontà; ma quando non vi è la volontà di Dio, non solamente egli non le gradisce, ma le abbomina, e le castiga. Se mai vi sono due servi, l’un de’ quali fatica tutto il giorno senza riposare, ma vuol fare ogni cosa a suo modo, l’altro fatica meno, ma ubbidisce in tutto: certamente il padrone amerà questo secondo, e non il primo. Che servono l’opere nostre allà gloria di Dio, quando non sono secondo il suo beneplacito? Non vuole il Signore sacrifici (dice il Profeta a Saulle), ma l’ubbidienza ai suoi voleri: Numquid vult Dominus holocausta, et victimas, et non potius, ut obediatur voci Domini? . . Quasi scelus idolatriae est nolle acquiescere. (1 Reg. 15.22) L’uomo, che vuole operare per propria volontà senza quella di Dio, commette una specie d’Idolatria, poiché allora in vece di adorare la volontà divina, adora in certo modo la sua.

Questa dunque è la maggior gloria, che noi possiamo dare a Dio, l’adempire in tutto i suoi santi voleri. Il nostro Redentore, che venne in terra a stabilire la divina gloria, questo principalmente venne ad insegnarci col suo esempio. Padre: Hostiam et oblationem noluisti, corpus autem aptasti mihi; tunc dixi ecce venio, ut faciam, Deus, voluntatem tuam. (Heb. 10.5) Voi avete rifiutate le vittime, che v’ hanno offerte gli uomini; voi volete, ch’ io vi sacrifichi il corpo, che m’ avete dato, eccomi pronto a fare la vostra volontà. E di ciò si protestò più volte, ch’ egli era venuto in terra non a fare la sua, ma solamente la volontà del suo Padre: Descendi de caelo, non ut faciam voluntatem meam, sed voluntatem ejus qui misit me. (Jo 6.38) Ed in ciò volle, che’ l mondo avesse conosciuto l’amore, che gli portava al suo Genitore, in ubbidire alla sua volontà, che lo volea sagrificato sulla croce per la salute degli uomini; così appunto disse nell’orto, allorchè andò all’incontro ai suoi nemici, che venivano a prenderlo per condurlo alla morte: Ut cognoscat mundus, quia diligo Patrem, et sicut mandatum dedit Pater, sic facio; surgite, eamus hinc. (Jo 14.31) Ed in ciò disse, ch’ egli riconoscea che fosse suo fratello, chi avesse fatta la divina volontà: Qui fecerit voluntatem Patris mei. (Matth 12.50) ipse meus frater.

Tutti i Santi in ciò hanno avuta sempre fissa la mira in fare la divina volontà, ben intendendo, che qui consiste tutta la perfezione d’un’anima.. Diceva il B. Errico Susone (l. 2. c. 4) Dio non vuole, che noi abbondiamo de’ lumi, ma che in tutto ci sottomettiamo alla sua volontà. E S. Teresa: Tutto quello, che dee procurare chi si esercita nell’orazione, è di conformare la sua volontà alla divina; e si assicuri, che in questo consiste la più alta perfezione. Chi più eccellentemente la praticherà, riceverà da Dio i più gran doni, e farà più progressi nella vita interiore. La B. Stefana da Soncino Domenicana essendo un giorno in visione condotta in cielo vide alcune persone defonte, ch’ ella avea conosciute, collocate tra i Serafini, e le fu detto, che quelle erano state sublimate a tanta gloria per la perfetta uniformità, che aveano avuta in terra alla volontà di Dio, che un Serafino colla mia.

In questa terra dobbiamo apprendere dai Beati del cielo come abbiamo da amare Dio. L’amor puro, e perfetto, che i Beati in cielo hanno per Dio, è nell’unirsi perfettamente alla sua volontà. Se i Serafini intendessero esser suo volere, che s’ impiegassero per tutta l’eternità ad ammucchiare le arene de’ lidi, o a svellere l’erbe de’ giardini, volentieri lo farebbero con tutto il lor piacere. Più; se Dio facesse loro intendere, che andassero ad ardere nel fuoco dell’Inferno, immediatamente si butterebbero in quell’abisso per fare la divina volontà. E questo è quello, che c’ insegnò a pregare Gesù Cristo, cioè l’eseguire la volontà divina in terra, come la fanno i santi in cielo: Fiat voluntas tua sicut in caelo et in terra. (Matth. 6.9)

Il Signore chiamava David l’uomo secondo il suo cuore, perché David adempiva tutti i suoi voleri: Inveni virum secundum cor meum, qui faciet omnes voluntates meas. (Act 13.22) Davide stava sempre apparecchiato ad abbracciare la divina volontà, come spesso si protestava: Paratum cor meum. Deus, paratum cor meum. (Ps. 58.8 et Ps. 107.1) E d’altro non supplicava il Signore, che d’insegnarli a fare la sua volontà: Doce me facere voluntatem tuam. (Ps. 142.10) Un atto di perfetta uniformità al divino volere basta a fare un santo. Ecco Saulo mentre va perseguitando la Chiesa, Gesù Cristo l’illumina, e lo converte. Che fa Saulo? che dice? non fa altro, che offerirsi a fare la sua vonontà: Domine, quid me vis facere? (Act 9.6) Ed ecco, che’ l Signore lo dichiara vaso d’elezione, ed Apostole deele genti: Vas ecectionis est mihi iste, ut portet nomen meum coram gentibus. (Act 9.15) Sì perché quegli, che dà la sua volontà a Dio, gli dà tutto; chi gli dà le robe colle limosine, il sangue col flagellarsi, i cibi co’ digiuni, dona a Dio parte di ciò, che tiene; ma chi gli dona la sua volontà, gli dona tutto, onde può dirgli: Signore, io son povero, ma vi dono tutto quel che posso; dandovi la mia volontà, non ho più che darvi. Ma questo appunto è il tutto, che da noi pretende il nostro Dio: Fili mi, praebe cor tuum mihi. (Prov 23.1) Figlio, dice il Signore a ciascuno, figlio, dammi il tuo cuore, cioè la tua volontà. Nihil gratius Deo (parla S. Agostino) possumus ei offerre, quam ut dicamus ei: Posside nos. No, che non possiamo offerire a Dio cosa più cara, che con dirgli: Signore possedeteci voi; noi vi doniamo tutta la nostra volontà, fateci intendere quello che da noi volete, e noi l’eseguiremo. 


