Oggi la Chiesa Cattolica celebra la figura di San Benedetto e noi vogliamo riflettere quest'oggi, proprio attraverso le parole scritte dalla mano del santo del monachesimo che qui si sofferma sull'umiltà:
La Scrittura divina, o Fratelli, grida a nostro insegnamento, e dice: Chiunque si esalta sarà umiliato, e chiunque si umilia sarà esaltato. — Nel dire dunque queste parole ci mostra che ogni esaltazione è una specie di superbia. Dalla qual cosa il Profeta c’indica doverci guardare, dicendo: O Signore, il mio cuore non si è esaltato, né i miei occhi si sono levati in alto. Né ho camminato in sublime, né la vanità di me stesso. — Ma che? — Se non ho sentito di me umilmente, ed ho anzi esaltata l’anima mia; mi son trovato poi come il fanciullo spoppato di fresco. — Laonde, o fratelli, se vogliamo toccare la cima dell’eccelsa umiltà, e velocemente giungere a quella celeste esaltazione, a cui si ascende per l’umiltà della presente vita; e a condurre in alto le nostre azioni, fa d’uopo innalzare quella scala, che apparve in sonno a Giacobbe, per la quale si mostravano a lui gli Angeli scendere e salire. Quel discendere e salire, senza dubbio non va da noi inteso in altro modo, se non che si discende coll’esaltarsi, si sale su coll’umiliarsi. La stessa scala poi innalzata, è la nostra vita al mondo, la quale per chi si umilia nel cuore il Signore gliela indirizza al cielo. I lati di questa scala però diciamo essere il corpo e l’anima nostra, e in quei lati la vocazione divina appoggiò diversi gradi di umiltà o di disciplina, che noi dobbiamo salire.
Il primo grado di umiltà pertanto è, che mettendosi sempre innanzi agli occhi il timore di Dio, si fugga del tutto l’ignavia. Il discepolo ognora si dee ricordare di tutto ciò che comanda Iddio, qualmente coloro che lo disprezzano, piombano per il peccato nell’inferno; e sempre rivolgere per la mente la vita eterna, che è preparata a coloro che lo temono. E guardandosi in ogn’istante dai peccati e dai vizii, sia pronto a soffocare i desiderii e i movimenti dei pensieri, della lingua, degli occhi, delle mani, dei piedi, del proprio volere, e molto più della carne. Consideri l’uomo ch’egli è sempre ad ogni ora dal Cielo riguardato da Dio, e le sue azioni sono conte alla Divinità dovechessia, e riferite dagli Angeli a Dio in ogni momento. Questo ci espone il Profeta, quando ci descrive Iddio sempre presente ai nostri pensieri, dicendo: Iddio che scruta le reni e i cuori. — Ed anche: il Signore conosce i pensieri degli uomini. — E similmente dice: Tu intendesti i miei pensiera da lungi; — e, Che il pensiero dell’uomo a te si svelerà da sé.— Onde l’umile fratello, per essere vigilante contro i suoi perversi pensieri, dica sempre in cuor suo: Io allora sarò immacolato dinanzi a Lui, quando mi sarò guardato dal mio peccato.
Ci viene inoltre proibito di fare la propria volontà, mentre la Scrittura ci dice: rivoltati dal tuo volere. — E così pure: Preghiamo Iddio nell’orazione, onde sia fatta in noi la sua volontà. — Ora a buon diritto noi siamo ammaestrati a non fare la nostra volontà, per isfuggire quello che dice la S. Scrittura: Sonovi alcune strade che sembrano agli uomini rette, e il fine di esse s’immerge nel profondo dell’inferno. — E cosi dobbiamo guardarci anche da quello ch’è scritto dei negligenti: Sono divenuti corrotti ed abominevoli nei loro voleri. — Crediamo poi che Dio ha sempre presente qualsiasi nostro desiderio carnale, mentre il Profeta dice al Signore: Egli è dinanzi a te ogni mio desiderio.
Bisogna dunque perciò scacciare ogni pravo desiderio, perchè la morte dell’anima viene appresso all’entrata del diletto. Onde la scrittura comanda dicendo: Non andare dietro le tue concupiscenze. — Se dunque gli occhi del signore osservano e buoni e cattivi, e il Signore dal cielo sempre guarda ai figli degli uomini, per vedere se sia tra loro chi conosca e cerchi Dio; e se le nostre azioni vengono di continuo notte e giorno annunziate al nostro Creatore dagli Angeli per noi deputati; conviene dunque guardarsi ognora, o Fratelli (come dice il Profeta nel Salmo), affinchè talvolta Iddio non ci vegga inchinati al male e fatti inutili; e perdonandoci in questo tempo (perchè egli è pietoso, ed attende che ci rivolgiamo al meglio), non ci dica nell’avvenire: Tu operasti così, ed io mi tacqui.
Il secondo grado di umiltà è, se alcuno, non amando la propria volontà, non prende piacere di sodisfare ai suoi desiderii, ma si conforma nel fatto a quella voce del Signore che dice: Io non venni a fare la mia, ma la volontà di colui che mi mandò. — Similmente dice la Scrittura: La voluttà reca la pena, e la necessità partorisce la corona.
Il terzo grado di umiltà è, che uno si sottometta con ogni obbedienza al Superiore per amore di Dio, imitando il Salvatore, di cui dice l’Apostolo: Fatto obbediente insino alla morte.
