Concludiamo la giornata liturgica attraverso l'ormai consueto appuntamento di meditazione con le riflessioni di noti sacerdoti e movimenti religiosi. Oggi riflettiamo attraverso le parole di mons. Gianfranco Poma:
Il brano che la Liturgia della domenica XXII del tempo ordinario ci offre, (Mt.16,21-27) fa parte della sezione del Vangelo di Matteo, nella quale si alternano fatti e dialoghi con cui Gesù manifesta la preoccupazione di formare i discepoli che saranno la base della sua Chiesa, in particolare Pietro, la roccia sulla quale essa sarà edificata. Siamo nel cuore della rivelazione evangelica: l'identità di Gesù, la Chiesa, l'identità di Pietro, archetipo di tutti i discepoli, la relazione tra Gesù e i suoi discepoli, la novità della relazione con Dio, la novità dell'esperienza che Gesù propone a chi lo segue, in rapporto all'esperienza ebraica sulla quale rimane innestata, sono i temi presenti in questa pagina che la Liturgia ci ripropone. Si tratta di una pagina nella quale lo sfondo dell'Antico Testamento è evidente: uno studio attento deve ricollocare il Vangelo nel contesto dell'esperienza ebraica nel quale è nato, per poter comprendere la sua radicale novità.
"Tu sei il Cristo, il Figlio del Dio vivente". A questa professione di fede di Pietro, Gesù risponde: "Beato sei tu, Simone, figlio di Giona, perché né carne né sangue te l'hanno rivelato, ma il Padre mio che è nei cieli". Se formalmente la professione di fede di Pietro potrebbe essere ricondotta all'attesa dell'A.T., la risposta di Gesù rivolta personalmente a Pietro, lo conduce a prendere coscienza di una radicale novità: "né la carne né il sangue" cioè non un semplice ragionamento umano e neanche la semplice appartenenza alla tradizione del suo popolo hanno fatto conoscere a Pietro l'identità profonda di Gesù, ma una rivelazione personale del Padre. Gesù è il Figlio del Dio vivente, mandato all'umanità, e lo è in senso reale, non nel senso generico nel quale anche il re, o ogni uomo nell'A.T. è chiamato figlio di Dio. Gesù rivela a Pietro che il Padre gli ha aperto la via per un'esperienza nuova: entrare nell'intimità della vita del Figlio, per gustare l'esperienza della vita di Dio. Anche Paolo parla della rivelazione del Figlio di Dio comunicata a lui, quasi in termini identici (Gal.1,16): questa rivelazione ha fatto di Paolo l'apostolo, e di Pietro la roccia sulla quale Gesù ha edificato la Chiesa, contro la quale le forze del male non prevarranno. Gesù, questo concreto "Tu" al quale Pietro parla, è il Figlio del Dio vivente, è questo "Uomo" attraverso il quale Dio dona al mondo l'inesauribile ricchezza del suo amore: nessuna forza del male potrà mai prevalere sull'Amore che è Dio.
Da questa esperienza di Pietro, prende inizio una storia nuova, la storia della manifestazione di Gesù, il Figlio del Dio vivente, la manifestazione misteriosa dell'Amore che è Dio, e prende inizio la storia della conversione di Pietro chiamato ad abbandonare le categorie umane con cui normalmente pensa Dio, l'uomo e il rapporto tra l'uomo e Dio.
"Da quel momento, scrive Matteo, Gesù cominciò a mostrare ai suoi discepoli." Ogni parola del Vangelo, in questo contesto, richiede la nostra attenzione: la professione di fede di Pietro è un nuovo inizio. Adesso Pietro ha una chiave interpretativa nuova della storia: il verbo "iniziare" ha un valore grande nella Bibbia. Non per nulla la prima parola della Bibbia, come pure del Vangelo di Marco e di Giovanni, è proprio "in principio". Nel corpo dei Vangeli l' "inizio" segna sempre l'azione di Gesù: Gesù fa nuove le cose, le apre ad un senso sempre nuovo.