(Per chi volesse leggerlo integralmente, può andare qui)

Preghiera di un pastore al Buon Pastore

Concludiamo la giornata che ci ha fatto riscoprire la figura di San Giovanni Damasceno, attraverso la lettura tratta dalla « Dichiarazione di fede » di san Giovanni Damasceno):

 Cristo mio Dio, tu hai umiliato te stesso per prendere sulle tue spalle me, pecorella smarrita, e farmi pascolare in pascolo verdeggiante e nutrirmi con le acque della retta dottrina per mezzo dei tuoi pastori, i quali nutriti da Te, han poi potuto pascere il tuo gregge eletto e nobile. Pascimi, o Signore, e pasci tu con me gli altri, perché il mio cuore non si pieghi né a destra né a sinistra, ma il tuo Spirito buono mi indirizzi sulla retta via perché le mie azioni siano secondo la tua volontà e lo siano veramente fino all’ultimo. Tu poi, o nobile vertice di perfetta purità, o nobilissima assemblea della Chiesa, che attendi aiuto da Dio; tu in cui abita Dio, accogli da noi la dottrina della fede immune da errore; con essa si rafforzi la Chiesa, come ci fu trasmesso dai Padri.

Preghiere a Maria Regina

Oggi la Santa Chiesa Cattolica onora grandemente la Beata Vergine Maria col titolo di Regina. Infatti la Madonna è Regina del Cielo e della Terra come si contempla nel quinto mistero glorioso del Santo Rosario. Vogliamo concludere questa giornata pregando la Beata Vergine Maria Regina del Cielo e della Terra con tre preghiere a Lei rivolte. La terza preghiera è stata composta dal Venerabile Pio XII. Affidiamoci tutti a Lei, alla nostra Madre e Regina dell'umanità:



A Maria Regina.


O Maria, Immacolata Madre di Dio,


con gli Angeli in luce e i Santi in letizia,


noi ti salutiamo Regina del Cielo e della terra e


ti invo­chiamo a regnare su tutte le anime.


« Per la grazia divina, di cui sei la generosa dispen­satrice,


fa che tutte le menti conoscano Dio nella ve­rità,


tutti i cuori lo amino nella carità,


tutte le volontà gli siano soggette nell'umiltà.


« E Tu poni maternamente in ciascuno di noi il tuo trono d'amore,


così che da Te scaturisca ogni nostra gioia,


in Te si quieti ogni nostro affanno,


per Te si elevi, confidente, ogni nostra preghiera.


« Affrettati - o potentissima Signora! –


affrettati a conquistare il mondo nella pace della tua carità,


per lo splendore del tuo diadema e


per l'avvento glo­rioso del Regno universale di Gesù Cristo,


tuo Figlio divino, nostro Signore. Così sia.


O degnissima Regina del Mondo, Maria sempre Vergine, intercedi per la nostra pace e salute, Tu che generasti Cristo signore, il Salvatore di tutti.


Pregiera a Maria Regina


Vi saluto, o gran Regina,


Tutto li mondo a Voi s'inchina,


Tutto il mondo fu illuminato


Dal bel frutto da Voi portato.


Illuminate la mente mia,


Vi saluto con un'Ave Maria. 


Preghiera di Pio XII a Maria Regina.


I. Dal pro­fondo di questa terra di lacrime, ove l'umanità dolo­rante penosamente si trascina; tra i flutti di questo nostro mare perennemente agitato dai venti delle pas­sioni; eleviamo gli occhi a Voi, o Maria, Madre ama­tissima, per riconfortarci contemplando la vostra glo­ria, e per salutarvi Regina e Signora dei cieli e della terra, Regina e Signora nostra. Questa vostra regalità vogliamo esaltare con legittimo orgoglio di figli e riconoscerla come dovuta alla somma eccellenza di tutto il vostro essere, o dolcissima e vera Madre di Colui che è Re per diritto proprio, per eredità, per conquista. Salve Regina...





II. Regnate, o Madre e Signora, su di noi mostran­doci il cammino della santità, dirigendoci ed assisten­doci, affinchè non ce ne allontaniamo giammai. Come nell'alto del cielo Voi esercitate il vostro primato so­pra le schiere degli Angeli che Vi acclamano loro Sovrana; sopra le legioni dei Santi, che si dilettano nella contemplazione della vostra fulgida bellezza; così regnate sopra l'intero genere umano, sopra tutto aprendo i sentieri della fede a quanti ancora non co­noscono il vostro Figlio.


Regnate sulla Chiesa, che professa e festeggia il vostro soave dominio e a Voi ricorre come a sicuro rifugio in mezzo alle calamità dei nostri tempi. Ma specialmente regnate su quella porzione della Chiesa, che è perseguitata ed oppressa, dandole la fortezza per sopportare le avversità, la co­stanza per non piegarsi sotto le ingiuste pressioni, la luce per non cadere nelle insidie nemiche, la fer­mezza per resistere agli attacchi palesi, e in ogni mo­mento la incrollabile fedeltà al vostro Regno. Salve Regina...





lII. Regnate sulle intelligenze, affinchè cerchino sol­tanto il vero; sulle volontà, affinchè seguano sola­mente il bene; sui cuori, affinchè amino unicamente ciò che Voi stessa amate. Regnate sugl'individui e sulle famiglie, come sulle società e le nazioni; sulle assemblee dei potenti, sui consigli dei savi, come sulle semplici aspirazioni degli umili.


Regnate nelle vie e nelle piazze, nelle città e nei villaggi, nelle valli e nei monti, nell'aria, nella terra e nel mare; e acco­gliete la pia preghiera di quanti sanno che il vostro è regno di misericordia, ove ogni supplica trova ascol­to, ogni dolore conforto, ogni sventura sollievo, ogni infermità salute, e dove, quasi al cenno delle vostre soavissime mani, dalla stessa morte risorge sorridente la vita.


Otteneteci che coloro i quali ora in tutte le parti del mondo Vi acclamano e Vi riconoscono Re­gina e Signora, possano un giorno nel cielo fruire della pienezza del vostro Regno, nella visione del vo­stro Figlio, il quale col Padre e con lo Spirito Santo vive e regna nei secoli dei secoli. Così sia! Salve Regina…


Si ringrazia il sito http://www.preghiereagesuemaria.it per le preghiere.

Il fermo proposito - Lettera Enciclica di San Pio X

Oggi la Santa Chiesa Cattolica celebra la memoria del Papa San Pio X. Per questi motivi concludiamo questa giornata con la Sua Lettera Enciclica, "Il fermo proposito":



"IL FERMO PROPOSITO"
LETTERA ENCICLICA
AI VENERABILI FRATELLI PATRIARCHI
PRIMATI ARCIVESCOVI VESCOVI
E AGLI ALTRI ORDINARI
AVENTI CON L’APOSTOLICA SEDE
PACE E COMUNIONE.
"Diretta ai Vescovi d’Italia per l’istituzione e lo sviluppo dell’Azione Cattolica,
associazione laica per
 la propaganda cattolica religiosa nel mondo profano"

