Concludiamo la giornata nella Vigna che ci ha fatto conoscere la figura di Sant'Ambrogio, attraverso una sua riflessione tratta dall’ Esposizione del Vangelo secondo Luca (VII, 164-171 passim):
Adamo ed Eva, i nostri famosi progenitori sia nella discendenza che nel peccato, i quali si ricoprirono delle foglie di quest’albero [di fico], meritarono di essere proscritti dal paradiso, quando, consci della loro trasgressione, cercavano di sfuggire alla presenza del Signore, il quale stava passeggiando; essi dovevano simboleggiare quanto doveva avvenire, che cioè negli ultimi tempi il popolo dei Giudei, ormai nell’imminenza della venuta del Signore della salvezza, il quale discese quaggiù per chiamarli, riconoscendosi nudo di ogni virtù per le tentazioni del diavolo e pieno di paura per le turpitudini scoperte della coscienza, avendo smarrito la strada della religione, si vergognò per la propria prevaricazione; egli doveva fuggire lontano da Dio, con le vergogne delle sue azioni coperte direi dal velo di parole inutili, come da altrettante foglie.
Ecco allora che essi, i quali avevano spiccato dal fico non frutti, ma foglie, furono radiati dal Regno di Dio; ed erano un’anima vivente. Venne il secondo Adamo, e andava non più in cerca di fogliame, ma di frutti; ed era spirito vivificante (1 Cor 15, 45).
Ma nello spirito si consegue il frutto della virtù, e si adora il Signore. Eppure il Signore cercava il frutto, non perché ignorasse che l’albero di fico ne era privo, ma perché voleva far vedere in un simbolo che la Sinagoga doveva ormai produrre frutto. Del resto, in ciò che vien dopo, Egli dimostra di non esser giunto anzi tempo, perché venne per un periodo di tre anni: così infatti trovi: Ecco sono tre anni che vengo a cercare frutti su questo fico, ma non ne trovo. Taglialo dunque; perché sta a occupare la terra?
Egli venne ad Abramo, venne a Mosè, venne a Maria, venne nel segno, venne nella Legge, venne nel corpo. Ne riconosciamo la venuta dai suoi benefici: in una vi è la purificazione, nell’altra la santificazione, nell’altra ancora la giustificazione. La circoncisione purificò, la Legge santificò, la grazia giustificò: Egli solo è tutte queste cose, e tutte queste cose sono una sola. Infatti nessuno può diventar mondo se non colui che teme il Signore. Nessuno merita di ricevere la Legge se non è stato purificato dalla colpa e nessuno si accosta alla grazia se non conosce la Legge. Perciò il popolo dei Giudei non poté essere purificato, perché ebbe la circoncisione del corpo, ma non quella dell’anima; né poté essere santificato, perché la potenza della Legge gli fu sconosciuta, dato che seguiva le prescrizioni carnali piuttosto che quelle spirituali – invece la Legge è spirituale – né poté essere giustificato, perché non si pentiva dei suoi peccati e perciò ignorava la grazia. Giustamente, dunque, non si è trovato alcun frutto nella sinagoga e si comanda di reciderla.
Ma il buon agricoltore, e direi colui nel quale è posto il fondamento della Chiesa, avendo il presentimento che un altro doveva essere inviato alle Genti, lui invece al popolo della circoncisione, si interpone chiedendo piamente che esso non sia tagliato, perché era sicuro in base alla propria vocazione che anche il popolo dei Giudei poteva essere salvato mediante la Chiesa; e per questo motivo dice: Lascialo anche quest’anno, perché gli zappi intorno e metta un cesto di concime.
Come ha fatto presto a riconoscere che le cause della sterilità sono l’indurimento e la superbia dei Giudei!
E perciò sa bene come coltivare perché sa bene come scoprire le deficienze. Egli assicura che le dure zolle del loro cuore debbono essere zappate con le marre degli apostoli, affinché la parola, acuminata da una parte e dall’altra, rovesci la terra incolta dello spirito, screpolata per il lungo abbandono, e aprendo il cuore ne stimoli la sensibilità ormai viva per lo spiraglio spirituale che si è aperto, affinché il peso enorme della terra non seppellisca e nasconda alla vista la radice della sapienza. Afferma pure che bisogna spargere un cesto di concime: ed è tanto grande la forza del concime, che rende feconde le piantagioni infeconde, verdeggianti quelle secche, fruttuose quelle sterili. Su di esso sedeva Giobbe quando fu tentato, e non poté esser vinto; e Paolo giudica il resto concime, al fine di guadagnare Cristo. In fin dei conti Giobbe prima aveva subito moltissime perdite, ma dopo che sedette sul concime, non ebbe più proprietà alcuna che il diavolo potesse portargli via. Dunque è una terra buona quella che vien zappata, efficace il concime che vi si sparge.
Del resto, il Signore solleva dalla polvere l’indigente, rialza dal concime il povero (Sal 112, 7).
Pertanto, quel bravo agricoltore pensa che, mediante l’assiduo lavoro dell’intelletto spirituale e il sentimento dell’umiltà, anche i Giudei diventarono fecondi nei confronti del Vangelo di Cristo. ...
Ma da ciò che è detto dei Giudei io giudico che anche tutti debbano guardarsi, e specialmente noi, perché, vuoti di ogni merito, non ci accada di sfruttare il terreno fertile della Chiesa; mentre invece, benedetti come melograni, dobbiamo produrre frutti interiori, frutti di pudicizia, frutti di buona armonia, frutti di carità e d’amore, restando racchiusi entro l’unico grembo della madre Chiesa, affinché il vento non ci danneggi, la grandine non ci abbatta, l’arsura della passione non ci bruci, l’acqua delle tempeste non ci sconquassi.
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