Il quarto grado di umiltà, è che nello stesso obbedire in dure e contrarie cose, ovvero nel ricevere ingiurie qualsiano, nel silenzio e nella pace della coscienza si abbracci la pazienza; e forte stando in essa, non si lasci vincere da stanchezza o da fastidio; dicendo la Scrittura: Chi avrà perseverato sino alla fine, questi sarà salvo. — Come pure: Si conforti il tuo cuore, e aspetta quel che piace al Signore. — E volendo mostrare, che la persona fedele ha da sopportare ogni contrarietà per amor del Signore, dice anche in persona dei tribolati: Noi per te siamo tratti a morte ogni giorno, e siamo reputati come pecore da sgozzare. — Epperò, certi nella speranza della divina retribuzione, proseguono lieti a dire: Ma in tutto questo riusciamo vincitori in grazia di Lui, che ci ha amato tanto. — E similmente altrove sta scritto: Tu ci hai provati, o Dio; tu ci hai purgati col fuoco, come argento; ci hai tratti presso al laccio; hai poste le tribolazioni sopra le nostre spalle. — E per mostrare che noi dobbiamo stare sotto al Superiore, conchiude dicendo: Tu hai imposto uomini sulle nostre teste. — Ma coloro che nelle avversità e negli oltraggi adempiono il precetto divino della pazienza, e percossi in una guancia porgono anche l’altra, e a chi loro toglie la tunica lasciano anche il pallio, e angariati per un miglio vanno oltre anche due miglia; costoro, a simiglianza dell’Apostolo Paolo, sopportano i falsi fratelli e le persecuzioni, e benedicono quelli che li maledicono.
Il quinto grado di umiltà é, se tutti i cattivi pensieri che sorgono in cuore, o il male nascostamente commesso, per umile confessione si palesino al proprio Abbate. A ciò ne esorta la Scrittura, quando dice: Svela al Signore i tuoi procedimenti, e spera in lui. — E similmente dice: Aprite le anime vostre al Signore, perocché egli è buono, ed eterna è la sua misericordia. — Come anche il Profeta: Io ti feci aperto il mio delitto, né celai le mie ingiustizie: ho detto, io esporrò contro me i miei peccati al Signore; e tu mi rimettesti l’empietà del mio cuore.
Il sesto grado di umiltà è, che il monaco sia contento di ogni cosa vile e di ogni penuria; e giudichi sé come inetto e indegno operajo in tutto quel che egli è comandato, dicendo col Profeta: Io mi sono ridotto al niente, e nol seppi: son fatto come giumento al tuo servigio, e sempre sono con te.
Il settimo grado di umiltà è che non solo ci confessiamo con la bocca inferiori a tutti e i più dispregevoli, ma ancora il crediamo nell’intimo del cuore, umiliandoci e dicendo col Profeta: Io poi son verme e non uomo, obbrobrio degli uomini e feccia della plebe: io mi sono esaltato, e tu mi hai umiliato e confuso. — E similmente: Buon per me, che mi hai umiliato; affinchè io apprenda i tuoi comadamenti.
L’ottavo grado di umiltà è, che il monaco nulla faccia, se non quello che consiglia la comune regola del Monastero e l’esempio dei maggiori.
Il nono grado di umiltà è, che il monaco vieti alla sua lingua il parlare; e serbando il silenzio, non parli se non interrogato, per non incorrere in quello che avverte la Scrittura: Che nel molto parlare non si sfugge il peccato; e che l’uomo chiacchierone cammina senza direzione sulla terra.
Il decimo grado di umiltà è, che il monaco non sia facile e pronto al riso, poiché sta scritto: Lo stolto nel ridere leva in alto la sua voce.
L’undecimo grado di umiltà è, che il monaco parli soave e severo, umile e grave, poco e con ragione, né sia giammai sfacciato nel tuono della voce; mentre è scritto: Il savio si distingue alle poche parole.
Il duodecimo grado di umiltà è, che il monaco non solo conservi l’umiltà nel cuore, ma anche la dimostri sempre nel suo portamento a tutti quelli che lo veggono; cioè nell’opera di Dio, nell’Oratorio, per il Monastero, nell’orto, nella via, nel campo, o dovechessia, sedendo o camminando, o stando in piedi; e abbia sempre il capo chino, gli occhi al suolo, stimandosi ognora reo dei proprii peccati, e in atto di presentarsi al tremendo giudizio di Dio; ripetendo sempre quello che il pubblicano dell’Evangelo diceva con lo sguardo volto alla terra: O Signore, non sono degno io peccatore di levare gli occhi miei al cielo. — Ed anche col Profeta: Io vo sempre curvo ed umile da pertutto.
Pertanto, ascesi che abbia il monaco tutti questi gradi di umiltà, presto giungerà a quella carità di Dio, che quando è perfetta, manda via ogni timore: per mezzo della quale tutto ciò che prima ci faceva con qualche trepidazione, l’incomincerà a fare quasi naturalmente, per consuetudine, senza veruna fatica, non per tema dell’inferno, ma per amore di Cristo, e per la stessa soddisfazione della virtù: E questa buona sodisfazione è appunto ciò che il Signore per lo Spirito Santo si compiacerà di far provare al suo operajo mondo dai vizii e dai peccati.
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