VENERABILI FRATELLI
SALUTE E APOSTOLICA BENEDIZIONE

Il fermo proposito, che fin dai primordi del Nostro Pontificato abbiamo concepito, di voler consacrare tutte le forze che la benignità del Signore si degna concederCi alla restaurazione di ogni cosa in Cristo, Ci risveglia nel cuore una grande fiducia nella potente grazia di Dio, senza la quale nulla di grande e di fecondo per la salute delle anime possiamo pensare od imprendere quaggiù. Nello stesso tempo però sentiamo più che mai vivo il bisogno di essere secondati unanimemente e costantemente nella nobile impresa da voi, Venerabili Fratelli, chiamati a parte dell’ufficio Nostro pastorale, da ognuno del Clero e dei singoli fedeli alle vostre cure commessi. Tutti in vero nella Chiesa di Dio siamo chiamati a formare quell’unico corpo, il cui capo è Cristo: corpo strettamente compaginato, come insegna l’Apostolo Paolo (Eph. IV, 16), e ben commesso in tutte le sue giunture comunicanti, e questo in virtù dell’operazione proporzionata di ogni singolo membro, onde il corpo stesso prende l’aumento suo proprio e di mano in mano si perfeziona nel vincolo della carità. E se in quest’opera di "edificazione Corpo di Cristo" (Eph. IV, 12) è Nostro primo ufficio d’insegnare, additare il retto modo da seguire e proporne i mezzi, di ammonire ed esortare paternamente, è altresì dovere di tutti i Nostri figliuoli dilettissimi, sparsi pel mondo, di accogliere le parole Nostre, di attuarle dapprima in se stessi e di concorrere efficacemente ad attuarle eziandio negli altri, ciascuno secondo la grazia da Dio ricevuta, secondo il suo stato ed ufficio, secondo lo zelo che ne infiamma il cuore.

Qui vogliamo soltanto ricordare quelle molteplici opere di zelo in bene della Chiesa, della società e degli individui particolari, comunemente designati col nome di azione cattolica, che fioriscono per grazia di Dio in ogni luogo e che abbondano altresì nella nostra Italia. Voi ben intendete, Venerabili Fratelli, quanto esse Ci debbano tornar care e quanto intimamente bramiamo di vederle rassodate e promosse. Non solo a più riprese ne abbiamo trattato a voce con parecchi almeno di voi, e col principali loro rappresentanti in Italia nell’occasione che essi Ci recavano in persona l’omaggio della loro devozione e del loro affetto filiale, ma altresì pubblicando Noi su questo argomento o facendo pubblicare con la Nostra Autorità vari Atti, che tutti già conoscete. Vero è che alcuni di questi, come richiedevano le circostanze per Noi dolorose, erano piuttosto diretti a rimuovere gli ostacoli al più spedito procedere dell’azione cattolica e a condannare certe tendenze indisciplinate, che con grave danno della causa comune si andavano insinuando. Però Ci tardava il cuore di rivolgere a tutti eziandio una parola di paterno conforto e di eccitamento acciocché sul terreno, per quanto è da Noi, sgombro dagli impedimenti, si continui ad edificare il bene e ad accrescerlo largamente. Ci è dunque ben grato di farlo ora con le presenti Nostre Lettere a comune consolazione, nella certezza che le parole Nostre saranno da tutti dolcemente ascoltate e seguite.

Vastissimo è il campo dell’azione cattolica, la quale per sé medesima non esclude assolutamente nulla di quanto, in qualsiasi modo, diretto od indiretto, appartiene alla divina missione della Chiesa. Di leggieri si riconosce la necessità del concorso individuale a tant’opera, non solo per la santificazione delle anime nostre, ma anche per diffondere e sempre meglio dilatare il Regno di Dio negli individui, nelle famiglie e nella società, procurando ciascuno, secondo le proprie forze, il bene del prossimo con la diffusione della verità rivelata, con l’esercizio delle virtù cristiane e con le opere di carità o di misericordia spirituale e corporale. Questo è il camminare degno di Dio, a che ci esorta San Paolo, così da piacergli in ogni cosa, producendo frutti di ogni opera buona e crescendo nella scienza di Dio: "Ut ambuletis digne Deo per omnia placentes: in omni opere bono fructificantes et crescentes in scentia Dei" (Coloss. I, 10).

Oltre a questi però v’è un gran numero di beni appartenenti all’ordine naturale a cui la missione della Chiesa non è direttamente ordinata, ma che pure sgorgano dalla medesima, quasi naturale sua conseguenza. Tanta è la luce della Rivelazione cattolica, che si diffonde vivissima su ogni scienza; tanta la forza delle massime evangeliche, che i precetti della legge naturale si radicano più sicuri ed ingagliardiscono; tanta infine l’efficacia della verità e della morale insegnate da Gesù Cristo, che lo stesso benessere materiale degli individui, della famiglia e della società umana si trova provvidenzialmente sostenuto e promosso. La Chiesa, pure predicando Gesù Cristo crocifisso, scandalo e stoltezza innanzi al mondo (I Cor. I, 23), è divenuta ispiratrice e fautrice primissima di civiltà; e la diffusione per tutto dove predicavano i suoi apostoli, conservando e perfezionando gli elementi buoni delle antiche civiltà pagane, strappando dalla barbarie ed educando a civile consorzio i nuovi popoli che al suo seno materno si rifugiavano, diede all’intera società, bensì a poco a poco, ma con tratto sicuro e sempre più progressivo, quell’impronta tanto spiccata, che ancora oggi universalmente conserva. La civiltà del mondo è civiltà cristiana; tanto è più vera, più durevole, più feconda di frutti preziosi, quanto è più nettamente cristiana; tanto declina, con immenso danno del bene sociale, quanto all’idea cristiana si sottrae. Onde, per la forza intrinseca delle cose, la Chiesa divenne anche di fatto custode e vindice della civiltà cristiana. E tale fatto in altri secoli della storia fu riconosciuto e ammesso; formò anzi il fondamento inconcusso delle legislazioni civili. Su quel fatto poggiarono le relazioni tra la Chiesa e gli Stati, il pubblico riconoscimento dell’autorità della Chiesa nelle materie tutte che toccano in qualsivoglia modo la coscienza, la subordinazione di tutte le leggi dello Stato alle divine leggi del Vangelo, la concordia dei due poteri dello Stato e della Chiesa, nel procurare in tal modo il bene temporale dei popoli, che non ne abbia a soffrire l’eterno.

Non abbiamo bisogno di dirvi, o Venerabili Fratelli, quale prosperità e benessere, quale pace e concordia, quale rispettosa soggezione all’autorità e quale eccellente governo si otterrebbero e si manterrebbero nel mondo, se si potesse attuare ovunque il perfetto ideale della civiltà cristiana. Ma posta la lotta continua della carne contro lo spirito, delle tenebre contro la luce, di Satana contro Dio, tanto non è da sperare, almeno nella sua piena misura. Onde continui strappi si vanno facendo alle pacifiche conquiste della Chiesa, tanto più dolorosi e funesti, quanto più la società umana tende a reggersi con principi avversi al concetto cristiano, anzi ad apostatare interamente da Dio.