Adesso Gesù comincia a "mostrare", non costruisce nuove teorie, anzi, sottolinea ancora più di prima la concretezza della sua vita, l'aderenza alla quotidianità della sua storia: "comincia a mostrare" che cosa significhi essere il Figlio del Dio vivente, vivere tutto nella dimensione del Figlio del Dio vivente, vivere nel tempo e nella storia, nel frammento, nella fragilità, nel limite, l'infinito dell'Amore di Dio.
"Comincia a mostrare": è l'inizio del guardare la storia non scandalizzandosi di Dio, è l'inizio di uno sguardo sulla storia che non terminerà più.
"Gesù cominciò a mostrare ai suoi discepoli che bisogna che egli vada a Gerusalemme, soffra molto da parte degli anziani, dei capi dei sacerdoti, degli scribi e venga ucciso e poi risorga il terzo giorno": la costruzione raffinata della frase con il passaggio dei verbi dall'aoristo al presente, ci invita a pensare che, se Gesù parla della propria esperienza, nello stesso tempo vede in essa, simbolicamente presente tutta la storia. In questa frase sintetizza tutta la sua esperienza filiale: "bisogna" che egli viva abbandonato totalmente nel Padre, dal quale riceve tutto. Bisogna che ascolti la Parola del Padre e la viva come volontà di amore, sempre, perché il Padre ama il Figlio. Bisogna che vada a Gerusalemme per mostrare al suo popolo che cosa significhi essere il popolo di Dio. Bisogna che soffra da parte di coloro che pensano di conoscere la Parola di Dio e di poterla gestire, ma in realtà l'hanno rinchiusa in una legge che uccide la libertà e uccide l'uomo. Bisogna che discenda, svuotandosi di ogni idolatria di potere o di autoaffermazione per essere soltanto ciò che il Padre vuole che sia, per essere solo strumento della forza del Padre che è Amore. Tutto questo perché bisogna che "il terzo giorno risorga": "il terzo giorno" non è una indicazione cronologica, ma qualitativa, è il giorno senza tramonto, è il tempo pieno di senso. Il Figlio vive solo del Padre che lo genera: solo svuotandosi di ciò che è inautentico, ipocrita, idolatrico comincia a vivere di ciò che vale, solo vivendo di amore vive di Dio.
L'esperienza di Pietro dà inizio alla storia della presenza del Figlio del Dio vivente con gli uomini e dà inizio (la traduzione italiana omette lo stesso verbo "cominciò") alla storia della sua fede, della fede della Chiesa e della fede di ogni credente. La professione di fede è l'inizio del cammino di fede di Pietro: anche Paolo, il grande apostolo ha dovuto imparare a spogliarsi di se stesso, ad ascoltare le parole del Signore: "Ti basta la mia grazia: la forza si manifesta pienamente nella debolezza" (2Cor. 12,9). A Pietro, entusiasta, generoso, appassionato del suo Signore, Gesù, subito, ha rivolto la sua Parola, forte, ma piena di amore: "Tu mi sei di ostacolo, perché tu non pensi secondo Dio, ma secondo gli uomini". Anche Paolo chiede ai suoi discepoli: "Offrite i vostri corpi come sacrificio vivente, santo e gradito a Dio. Non conformatevi alla mentalità di questo mondo, ma trasformatevi rinnovando la vostra mente, per poter discernere la volontà di Dio, ciò che è buono, a lui gradito e perfetto". (Rom.12,2). A Pietro, alla Chiesa, a ciascuno di noi Gesù chiede di porci, in ogni momento la domanda: "Io penso secondo Dio o secondo il mio pensiero umano?" Il Figlio del Dio vivente ci chiede di abbandonare il nostro modo umano di pensare, di valutare, di progettare il successo, la riuscita, dimenticando che la forza di Dio passa attraverso la fragilità, l'abbandono in Lui, la nostra Croce, l'Amore.
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