Concludiamo la giornata liturgica attraverso l'ormai consueto appuntamento di meditazione con le riflessioni di noti sacerdoti e movimenti religiosi. Oggi riflettiamo attraverso le parole di mons. Gianfranco Poma:
Con questa domenica XIV del tempo ordinario, iniziamo un lungo periodo dell'anno liturgico (circa cinque mesi) nel quale, nel tranquillo succedersi delle settimane, l'ascolto della Parola di Dio, l'Eucaristia e la comunione fraterna, fanno della normalità della nostra vita umana, con le sue gioie e le sue tristezze, le riuscite e le sconfitte, la condizione in cui si realizza l'esperienza dei figli di Dio. E riprendiamo, in questo anno liturgico, la lettura del Vangelo di Matteo nel quale Gesù è presentato come il Messia, che, profondamente inserito nella vita del popolo ebraico, ne realizza le attese portandole al "compimento", ma in modo sorprendente e inatteso: Gesù è il Cristo, il Messia, il Figlio di Dio, Dio con noi, che "discende" per condividere fino in fondo l'esperienza umana, fino alla morte in Croce, e risorge per portare l'umanità alla comunione con Dio. Il fine a cui tende il Vangelo di Matteo è quello di proclamare che in Gesù Cristo, nel quale la promessa fatta ad Abramo ha raggiunto il suo compimento, tutti i popoli sono chiamati a diventare suoi discepoli, e il popolo di Dio ha ormai i confini dell'universo. Gradualmente, quindi, con una struttura raffinatamente costruita, Matteo in ogni pagina mostra che cosa significhi diventare "discepoli" di Cristo: "Non sono venuto ad abolire, ma a portare a compimento.Io vi dico: se la vostra giustizia non supererà quella degli Scribi e dei Farisei, non entrerete nel regno dei cieli.Voi dunque, siate perfetti come è perfetto il Padre vostro che è nei cieli". Essere suoi discepoli significa credere in Lui, seguirlo, per vivere con Lui la relazione filiale con il Padre "che è nei cieli", significa percepire che l'esistenza umana ha senso solo in una relazione infinita con Dio, ma con un Dio che, rimanendo nel suo mistero, parla con l'uomo come un Padre parla al proprio Figlio.
In ogni pagina del Vangelo, Gesù, il Figlio, mostra il suo impegno nel formare i suoi discepoli, perché entrino in comunione con Lui, gustino la vita che il Padre dona a loro, vita filiale che diventa fraterna nel rapporto con gli altri uomini.
La pagina che la Liturgia ci fa leggere in questa domenica, Matt.11,25-30, è particolarmente significativa, proprio in rapporto alla comprensione della identità di Gesù, Figlio di Dio, e del significato dell'essere "suoi discepoli". In questo cap.11 Matteo insiste nel presentare Gesù come l'annunciatore della presenza del Regno dei cieli, cioè della presenza di Dio che realizza le aspirazioni più profonde dell'uomo. Ma ai suoi ascoltatori appare deludente la parola di Gesù che da una parte radicalizza le richieste della Legge che essi ritengono impossibili per le forze fragili dell'uomo e d'altra parte proclama la presenza del Regno. Come è possibile entrare nel Regno dei cieli se non solo non si abbassano le esigenze richieste, ma addirittura sono radicalizzate? "Sarete odiati da tutti a causa del mio nome. Ma chi avrà perseverato fino alla fine sarà salvato." (Matt.10,22). Matteo sottolinea lo scarso successo delle parole di Gesù: ".quelli se ne andavano." ".Gesù si mise a rimproverare le città perché non si erano convertite" (Matt.11,7.20). La preghiera che oggi leggiamo esprime la reazione personale di Gesù di fronte all'incomprensione dei suoi ascoltatori e contiene la rivelazione della novità per la quale Gesù ritiene possibile ciò che per l'uomo affidato alle sole sue forze rimane impossibile. Ed è questo l'annuncio evangelico rivolto all'uomo di oggi: l'uomo moderno, diventato potente per la sua scienza e la sua tecnica, l'uomo raffinato nell'esercizio della sua ragione, ha conservata intatta la sua fragilità, dalla quale, da solo, non può liberarsi. La parola di Gesù si fa preghiera: "Rendo lode a te, Padre, Signore del cielo e della terra". Queste poche parole esprimono in sintesi tutta la novità cristiana: il Dio di Israele, il Signore del cielo e della terra, è il Padre, l'infinito "Tu", al quale Gesù può rivolgersi con riconoscente amore, per rendergli lode e per ringraziarlo. La parola di Gesù, la sua preghiera, è espressione della sua più profonda e personale esperienza: "Tutto a me è stato dato dal Padre mio e nessuno conosce il Padre se non il Figlio e nessuno conosce il Figlio se non il Padre". Gesù riconosce che tutta la sua esistenza è "dono" che viene dal Padre: con una sorprendente vicinanza con il Vangelo di Giovanni, anche per Matteo, l'identità di Gesù è essenzialmente quella di "Figlio" che vive della vita che il Padre gli dona. E questa non è una affermazione astratta, metafisica: Gesù afferma che tutta la sua vita consiste nel "conoscere", nello sperimentare il dono del Padre. Tra il Padre e il Figlio esiste questo infinito scambio di conoscenza e di Amore: la carne di Gesù diventa la visibilità di ciò che il Padre conosce. E Gesù aggiunge:... "e colui al quale il Figlio vuole rivelarlo". Possiamo trovare qui una splendida definizione di che cosa significhi essere discepoli di Cristo: sono "coloro che Gesù rende partecipi della propria esperienza filiale, del dono della vita del Padre, del significato profondo della relazione con Lui ". All'uomo moderno, sempre in ricerca, Gesù vuole rivelare che il senso e il gusto della vita, si trova entrando con Lui nella relazione filiale con Dio, il Padre la cui "volontà buona" è quella di donarsi agli uomini. Anche all'uomo moderno Gesù chiede di non chiudersi nella propria scienza, di non fare della propria ragione l'orizzonte chiuso della propria verità o della propria capacità dialettica lo strumento illusorio per la diffusione del Vangelo ("hai tenuto nascoste queste cose ai sapienti e ai dotti"): il Vangelo è la comunicazione dell'esperienza filiale di Gesù, è l'annuncio dell'infinito Amore del Padre per il Figlio che si è fatto "piccolo" per lasciarsi amare e che vuole attirare a sé tutti coloro che pur all'interno del mondo complesso di oggi e della ricchezza delle conoscenze a cui l'uomo è arrivato, hanno l'umiltà di farsi piccoli e di riconoscere di aver bisogno di una esperienza di Amore che doni pace e felicità al cuore sempre inquieto dell'uomo.
Gesù conosce la fatica della vita dell'uomo, le sue difficoltà: non offre facili illusioni. All'uomo affaticato, deluso, tentato di disperazione, Gesù offre la partecipazione alla propria esperienza filiale, alla comunione con il Padre che diventa progetto concreto di vita: "Venite a me, voi tutti, che soffrite sotto il peso delle preoccupazioni e io vi offrirò il riposo. Prendete su di voi il mio giogo; diventate miei discepoli, io sono mite e umile di cuore: troverete riposo per la vostra vita. Sì, il mio giogo è facile da portare e il mio peso è leggero": all'uomo che entra in comunione con Lui, non offre illusori sconti nella fatica del vivere, offre una esperienza infinita di Amore nella quale anche la fatica diventa riposo.
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