Non per questo è da perdere punto il coraggio. La Chiesa sa che le porte dell’inferno non prevarranno contro di lei; ma sa ancora che avrà nel mondo premura, che i suoi apostoli sono inviati come agnelli tra lupi, che i suoi seguaci saranno sempre coperti d’odio e di disprezzo, come d’odio e di disprezzo fu saturato il divino suo Fondatore. La Chiesa va quindi innanzi imperterrita, e mentre diffonde il Regno di Dio là dove non fu peranco pregiudicato, si studia per ogni maniera di riparare alle perdite nel Regno già conquistato. "Restaurare tutto in Cristo" è stata sempre la divisa della Chiesa, ed è particolarmente la Nostra nei trepidi momenti che traversiamo. Ristorare ogni cosa, non in qualsivoglia modo, ma in Cristo: "in Lui, tutte le cose che sono in Cielo ed in terra", soggiunse l’Apostolo (Eph. I, 10): ristorare in Cristo non solo ciò che appartiene propriamente alla divina missione della Chiesa di condurre le anime a Dio, ma anche ciò che, come abbiamo spiegato, da quella divina missione spontaneamente deriva, la civiltà cristiana nel complesso di tutti e singoli gli elementi che la costituiscono.

E poiché Ci fermiamo a quest’ultima sola parte della restaurazione desiderata, voi vedete, o Venerabili Fratelli, di quanto aiuto tornano alla Chiesa quelle schiere elette di cattolici che si propongono appunto di riunire insieme tutte le forze vive, a fine di combattere con ogni mezzo giusto e legale la civiltà anticristiana, riparare per ogni modo i disordini gravissimi che da quella derivano; ricondurre Gesù Cristo nella famiglia, nella scuola, nella società; ristabilire il principio dell’autorità umana come rappresentante di quella di Dio; prendere sommamente a cuore gli interessi del popolo e particolarmente del ceto operaio ed agricolo, non solo istillando nel cuore di tutti il principio religioso, unico vero fonte di consolazione nelle angustie della vita, ma studiandosi di rasciugarne le lacrime, di raddolcirne le pene, di migliorare la condizione economica con ben condotti provvedimenti; adoperarsi quindi perché le pubbliche leggi siano informate a giustizia, e si correggano o vadano soppresse quelle che alla giustizia si oppongono: difendere infine e sostenere con animo veramente cattolico i diritti di Dio in ogni cosa e quelli non meno sacri della Chiesa.

Il complesso di tutte queste opere sostenute e promosse in gran parte dal laicato cattolico e variamente ideate a seconda dei bisogni propri di ogni nazione e delle circostanze particolari in cui versa ogni paese, è appunto quello che con termine più particolare e certo nobile assai suoi essere chiamato azione cattolica, ovvero azione dei cattolici. Essa in tutti i tempi venne sempre in aiuto della Chiesa, e la Chiesa tale aiuto ha sempre accolto favorevolmente e benedetto, sebbene a seconda dei tempi si sia variamente esplicato.

Ed è infatti da notare qui subito, che non tutto ciò che potrà essere stato utile, anzi unicamente efficace nei secoli andati, torna oggi possibile restituire allo stesso modo: tanti sono i cangiamenti radicali che col correre dei tempi s’insinuano nella società o nella vita pubblica, e tanti i nuovi bisogni che le circostanze cambiate vanno di continuo suscitando. Ma la Chiesa nel lungo corso della sua storia ha sempre ed in ogni caso dimostrato luminosamente di possedere una meravigliosa virtù di adattamento alle variabili condizioni del consorzio civile, talché, salva sempre l’integrità e l’immutabilità della fede e della morale, e salvi egualmente i sacrosanti suoi diritti, facilmente si piega e si accomoda in tutto ciò che è contingente ed accidentale alle vicende dei tempi ed alle nuove esigenze della società. La pietà, dice San Paolo, a tutto si acconcia possedendo le promesse divine, così per i beni della vita presente, come per quelli della vita futura. "Pietas autem ad omnia utilis est, promissionem habens vitæ, quæ nunc est, et futuræ" (I Tim. IV, 8). E però anche l’azione cattolica, se opportunamente cambia nelle sue forme esterne e nei mezzi che adopera, rimane sempre la stessa nei principi che la dirigono e nel fine nobilissimo che si propone. Perché poi nello stesso tempo torni veramente efficace, converrà diligentemente avvertire le condizioni che essa medesima impone, se ben si considerino la sua natura ed il suo fine.

Anzitutto dov’essere altamente radicato nel cuore che lo strumento vien meno, se non è acconcio all’opera che si vuol eseguire. L’azione cattolica (come si ritrae ad evidenza dalle cose anzidette) poiché si propone di ristorare ogni cosa in Cristo, costituisce un vero apostolato ad onore e gloria di Cristo stesso. Per bene compierlo ci vuole la grazia divina, e questa non si dà all’apostolo che non sia unito a Cristo. Solo quando avremo formato Gesù Cristo in noi, potremo più facilmente ridonarlo alle famiglie, alla società. E però quanti sono chiamati a dirigere o si dedicano a promuovere il movimento cattolico devono essere cattolici a tutta prova, convinti della loro fede, sodamente istruiti nelle cose della Religione, sinceramente ossequienti alla Chiesa ed in particolare a questa suprema Cattedra Apostolica ed al Vicario di Gesù Cristo in terra; di pietà vera, di maschie virtù, di puri costumi e di vita così intemerata che tornino a tutti di esempio efficace. Se l’animo non è così temprato, non solo sarà difficile promuovere negli altri il bene, ma sarà quasi impossibile procedere con rettitudine d’intenzione e mancheranno le forze per sostenere con perseveranza le noie che reca seco ogni apostolato, le calunnie degli avversari, le freddezze e la poca corrispondenza degli uomini anche dabbene, talvolta perfino le gelosie degli amici e degli stessi compagni di azione, scusabili senza dubbio, posta la debolezza dell’umana natura, ma pure grandemente pregiudizievoli e causa di discordie, di attriti, di domestiche guerricciuole. Solo una virtù paziente e ferma nel bene, e nello stesso tempo soave e delicata, è capace di rimuovere o diminuire questa difficoltà, così che l’opera a cui sono dedicate le forze cattoliche non ne vada compromessa. Tale è la volontà di Dio, diceva San Pietro ai primitivi fedeli, che col ben fare chiudiate la bocca agli uomini stolti. "Sic est voluntas Dei, ut bene facientes obmutescere faciatis imprudentium hominum ignorantiam" (I Petr. II, 15).

