Concludiamo la giornata liturgica attraverso l'ormai consueto appuntamento di meditazione con le riflessioni di noti sacerdoti e movimenti religiosi. Oggi riflettiamo attraverso le parole di don Alberto Brignoli:
Vi è mai capitato di dover raccomandare a qualcun altro una persona che non conoscete? Credo che nessuno di voi oserebbe raccomandare un medico sconosciuto a un amico bisognoso di cure; così come non consigliereste mai a un familiare come buon avvocato un professionista di cui nemmeno conoscete le capacità, almeno per sentito dire. Rientra abbastanza nei nostri schemi mentali il concetto per cui trasmettiamo agli altri nozioni o informazioni delle quali abbiamo conoscenza diretta. È vero, esistono pure i ciarlatani che confondono con mille parole pur senza conoscere nulla di ciò che dicono, spesso solo per il gusto di parlare: ad ogni modo, abbiamo ancora una capacità di giudizio tale per cui possiamo distinguere chi parla per conoscenza diretta - e quindi la sua testimonianza è vera - e chi parla tanto per parlare.
Anche la struttura del Vangelo di Giovanni (che ci introduce solo per oggi al Tempo Ordinario, da domenica ripartiremo in maniera continuata con il Vangelo di Matteo) pare rispondere a questa logica: in diversi passi della sua opera, Giovanni parla di una testimonianza resa vera dalla conoscenza diretta di ciò che si annuncia: "Ho visto, ho creduto, perciò annuncio, e la mia testimonianza è vera", questo sembra essere un po' lo stile nella descrizione della sua esperienza di Cristo.
Eppure, nel brano che abbiamo letto quest'oggi, la logica del testimoniare per conoscenza diretta sembra non funzionare. Per ben due volte assistiamo a Giovanni il Battista che dopo aver proclamato Cristo come "Agnello di Dio" (una delle espressioni più famose del Battista nei confronti del Messia) dice che lui "non lo conosceva"… La cosa potrebbe già sembrare stonata da un punto di vista storico: pare assodata la lontana parentela tra Gesù e il Battista per via della familiarità tra le rispettive madri, Maria ed Elisabetta. È probabile quindi che dietro a questa affermazione di "non conoscenza" del Messia ci sia qualcosa che va al di là della pura veridicità dell'affermazione. Al di là di quello che Giovanni afferma, forse c'è un insegnamento da scoprire.
Se guardiamo alle due affermazioni "Io non lo conoscevo", entrambe proseguono in modo avversativo, con un "ma", con un "eppure". Ed entrambe, hanno un unico scopo: quello di presentare al mondo il Cristo come Figlio di Dio, nonostante non se ne abbia avuto una conoscenza diretta. "Io non lo conoscevo, eppure sono venuto a battezzare nell'acqua perché egli fosse manifestato a Israele"; "Io non lo conoscevo, eppure Colui che mi ha inviato a battezzare mi disse…". Ciò che dà senso a queste due affermazioni è la sintesi che ne viene fatta alla fine e che riporta tutto nella logica giovannea del "credere e testimoniare per conoscenza": "Io ho visto e ho testimoniato che questi è il Figlio di Dio". Tra l'altro, il Battista non afferma di essere un privilegiato che ha ricevuto una rivelazione particolare da Dio riguardo al Cristo: lo attendeva, lo predicava imminente, eppure la sua conoscenza viene da ciò che tutti hanno visto nel Giordano - la discesa dello Spirito sotto forma di colomba - ma che solo chi vive nello Spirito è stato capace di riconoscere.
Credere e testimoniare Cristo, allora, non è un privilegio che viene da particolari rivelazioni: è riconoscere la voce dello Spirito che ce lo indica presente nel mondo, come fu per il Battista. Come mai nel Vangelo di oggi questo stile particolare di Giovanni, uno stile che - solo in apparenza - sembra contraddire ciò che è parte del suo bagaglio culturale (la testimonianza per conoscenza diretta)?
