Concludiamo la giornata liturgica attraverso l'ormai consueto appuntamento di meditazione con le riflessioni di noti sacerdoti e movimenti religiosi. Oggi riflettiamo attraverso le parole mons. Gianfranco Poma:
L'incontro di Gesù con la donna samaritana ci ha fatto rivivere il primo contatto con la fede. La pagina del Vangelo di Giovanni che la Liturgia della IV domenica di quaresima ci presenta (Giov.9,1-41), l'incontro con l'uomo cieco dalla nascita, è un racconto molto articolato e preciso con il quale l'evangelista mostra come la fede passi attraverso prove difficili e sofferenza. "Il Signore illumina i ciechi; - commenta S.Agostino - ora, o fratelli, i nostri occhi sono curati con il collirio della fede. Anche noi siamo nati ciechi da Adamo e abbiamo bisogno di essere illuminati da lui": l'uomo, cieco dalla nascita, è dunque simbolo di tutta l'umanità che ha bisogno di incontrare Gesù, che ha appena proclamato: "Io sono la luce del mondo: chi segue me, non cammina nelle tenebre" (Giov.8,12). Sarebbe riduttiva e persino deviante una lettura semplicistica di questa pagina, come se l'incontro con Cristo fosse un'esperienza irenica, e non un'esperienza che cambia radicalmente la vita ma solo a chi ha il coraggio di abbandonarsi totalmente a lui: l'incontro di Gesù con questo uomo, è davvero un incontro difficile, persino drammatico.
Tutto comincia bene, anche molto bene: "Gesù, passando vide un uomo, cieco dalla nascita". Siamo nel Vangelo di Giovanni: per due volte, all'inizio e alla fine, Giovanni richiama la missione che Gesù ha ricevuto da Colui che lo ha mandato. Gesù è disceso dal Padre per camminare nella storia, guardare la realtà umana con gli occhi di Dio, amarla, rivelarne il senso pieno che solo Dio vede, e ricondurla al Padre. Quando gli uomini vedono la sofferenza umana, la collegano con il peccato. Quando Gesù vede l'uomo cieco, è subito interpellato dai discepoli: se lui è cieco, è perché o lui o i suoi genitori hanno peccato, chi dunque? La risposta di Gesù è una luce folgorante: egli separa radicalmente il peccato personale dalla malattia e dalla sofferenza, affermando:"Né lui ha peccato, né i suoi genitori, ma perché in lui siano manifestate le opere di Dio. Bisogna che si compiano le opere di Colui che mi ha mandato finché è giorno; poi viene la notte quando nessuno può agire. Finché sono nel mondo, sono la luce del mondo". E si capisce così quale sia il senso vero dell'incontro di Gesù con l'uomo cieco: la presenza di Gesù nel mondo (il suo giorno), la sua opera, la sua parola, è una luce che risplende perché "in lui si manifestino le opere di Dio". "Finché sono nel mondo, sono la luce del mondo": senza di lui non riusciamo a percepire il senso del mondo, ne sentiamo il limite, il male e lo interpretiamo come castigo di Dio per i nostri peccati, ma con lui, la Parola di Dio, vediamo la carne dell'uomo e contempliamo la gloria. Gesù. E' lui che ci rivela che nel suo discendere fino alla morte in croce, l'Amore di Dio raggiunge il sui vertice. "Dio ha tanto amato il mondo da dare il suo figlio unigenito": nella croce di Cristo risplende la forza della risurrezione. Gesù ci rivela che tutto è Amore, fragile, debole, ma che è tanto più grande quanto più accetta di essere piccolo. Incontrare Gesù significa incontrare l'Amore che ci cambia il senso della vita: nella fragile concretezza di ciò che noi siamo, scopriamo il dono di Dio, che va accolto, vissuto, gustato, donato: ma è solo la fede in lui che ci apre gli occhi perché sappiamo vedere ciò che i nostri occhi da soli non riuscirebbero a vedere. Tutto inizia da Gesù che porta a compimento