Importa inoltre ben definire le opere intorno alle quali si devono spendere con ogni energia e costanza le forze cattoliche. Quelle opere devono essere di così evidente importanza, così rispondenti ai bisogni della società odierna, così acconce agli interessi morali e materiali, soprattutto del popolo e delle classi diseredate, che mentre infondono ogni migliore alacrità dei promotori dell’azione cattolica pel grande e sicuro frutto che da sé medesime promettono, siano insieme da tutti e facilmente comprese ed accolte volonterosamente. Appunto perché i gravi problemi della vita odierna sociale esigono una soluzione pronta e sicura, si desta in tutti il più vivo interesse di sapere e conoscere i vari modi onde quelle soluzioni si propongono in pratica. Le discussioni in un senso o nell’altro si moltiplicano ogni dì più e si propagano facilmente per mezzo della stampa. È quindi supremamente necessario che l’azione cattolica colga il momento opportuno, si faccia innanzi coraggiosa e proponga anch’essa la soluzione sua e la faccia valere con propaganda ferma, attiva, intelligente, disciplinata, tale che direttamente si opponga alla propaganda avversaria. La bontà e giustizia dei principi cristiani, la retta morale che professano i cattolici, il pieno disinteresse delle cose proprie non altro apertamente e sinceramente bramando che il vero, il solo, il supremo bene altrui, infine l’evidente loro capacità di promuovere meglio degli altri anche i veri interessi economici del popolo, è impossibile non facciano breccia sulla mente e sul cuore di quanti ascoltano e non ne aumentino le file, fino a renderli un corpo forte e compatto, capace di resistere gagliardamente alla contraria corrente e di tenere in rispetto gli avversari.

Tale supremo bisogno avvertì pienamente il Nostro Antecessore di b. m. Leone XIII, additando soprattutto nella memoranda Enciclica "Rerum Novarum" ed in altri documenti posteriori, l’oggetto intorno al quale precipuamente doveva svolgersi l’azione cattolica, cioè "la pratica soluzione a seconda dei principi cristiani della questione sociale". Noi pure, seguendo così sapienti norme, col Nostro Motu proprio del 18 Dicembre 1903 abbiamo dato all’azione popolare cristiana, che in sé comprende tutto il movimento cattolico sociale, un ordinamento fondamentale che fosse quasi la regola pratica del lavoro comune ed il vincolo della concordia e della carità. Qui dunque ed a questo scopo santissimo e necessarissimo devono anzitutto aggrupparsi e solidarsi le opere cattoliche, varie e molteplici nella forma, ma tutte egualmente intese a promuovere con efficacia il medesimo bene sociale.

Ma perché quest’azione sociale si mantenga e prosperi con la necessaria coesione delle varie opere che la compongono è soprammodo importante che i cattolici procedano con esemplare concordia tra loro; la quale per altro non si otterrà mai, se non vi ha in tutti unità di intendimenti. Su tale necessità non può cadere dubbio di sorta alcuna; tanto chiari ed aperti sono gli insegnamenti dati da questa Cattedra Apostolica, tanta la viva luce che vi hanno sparso intorno coi loro scritti i più insigni tra’ cattolici d’ogni paese, tanto lodevole esempio che più volte, anche da Noi medesimi, si è proposto ai cattolici di altre nazioni, i quali appunto per questa concordia ed unità di intendimenti, in breve tempo hanno ottenuto frutti fecondi e assai consolanti.

Ad assicurarne poi il conseguimento, tra le varie opere degne egualmente di lode, si è dimostrata altrove singolarmente efficace un’istituzione di carattere generale, che col nome di Unione popolare è destinata ad accogliere i cattolici di tutte le classi sociali, ma specialmente le grandi moltitudini del popolo intorno ad un solo centro comune di dottrina, di propaganda e di organizzazione sociale. Essa infatti, poiché risponde ad un bisogno egualmente sentito quasi in ogni paese, e poiché la sua semplice costituzione risulta dalla natura stessa delle cose quali egualmente per tutto s’incontrano, non può dirsi che sia propria più di una nazione che di un’altra, ma di tutte, dove si manifestano gli stessi bisogni e sorgono i medesimi pericoli. La sua grande popolarità la rende facilmente cara ed accettevole e non disturba né impedisce alcun’altra istituzione ma piuttosto a tutte le istituzioni dà forza e compattezza poiché con la sua organizzazione strettamente personale sprona gli individui a entrare nelle istituzioni particolari, li addestra al lavoro pratico e veramente proficuo, ed unisce gli animi di tutti in un unico sentire e volere.

Stabilito così codesto centro sociale, tutte le altre istituzioni d’indole economica, destinate a risolvere praticamente e sotto i vari suoi aspetti il problema sociale, si trovano come spontaneamente raggruppate insieme nel fine generale che le unisce, mentre pure, a seconda dei vari bisogni a cui si applicano, prendono forme diverse e diversi mezzi adoperano, come richiede lo scopo particolare proprio di ciascuna. E qui Ci torna ben caro di esprimere la Nostra soddisfazione pel molto che in questa parte si è già fatto in Italia, con certa speranza che, posto l’aiuto divino, si faccia ancora assai più nell’avvenire, rassodando il bene ottenuto e dilatandolo con zelo sempre più crescente. Nel che si rese grandemente benemerita l’Opera dei Congressi e Comitati Cattolici, grazie all’attività intelligente degli uomini esimi che la dirigevano, e che a quelle particolari istituzioni furono preposti o le dirigono tuttora. E però tale centro od unione di opere d’indole economica, come fu da Noi espressamente conservata al cessare dell’anzidetta Opera dei Congressi, così dovrà continuare anche in seguito sotto la solerte direzione di coloro che le sono preposti.

Contuttociò, perché l’azione cattolica sia efficace sotto ogni rispetto, non basta che essa sia proporzionata ai bisogni sociali odierni; conviene ancora che si faccia valere con tutti quei mezzi pratici, che le mettono oggi in mano il progresso degli studi sociali ed economici, l’esperienza già fatta altrove, le condizioni del civile consorzio, la stessa vita pubblica degli Stati. Altrimenti si corre rischio di andare tentoni lungo tempo in cerca di cose nuove e mal sicure, mentre le buone e certe si hanno in mano ed hanno fatto già ottima prova; ovvero di proporre istituzioni e metodi propri forse di altri tempi, ma oggi non intesi dal popolo, ovvero infine di arrestarsi a mezza via non servendosi, nella misura pur concessa, di quei diritti cittadini che le odierne costituzioni civili offrono a tutti e quindi anche ai cattolici. E per fermarsi a quest’ultimo punto, certo è che l’odierno ordinamento degli Stati offre indistintamente a tutti la facoltà di influire sulla pubblica cosa, ed i cattolici, salvo gli obblighi imposti dalla legge di Dio e dalle prescrizioni della Chiesa, possono con sicura coscienza giovarsene, per mostrarsi idonei al pari, anzi meglio degli altri, di cooperare al benessere materiale civile del popolo ed acquistarsi così quell’autorità e quel rispetto che rendano loro possibile eziandio di difendere e promuovere i beni più alti, che sono quelli dell’anima.

