Concludiamo la giornata liturgica che ci ha mostrato la Trasfigurazione di Gesù Cristo, con la riflessione di padre Gian Franco Scarpitta:
Quello che Pietro (II Lettura) tiene a precisare riguardo all'episodio del monte Tabor è che non si è trattato di un racconto fantasioso e artificiosamente inventato: nulla di specioso o di ingannevole o che possa solo suscitare sensazionalismo o spettacolarità semplice e gratuita, ma un'esperienza realmente vissuta, un fatto che ha interessato in prima persona lo stesso Pietro accanto a Giacomo e Giovanni, dal quale egli è stato assorbito e stravolto e del quale adesso lui, essendone testimone oculare può riferire i particolari. La precisazione è importante perché l'avvenimento a cui si riferisce Pietro riguarda in definitiva lo svelamento della gloria di Dio nell'ordinarietà della vita umana e la presenza nel Cristo Signore della stessa gloria divina che ha anche delle radici storico salvifiche.
Di questo stesso argomento ci ragguaglia anche Luca che nel suo testo evangelico mostra qualche particolare in più rispetto all'odierno Matteo poiché ci informa che Gesù prende con sé Pietro, Giacomo e Giovanni per recarsi su un monte non in una qualsiasi circostanza, ma mentre egli assieme a loro e ad altri discepoli stanno parlando della ventura passione del Signore, che sta per entrare a Gerusalemme per essere ucciso appeso su un patibolo ligneo. Mentre insomma Gesù sta concentrandosi sugli argomenti della propria morte in croce, chiama a sé questi tre apostoli: Pietro, che è il destinatario del "potere delle chiavi", sul quale Cristo aveva riposto tutta la sua fiducia nell'affidargli il ministero di guida e governo dell'intera comunità ecclesiale; Giacomo figlio di Zebedeo e fratello di Giovanni era noto per il temperamento focoso e zelante tanto da meritare l'appellativo di Bouerghes (figlio del tuono) assieme allo stesso fratello e che assiste ai miracoli più importanti del maestro; Giovanni era invece il discepolo che Gesù teneva in maggior pregio e al quale egli affiderà la madre Maria ( e lui a lei) al momento dello straziante trapasso; personaggi quindi non occasionali ma specificamente scelti da Gesù per essere destinatari di un avvenimento che segnerà la loro stessa vita e quella dell'intera formazione dei credenti. Con essi si reca in un luogo solitario, un monte, dove comincia a pregare.
Quello che avviene alla vista dei tre discepoli spettatori e sorprendente, eppure essi non dovrebbero sbigottire più del dovuto considerando che il loro Signore è il Dio della gloria, il Verbo incarnato per la salvezza loro e di tutto il genere umano: infatti essi notano, oltre al candore abbagliante senza precedenti delle vesti di Gesù anche la figura di Mosè e di Elia, il primo rappresentativo della Legge, l'altro espressivo dei Profeti, insomma della vecchia economia salvifica che è sorta anzitempo con l'alleanza di Abramo e si è sviluppata con il patto di Mosè e con la presenza degli apportatori del divino messaggio di salvezza. Tale alleanza ha il suo compimento definitivo in Cristo, essendo Questi l'immagine della gloria del Padre e la realizzazione delle antiche promesse messianiche di salvezza.
Tuttavia tale compimento non avverrà per vie di straordinaria grandezza, ma si consumerà nella morte di croce che segnerà l'avvento definitivo della salvezza con il riscatto dei peccati dell'umanità.
Ecco che allora si dispiega specialmente agli occhi di Pietro l'arcano dell'andata di Gesù a Gerusalemme. Precedentemente a questo episodio infatti, quando Gesù aveva confidato ai suoi che sarebbero andati tutti nella città del tempio dove egli sarebbe stato ucciso, Simone aveva obiettato "Dio te ne scampi!" perché mosso da un sentire di generosità e di riverenza amichevole nei riguardi del suo maestro, e tuttavia allusivo di un'errata amicizia filantropica per la quale Gesù gli aveva perentoriamente risposto: "Allontanati da me, Satana!". Infatti, mentre Pietro tentava in buona fede di salvare Gesù dal patibolo di morte, senza rendersene conto stava ostacolando i disegni di salvezza di Dio Padre, per i quali il Figlio doveva necessariamente morire di croce per risorgere e risollevare così l'umanità.
Adesso Pietro sta tangibilmente comprendendo quale era stato il suo errore in quella specifica circostanza e manifesta stupore e meraviglia considerando la magnificenza gloriosa di quel Signore fino ad allora considerato solamente alla stregua di un maestro terreno fautore di ordini e di disposizioni, ma ora nella piena manifestazione della sua gloria di Messia, Re Universale promesso dai profeti e prefigurato anche nell'immagine del personaggio misterioso che giunge con le nubi del cielo per essere al cospetto del vegliardo e condividere con lui il potere e la gloria infinita. (I Lettura). Pietro comprende che la realizzazione delle medesima gloria è l'amore divino per l'umanità e la volontà di riscattare tutti dal peccato attraverso un procedimento insolito dal punto di vista umano ma ben comprensibile per chi accetta l'assurdo della "follia " dell'amore, ossia la morte crudele del patibolo e la sottomissione alle ingiustizie e alle prevaricazioni degli altri. Il Cristo che vede rifulgente di luce è insomma il Figlio di Dio che si è abbassato fino alla disfatta dell'entrata in Gerusalemme e ha accettato di buon grado di seguire quell'itinerario per conseguire la gloria attraverso un sentiero orrendo quanto necessario.
Ma sia per Pietro che per qualsiasi uomo credente questo fenomeno di trasfigurazione assume un rilievo caratterizzante la vita stessa che si può definire con il concetto di speranza: guardando al Cristo trasfigurato che manifesta la vera entità di se stesso siamo tutti spronati a perseverare nella tribolazione considerando che anche per noi il Re sofferente che si reca a Gerusalemme, pur restando in quella città ne uscirà vittorioso e glorificato e la sua vittoria sarà sempre motivo di gaudio e di letizia. La trasfigurazione ci inculca speranza al presente perché ci è di monito verso il futuro. Cristo che mostra se stesso a Pietro, Giacomo e Giovanni svela la realtà a cui noi siamo destinati, la quale è sempre una meta non di conquista ma di grazia, non di sconfitta o di rovina ma di salvezza nella novità di vita che è lo stesso Signore Risorto.
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