l'opera di Dio, la creazione di un uomo che sappia entrare in relazione con lui, ascoltare la sua Parola e percepire il senso pieno di ciò che Dio fa. "Va' a lavarti nella piscina di Siloe" - che significa inviato. "Quegli andò, si lavò, e tornò che ci vedeva": l'opera che Gesù inizia, si compie soltanto quando l'uomo ascolta e mette in pratica la Parola di Gesù. Dall'incontro con Gesù è nato un uomo nuovo (era stato cieco, ora non lo è più), che ha trovato la sua identità ("Sono io", mentre gli altri stentano a riconoscerlo o dubitano della sua sincerità precedente), libero (non è più mendicante). Ma il delinearsi di questa nuova identità, avviene con degli strappi duri dalla precedente situazione, dalle precedenti garanzie che la sua condizione di uomo cieco comunque gli assicurava: il cammino verso la libertà che inizia con l'irrompere della luce nella sua vita, produce uno scontro violento con "i vicini e con quelli che lo avevano visto prima", con i farisei, con i Giudei, con tutti coloro che in nome della ragione comune o della loro interpretazione della tradizione religiosa, lo avevano definitivamente rinchiuso nei confini ristretti della sua cecità. E quanto più la luce vince la tenebra, l'uomo che era nato cieco si trova emarginato, rifiutato, scacciato da tutti coloro che, chiusi nell'illusione di possedere la verità sull'uomo, sulla famiglia, su Dio in realtà hanno perso il gusto dell'esperienza di una verità che è continua ricerca, sorpresa e fonte di libertà. Nel coraggio della solitudine continua il cammino verso la libertà che diventa sempre più vera, quanto più gli occhi si aprono, cadono gli ostacoli, i condizionamenti, le falsificazioni, e l'incontro con Gesù raggiunge la sua pienezza. Sono almeno quattro le tappe che segnano la progressione verso la libertà dell'incontro con Cristo nel quale l'uomo si trova pienamente rinato. Nella prima egli sa soltanto che "l'uomo che si chiama Gesù" lo ha guarito, e di fronte a chi vorrebbe saperne di più, ha il coraggio di dire: "Non lo so". Poi, condotto dai farisei e pressato da questioni teologiche suggerisce: "E' un profeta". In seguito, sotto la minaccia di essere scacciato dalla sinagoga, afferma: "E' un uomo che viene da Dio". Al termine di questo percorso "avendolo scacciato dalla sinagoga ed avendolo trovato, Gesù gli parlò": è bellissima l'avventura di quest'uomo, iniziata con gli occhi che si aprono e che si conclude dopo essere passata attraverso l'esperienza del coraggio della solitudine, della spogliazione di tutti gli orpelli, in nome di una presenza nuova, all'inizio appena intravista e che gradualmente si rivela, di una persona che non chiude, ma apre orizzonti per una esperienza umana sorprendentemente libera e bella. Quando tutti lo hanno allontanato, Gesù lo raggiunge, lo trova e gli parla: "Tu credi nel Figlio dell'uomo?" Egli rispose: "E chi è, Signore, perché io creda in lui?" Gli disse Gesù: "Lo hai visto, e colui che parla con te, è lui". Ed egli disse: "Credo, Signore!" Adesso sappiamo che Gesù gli ha davvero aperto gli occhi: vede Gesù e ascolta la sua Parola. Adesso è l'uomo libero che può dire: "Credo, Signore". La fede è l'esperienza più vera della libertà dell'uomo: liberato da ogni paura, condizionamento, l'uomo che era cieco, si affida a Colui che lo rende capace di vedere il mistero della carne piena di gloria e di ascoltare la Parola di Colui che offre una vita così grande che vince anche la morte. Ma l'uomo che era cieco ha avuto il coraggio della solitudine per lasciarsi incontrare da Colui che è la luce del mondo.
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