Quei diritti civili sono parecchi e di vario genere, fino a quello di partecipare direttamente alla vita politica del paese rappresentando il popolo nelle aule legislative. Ragioni gravissime Ci dissuadono, Venerabili Fratelli, dallo scostarsi da quella norma già decretata dal Nostro Antecessore di s. m. Pio IX e seguita poi dall’altro Nostro Antecessore di s. m. Leone XIII durante il diuturno suo Pontificato, secondo la quale rimane in genere vietata in Italia la partecipazione dei cattolici al potere legislativo. Sennonché altre ragioni parimenti gravissime, tratte dal supremo bene della società, che ad ogni costo deve salvarsi, possono richiedere che nei casi particolari si dispensi dalla legge, specialmente quando voi, Venerabili Fratelli, ne riconosciate la stretta necessità pel bene delle anime e dei supremi interessi delle vostre Chiese e ne facciate dimanda.

Ora la possibilità di questa benigna concessione Nostra induce il dovere nei cattolici tutti di prepararsi prudentemente e seriamente alla vita politica, quando vi fossero chiamati. Onde importa assai, che quella stessa attività, già lodevolmente spiegata dai cattolici per prepararsi con una buona organizzazione elettorale alla vita amministrativa dei Comuni e dei Consigli provinciali, si estenda altresì a prepararsi convenientemente e ad organizzarsi per la vita politica, come fu opportunamente raccomandato con la circolare del 3 dicembre 1904 alla Presidenza generale delle Opere economiche in Italia. Nello stesso tempo dovranno inculcarsi e seguirsi in pratica gli altri principi che regolano la coscienza di ogni vero cattolico. Deve egli ricordarsi sopra ogni cosa di essere in ogni circostanza e di apparire veramente cattolico, accedendo agli offici pubblici ed esercitandoli col fermo e costante proposito di promuovere a tutto potere il bene sociale ed economico della Patria e particolarmente del popolo, secondo le massime della civiltà spiccatamente cristiana e di difendere insieme gli interessi della Chiesa, che sono quelli della Religione e della giustizia.

Tali sono, Venerabili Fratelli, i caratteri, l’oggetto e le condizioni dell’azione cattolica, considerata nella parte sua più importante, che è la soluzione della questione sociale, degna quindi che vi si applichino con la massima energia e costanza tutte le forze cattoliche. Il che però non esclude che si favoriscano e si promuovano anche altre opere di vario genere, di diversa organizzazione, ma tutte egualmente destinate a questo o quel bene particolare della società e del popolo ed a rifiorimento della civiltà cristiana sotto vari determinati aspetti. Sorgono esse per lo più grazie allo zelo di particolari persone e si diffondono nelle singole diocesi e talvolta si aggruppano in federazioni più estese. Ora, sempreché sia lodevole il fine che si propongono, siano fermi i principi cristiani che seguono e giusti i mezzi che adoperano, sono anch’esse da lodare e incoraggiare per ogni modo. E si dovrà lasciare loro una certa libertà di organizzazione, non essendo possibile, che dove più persone convengono insieme, si modellino tutte in medesimo stampo e si accentrino sotto un’unica direzione. L’organizzazione poi deve sorgere spontanea dalle opere stesse, altrimenti si avranno edifici bene architettati, ma privi di fondamento reale e perciò al tutto effimeri. Conviene pure tener conto dell’indole delle singole popolazioni. Altri usi, altre tendenze si manifestano in luoghi diversi. Quel che importa è che si lavori su buon fondamento, con sodezza di principi, con fervore e costanza, e se questo si ottiene, il modo e la forma che prendono le varie opere, sono e rimangono accidentali.

Per rinnovare ed infine accrescere in tutte indistintamente le opere cattoliche l’alacrità necessaria, e per offrire occasione ai promotori e ai membri delle medesime di vedersi e conoscersi scambievolmente, di stringere sempre meglio i vincoli della carità fraterna fra loro, d’animarsi l’un l’altro con zelo sempre più ardente all’azione efficace e di provvedere alla migliore solidità e diffusione delle opere stesse, gioverà mirabilmente il celebrare di tempo in tempo, secondo le norme già date da questa Santa Sede, i Congressi generali e parziali dei cattolici italiani, che devono essere la solenne manifestazione della fede cattolica e la festa comune della concordia e della pace.

Ci resta a toccare, Venerabili Fratelli, di un altro punto di somma importanza, ed è la relazione che tutte le opere dell’azione cattolica devono avere rispetto all’Autorità ecclesiastica. Se bene si considerano le dottrine che siamo andati svolgendo nella prima parte di queste Nostre Lettere, si conchiuderà di leggieri, che tutte quelle opere che direttamente vengono in sussidio del ministero spirituale pastorale della Chiesa e che si propongono un fine religioso in bene diretto delle anime, devono in ogni menoma cosa essere subordinate all’autorità dei Vescovi, posti dallo Spirito Santo a reggere la Chiesa di Dio nelle diocesi loro assegnate. Ma anche le altre opere, che, come abbiamo detto, sono precipuamente istituite a ristorare e promuovere in Cristo la vera civiltà cristiana e che costituiscono nel senso spiegato l’azione cattolica, non si possono per niun modo concepire indipendenti dal consiglio e dall’alta direzione dell’Autorità ecclesiastica, specialmente poi in quanto devono tutte informarsi ai principi della dottrina e della morale cristiana; molto meno è possibile concepirle in opposizione più o meno aperta con la medesima Autorità. Certo è che tali opere, posta la natura loro, si debbono muovere con la conveniente ragionevole libertà, ricadendo sopra di loro la responsabilità dell’azione, soprattutto poi negli affari temporali ed economici ed in quelli della vita pubblica amministrativa o politica, alieni dal ministero puramente spirituale. Ma poiché i cattolici alzano sempre la bandiera di Cristo, per ciò stesso alzano la bandiera della Chiesa, ed è quindi conveniente che la ricevano dalle mani della Chiesa, che la Chiesa ne vigili l’onore immacolato e che a questa materna vigilanza i cattolici si sottomettano, docili ed amorevoli figliuoli.

Per la qual cosa appare manifesto quanto fossero sconsigliati coloro, pochi invero, che qui in Italia e sotto i Nostri occhi vollero accingersi a una missione che non ebbero da Noi, né da alcun altro dei Nostri Fratelli nell’episcopato, e si fecero a promuoverla, non solo senza il debito ossequio all’Autorità, ma perfino apertamente contro il volere di lei, cercando di legittimare la loro disobbedienza con frivole distinzioni. Dicevano anch’essi di alzare in nome di Cristo un vessillo; ma tal vessillo non poteva essere di Cristo, perché non recava tra le sue pieghe la dottrina del divin Redentore, che anche qui ha la sua applicazione: "Chi ascolta voi, ascolta me; e chi disprezza voi, disprezza me" (Luc. X, 16); "Chi non è meco è contro di me; e chi meco non raccoglie, disperde" (Ib. XI, 23), dottrina dunque di umiltà, di sommissione, di filiale rispetto. Con estremo rammarico del Nostro cuore abbiamo dovuto condannare una simile tendenza ed arrestare autorevolmente il moto pernicioso che già si andava formando. E tanto maggiore era il dolor Nostro, perché vedevamo incautamente trascinati per così falsa via buon numero di giovani a Noi carissimi, molti dei quali di eletto ingegno, di fervido zelo, capaci di operare efficacemente il bene, ove siano rettamente guidati.