Alcuni esegeti - che certamente ne sanno di Bibbia più di me - dicono che questa duplice affermazione del Battista posta all'inizio del suo Vangelo sia servita a Giovanni per chiarire un tema presente nella sua comunità cristiana. Molti membri della sua comunità non avevano conosciuto il Cristo di persona: era una comunità nata in ambiente extra-giudaico (in Asia Minore), e soprattutto era una comunità "tardiva" rispetto a quelle che da subito fecero a capo a Pietro, a Paolo, o a Giacomo. Siamo quasi alla conclusione del I secolo dopo Cristo, e quella "parusìa", quel ritorno di Gesù nella gloria che tutti attendevano non sembrava essere poi così imminente. Per questo motivo, nella comunità di Giovanni si stava creando un certo scollamento: "Ma come? Noi non abbiamo conosciuto di persona Gesù, il suo arrivo nella gloria non sembra poi così vicino… e come possiamo dirci credenti in lui, se non ne abbiamo avuto una conoscenza diretta?". Non dimentichiamo l'ambiente greco, razionalista, in cui questa comunità comunque si forma. E allora Giovanni si preoccupa da subito nel suo Vangelo di far comprendere che il Cristo può essere conosciuto, amato, testimoniato, pur non avendone avuto esperienza personale, o pur non avendo assistito a certe sue manifestazioni gloriose come testimoni diretti: è il caso del Battista, appunto, che conosce di persona Gesù ma lo riconosce come Cristo solo nel momento in cui si apre all'azione dello Spirito; è il caso di Tommaso, che lo conosce e lo vede morto, ma lo riconosce Risorto solo per intervento del Maestro a cui Giovanni fa proclamare ciò che tutti volevano da lui sentirsi dire: "Beati coloro che pur non avendo visto, crederanno".
La fede cristiana, allora, non è una sorta di trasmissione di conoscenze per favoritismi ("Ti faccio conoscere, ti raccomando, per cui ti mando avanti"), e nemmeno attraverso rivelazioni personali o miracolose che pur potendo accadere di certo non rappresentano il "motivum fidei" principale. La fede cristiana è un'esperienza personale di Gesù Cristo che avviene sotto l'impulso dello Spirito grazie alla trasmissione della stessa fede da parte di chi, prima di noi, ha conosciuto la Buona Notizia del Vangelo e ce l'ha comunicata: ecco quindi la necessità di una comunità di credenti, di una Chiesa, che ti conduca all'incontro con Cristo.
Ma quanti, oggi, possono dire di conoscere il Cristo? Non mi riferisco alla gente che professa un altro Credo religioso o a chi (sempre che ce ne siano ancora) nel mondo non ha mai sentito pronunciare la parola "Gesù". Mi riferisco al nostro mondo "cristiano", di battezzati (nemmeno tutti, ora, per la verità) che del messaggio di Cristo sanno davvero poco o nulla.
Mi confrontavo in questi giorni con alcuni missionari e missionarie italiani che operano in Argentina (alcuni da oltre mezzo secolo…), e tutti quanti lamentavano la necessità di nuovi invii, di nuovi missionari e testimoni del Vangelo per rimpiazzare le loro ormai limitate forze (anche per l'età avanzata) nell'annunciare il Vangelo a un popolo (quello argentino) che è nato e si dice profondamente cristiano, ma che in fondo non lo è più o fatica ad esserlo. E facevano affermazioni accoratamente drammatiche: "Le famiglie sono disgregate, i giovani non hanno più interessi, alla Chiesa si accorre solo per i Sacramenti dell'Iniziazione e dopo la Cresima non vedi più nessuno, si sposano in Chiesa solo se ne hanno voglia, non ci sono più vocazioni; in tempi politicamente e socialmente più difficili c'era maggior testimonianza cristiana, ora che siamo liberi nessuno crede più…", e via di questo passo, affermando la necessità di una nuova evangelizzazione per una società scristianizzata.
Ho ascoltato.
E dopo un istante di silenzio, l'unica cosa che mi sono permesso di chiedere loro - e la lascio come domanda conclusiva, vagante, senza risposta - è stata questa: "State parlando dell'Italia, vero?".
Io non lo conoscevo... e ora, lo conosci?
Pubblicato da
Angel
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domenica 16 gennaio 2011
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