Mentre però additiamo a tutti la retta norma dell’azione cattolica, non possiamo dissimulare, Venerabili Fratelli, il pericolo non lieve al quale, per la condizione dei tempi, si trova oggi esposto il Clero; ed è di dare soverchia importanza agli interessi materiali del popolo, trascurando quelli ben più gravi del sacro suo ministero.

Il sacerdote, elevato sopra gli altri uomini per compiere la missione che tiene da Dio, deve mantenersi egualmente al disopra di tutti gli umani interessi, di tutti i conflitti, di tutte le classi della società. Il suo proprio campo è la Chiesa, dove ambasciatore di Dio predica la verità ed inculca col rispetto dei diritti di Dio il rispetto ai diritti di tutte le creature. Così operando, egli non va soggetto ad alcuna opposizione, non apparisce un uomo di parte, fautore degli uni, avversario degli altri, né per evitare l’urto di certe tendenze o per non irritare in molti argomenti gli animi inaspriti si mette nel pericolo di dissimulare la verità o di tacerla, mancando nell’uno o nell’altro caso ai suoi doveri; senza dire che dovendo trattare ben spesso di cose materiali, potrebbe trovarsi solidale in obbligazioni dannose alla sua persona, e alla dignità del suo ministero. Non dovrà dunque prender parte ad associazioni di questo genere, se non dopo matura considerazione, d’accordo col suo Vescovo, ed in quei casi soltanto, ne’ quali l’aiuto suo è immune da ogni pericolo e torna di evidente profitto.

Né in tal maniera si raffrena punto il suo zelo. Il vero apostolo deve "farsi tutto a tutti, per tutti salvare" (I Cor. IX, 22); come già il divin Redentore, deve sentirsi muovere a pietà le viscere, "mirando le turbe così vessate, giacenti quasi pecore senza pastore" (Matth. IX, 36). Con la propaganda efficace degli scritti, con l’esortazione viva della parola, col concorso diretto nei casi anzidetti s’adoperi adunque a fine di migliorare eziandio, entro i limiti della giustizia e della carità, la condizione economica del popolo, favorendo e promovendo quelle istituzioni che a ciò conducono, quelle soprattutto che si propongono di ben disciplinare le moltitudini contro l’invadente predominio del socialismo e che ad un tempo le salvano e dalla rovina economica e dallo sfacelo morale e religioso. In questo modo l’assistenza del clero alle opere dell’azione cattolica mira ad un fine altamente religioso, né tornerà mai d’impedimento, sarà anzi di aiuto al suo ministero spirituale, allargandone il campo e moltiplicandone il frutto.

Ecco, o Venerabili Fratelli, quanto Ci premeva esporre ed inculcare intorno all’azione cattolica da sostenere e promuovere nella nostra Italia. —Additare il bene non basta; è necessario eseguirlo in pratica. Nel che tornerà di grandissimo aiuto l’esortazione vostra altresì ed il paterno vostro immediato eccitamento al ben fare. Siano pure umili i principi, purché veramente si cominci, la grazia divina li farà crescere in breve tempo e prosperare. E tutti i Nostri diletti figliuoli, che si dedicano all’azione cattolica, ascoltino di nuovo la parola che Ci sgorga tanto spontanea dal cuore. Nelle amarezze onde siamo tuttodì circondati, se vi ha alcuna consolazione in Cristo, se alcun conforto Ci vien dalla carità vostra, se vi ha comunione di spirito e viscere di compassione, diremo Noi pure con l’Apostolo Paolo (Phil. II, 1-5), rendete compiuto il Nostro gaudio con la concordia, con l’identica carità, col sentimento unanime, con l’umiltà e debita soggezione, cercando non il proprio comodo, ma il bene comune, e trasfondendo nei vostri cuori quei medesimi sentimenti, che in sé nutriva Gesù Cristo, Salvatore nostro. Sia Egli il principio di ogni vostra impresa: "Quanto voi dite o fate, sia tutto nel nome del Signore Gesù Cristo" (Coloss. III, 17); sia Egli il termine d’ogni vostra operazione: "Conciossiaché da Lui, e per Lui, ed a Lui sono tutte le cose; a Lui gloria nei secoli" (Rom. XI, 36). Ed in questo giorno faustissimo, che ricorda gli Apostoli, quando, ripieni di Spirito Santo, uscirono dal Cenacolo a predicare al mondo il Regno di Cristo, discenda eziandio su tutti voi la virtù del medesimo Spirito e pieghi ogni durezza, ritempri gli animi freddi, e quanto è sviato rimetta sul retto sentiero: "Flecte quod est rigidum, fove quod est frigidum, rege quod est devium".

Auspice intanto del divino favore e pegno del Nostro specialissimo affetto sia l’Apostolica Benedizione, che dall’intimo del cuore impartiamo a voi, Venerabili Fratelli, al vostro Clero e al popolo italiano.

Dato a Roma, presso San Pietro, nella Festa della Pentecoste, 11 Giugno 1905, del Nostro Pontificato anno II.
PIO PP. X.

Sezione dedicata alla nostra amica Patrizia:

Il Dolore solo se è accettato e offerto diviene gioia, altrimenti può diventare disperazione. Il maligno tenta sempre di farci imboccare questa strada, che porta alla distruzione di sè e degli altri.
La domanda, il grido ci salva, perchè, come un bambino quando invoca la mamma è aiutato da lei, a maggior ragione o tanto più la nostra Mamma Celeste viene in nostro soccorso, portandoci lo Spirito Consolatore che ci fa ritornare la speranza.

Questo dolore non è capito dagli uomini, difficilmente ci possono aiutare, di solito LO aumentano!

Solo TU Signore ci comprendi totalmente, perchè siamo opera Tua. Fa' o Signore che possiamo amare anche chi non comprendiamo o non ci comprende, grazie. (Patrizia)

Gesù Cristo

Gesù Cristo
«Ti rendo lode, Padre, Signore del cielo e della terra, perché hai nascosto queste cose ai sapienti e ai dotti e le hai rivelate ai piccoli. Sì, o Padre, perché così hai deciso nella tua benevolenza. Tutto è stato dato a me dal Padre mio; nessuno conosce il Figlio se non il Padre, e nessuno conosce il Padre se non il Figlio e colui al quale il Figlio vorrà rivelarlo».

Riflettiamo

Impariamo a soffermarci sulle parole e meditiamone il loro significato

L'importanza della preghiera

Chi prega, certamente si salva; chi non prega certamente si danna. Tutti i beati, eccettuati i bambini, si sono salvati col pregare. Tutti i dannati si sono perduti per non pregare; se pregavano non si sarebbero perduti. E questa è, e sarà la loro maggiore disperazione nell’inferno, l’aversi potuto salvare con tanta facilità, quant’era il domandare a Dio le di lui grazie, ed ora non essere i miseri più a tempo di domandarle

(Sant'Alfonso Maria De' Liguori)

Accrescere la cultura

«Io voglio vivere per Gesù e per la Chiesa. La scienza che serve a farmi vivere sempre più per il Signore e per la Chiesa è la cultura della mia vita e tutta la mia vita di cultura». Ogni giorno, ogni ora, ogni istante io sento il bisogno di accrescere le mie conoscenze. E la Chiesa è una fonte inesauribile di vita e di cultura per me!».

(San Pio da Pietrelcina)

Il dono della Sapienza

Nella Sapienza c’è uno spirito intelligente, santo, unico, molteplice, sottile, mobile, penetrante, senza macchia, terso, inoffensivo, amante del bene, acuto, libero, benefico, amico dell’uomo, stabile, sicuro, senz’affanni. 
Onnipotente, onniveggente e che pervade tutti gli spiriti intelligenti, puri, sottilissimi. 
È un’emanazione della potenza di Dio, un effluvio genuino della gloria dell’Onnipotente, per questo nulla di contaminato in essa s’infiltra. 
È un riflesso della Luce perenne, uno specchio senza macchia dell’attività di Dio e un’immagine della sua bontà.

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Le preghiere dei Santi:

Le preghiere dei Santi:
Noi ci affidiamo a te. Non abbandonarci alla tristezza perché tu, Signore, sei con noi sempre. Tu non ci lascerai un istante. Se non avessi steso la mano, quante volte la nostra fede avrebbe vacillato! Tu, Signore, sei sempre intento ad accogliere le nostre confidenze. Aiutaci a non abbatterci nelle sofferenze fisiche e morali. Non permettere di affliggerci fino a perdere la pace interiore. Fa’ che camminiamo con buona fede, senza inquietudini e sconforti. Noi ci affidiamo a te: prendici la mano e guidaci pur per incogniti sentieri. Insegnaci ad affrontare la prova a mente serena, per amore tuo che la permetti. Donaci di acquistare tesori per la santa eternità. (San Pio da Pietrelcina)

Dio, nostro Padre, tu hai tanto amato gli uomini da mandare a noi il tuo unico Figlio Gesù, nato dalla Vergine Maria, per salvarci e ricondurci a te. Ti preghiamo, Padre buono, dona la tua benedizione anche a noi, ai nostri genitori, alle nostre famiglie e ai nostri amici. Apri il nostro cuore, affinché sappiamo ricevere Gesù nella gioia, fare sempre ciò che egli ci chiede e vederlo in tutti quelli che hanno bisogno del nostro amore. Te lo chiediamo nel nome di Gesù, tuo amato Figlio, che viene per dare al mondo la pace. Egli vive e regna nei secoli dei secoli. Amen.(Venerabile Giovanni Paolo II)

Padre santo e giusto, Signore Re del cielo e della terra, ti rendiamo grazie per il fatto stesso che tu esisti, ed anche perché con un gesto della tua volontà, per l'unico tuo Figlio e nello Spirito Santo, hai creato tutte le cose visibili ed invisibili e noi, fatti a tua immagine e somiglianza, avevi destinato a vivere felici in un paradiso dal quale unicamente per colpa nostra siano stati allontanati. (San Francesco di Assisi)

Tu sei grande, Signore, e ben degno di lode; grande è la tua virtù, e la tua sapienza incalcolabile. E l’uomo vuole lodarti, una particella del tuo creato, che si porta attorno il suo destino mortale, che si porta attorno la prova del suo peccato e la prova che tu resisti ai superbi. Eppure l’uomo, una particella del tuo creato, vuole lodarti. Sei tu che lo stimoli a dilettarsi delle tue lodi, perché ci hai fatti per te, e il nostro cuore non ha pace finché non riposa in te. (Sant'Agostino))

“O Dio di grande Misericordia, bontà infinita, ecco che oggi tutta l’umanità grida dall’abisso della sua miseria alla Tua Misericordia, alla Tua compassione, o Dio, e grida con la voce potente della propria miseria. O Dio benigno, non respingere la preghiera degli esuli di questa terra. O Signore, bontà inconcepibile, che conosci perfettamente la nostra miseria e sai che non siamo in grado di innalzarci fino a Te con le nostre forze, Ti supplichiamo, previenici con la Tua grazia e moltiplica incessantemente su di noi la Tua Misericordia, in modo che possiamo adempiere fedelmente la Tua santa volontà durante tutta la vita e nell’ora della morte. L’onnipotenza della Tua Misericordia ci difenda dagli assalti dei nemici della nostra salvezza, in modo che possiamo attendere con fiducia, come figli Tuoi, la Tua ultima venuta...” (Santa Faustina Kowalska))

Affinché coloro che mi guardano non vedano la mia persona, ma Te in me. Rimani con me. Così risplenderò del Tuo splendore e potrò essere luce per gli altri. La mia luce verrà da Te solo, Gesù, non sarà mio nemmeno un piccolo raggio. Sei Tu che illuminerai gli altri attraverso di me. Ispirami la lode che Ti è più gradita, illuminando gli altri attorno a me. Che io Ti annunci non con le parole ma con l'esempio, con la testimonianza dei miei atti, con lo scatto visibile dell'amore che il mio cuore riceve da Te. Amen. (Madre Teresa di Calcutta))

Signore Gesù, tu hai dato la vita per me: io voglio donare la mia a te. Signore Gesù, tu hai detto: «Amore più grande non c'è che dare la vita per gli amici». Il mio supremo amore sei tu. È sera. Il giorno ormai declina. Resta con me Signore. Voglio seguirti portando la mia croce. Signore, vieni in mio aiuto e guidami nel cammino. La tua voce, Signore, ha un'eco profonda nel mio cuore. Gesù, mio Signore e mio Dio, voglio diventare in tutto simile a te, voglio soffrire e morire con te, per raggiungere con te la gioia della risurrezione. Tu, quel gran Dio che l'universo adora, vivi in me giorno e notte. E sempre la tua voce mi implora e mi ripete: «Ho sete, ho sete di amore»! Anch'io voglio ripetere la tua divina preghiera: ho sete d'amore. Io ho sete d'amore! Sazia la mia speranza, accresci in me, o Signore, il tuo ardore divino. Ho sete d'amore! Quale sofferenza, mio Dio, e come grande! Come vorrei volare da te! Il tuo amore, o Gesù, è il mio solo martirio; perché più brucia d'amore, più desidera amarti l'anima mia. Gesù, fa' che io muoia d'amore per te! (Santa Teresa di Gesù Bambino)